Dietrich Bonhoeffer. Il film, le opere da scaricare, gli approfondimenti





Il rischio implicito in ogni grande amore è quello di smarrire la polifonia dell'esistenza. Voglio dire che Dio e la sua eternità pretendono di essere amati dal profondo del cuore, senza però che l'amore terrestre ne venga danneggiato o indebolito; qualcosa come un cantus firmus, attorno al quale le altre voci della vita cantino in contrappunto [...] Dove il cantus firmus è chiaro e distinto, il contrappunto può dispiegarsi col massimo vigore [...] Vorrei pregarti di far risuonare con chiarezza nella vostra vita il cantus firmus e solo allora ci sarà un suono pieno e completo, e il contrappunto si sentirà sempre sostenuto, non potrà deviare né distaccarsene.





IL FILM










I DOCUMENTARI











BIOGRAFIA



Nato a Breslavia, da una famiglia dell’alta borghesia, Dietrich Bonhoeffer studia a Berlino, frequenta corsi di teologia a Tubinga e si occupa fin da giovane del problema di Dio, convinto che Dio sia, come già aveva affermato nell’Ottocento il grande e solitario filosofo danese Sören Kierkegaard, «l’infinita differenza qualitativa», e quindi radicalmente inconoscibile da parte dell’uomo.
Si laurea, consegue la libera docenza e si trasferisce a New York. In un ambiente di spiccato pluralismo religioso, accentua la sua convinzione ecumenica dell’esigenza delle varie confessioni religiose cristiane di allargare i propri orizzonti e di cercare una riunificazione radicale, sulla base della comune fede in Cristo.

Nella Resistenza tedesca

Nel 1933 la situazione in Germania precipita. Hitler diventa cancelliere. Bonhoeffer ritorna in patria e prende coraggiosamente posizione. Critica l’aspirazione del popolo tedesco di avere un «capo» e afferma profeticamente che il Führer potrà facilmente diventare un Verführer, un seduttore e un corruttore. Per queste sue opinioni, nel 1936 viene privato della libera docenza.
Torna negli Usa. Ma nel 1939, con la netta sensazione dell’imminente scoppio della guerra (comincerà il 3 settembre di quell’anno), ritorna in Germania, per essere vicino al suo popolo. Ha dapprima una grave crisi di coscienza, che supera, egli pastore luterano, decidendo di entrare a far parte della Resistenza tedesca. Motiva la sua scelta pensando che se un’auto potente, guidata da un autista ubriaco, semina la strage, non è sufficiente venire in soccorso alle persone investite, ma è necessario fermare in ogni modo il guidatore.

Etsi Deus non daretur

Intanto prosegue la sua ricerca teologica e filosofica, diretta anzitutto a elaborare un’etica della responsabilità e dell’autonomia dell’uomo, con una forte critica alla tendenza - sia luterana che cattolica - a non incarnarsi e impegnarsi fattivamente nella storia umana, confidando troppo nella vita ultraterrena. «Chi sta con un piede solo sulla terra - scrive umoristicamente Bonhoeffer - rischia di stare poi con un piede solo in cielo». Del resto l’uomo moderno sente fortissima la sua autonomia, e ha tante volte l’impressione del «totale silenzio di Dio». Continua audacemente Bonhoeffer: «Non possiamo essere onesti senza riconoscere che dobbiamo vivere nel mondo, etsi deus non daretur (anche se Dio non ci fosse). E appunto questo riconosciamo davanti a Dio! Dio stesso ci obbliga a questo riconoscimento... Dio ci dà a conoscere che dobbiamo vivere come uomini capaci di far fronte alla vita senza di lui. Il Dio che è con noi è il Dio che ci abbandona... Dio si lascia cacciare fuori dal mondo sulla croce, Dio è impotente e debole nel mondo e appunto solo così egli ci sta al fianco e ci aiuta».

Nessun Dio tappabuchi

E così egli rifiuta, facendo propria l’intuizione critica di Nietzsche, l’ipotesi di un «Dio tappabuchi», ossia di ricorrere a Dio come a una specie di bacchetta magica, capace di risolvere d’incanto tutti i problemi dell’uomo. La fede e l’annuncio di Dio non devono essere fatti in modo strumentale, prendendo occasione dalle debolezze e fragilità umane, dalla colpa o dalla morte. Dio deve essere annunciato e vissuto dal centro della vita e della intraprendenza dell’uomo. La Chiesa stessa troppe volte ha avuto a cuore solo la propria sopravvivenza, incapace così di portare un attivo contributo al mondo. Il tempo attuale esige silenzio e azione. Un autentico credente ha solo davanti a sé due compiti: pregare e operare tra gli uomini secondo giustizia, vivendo un Cristianesimo essenziale non religioso, ma capace di donare un nuovo stile di vita.

Lettere alla fidanzata

Intanto la vita di Bonhoeffer si arricchisce: nel giugno 1942 incontra Maria von Wedemayer, 18 anni. È amore a prima vista, e si arriva rapidamente nel 1943, in piena seconda guerra mondiale, al fidanzamento. Ma la situazione precipita drammaticamente. Il 5 aprile 1943 Dietrich Bonhoeffer viene arrestato a Berlino e rinchiuso nella prigione militare di Tegel, come sospetto congiurato della Resistenza a Hitler, nel clima ormai incipiente di disfatta militare della Germania nazista. In carcere Bonhoeffer scriverà varie lettere agli amici prediletti, che verranno pubblicate dopo la sua morte con il titolo di Resistenza e resa. E parallelamente egli intesse una fitta corrispondenza con Maria. Le lettere umanissime e struggenti verranno pubblicate nel 1992 in tedesco, e nel 1994 in italiano, con il titolo di Lettere alla fidanzata. Cella 92 Dietrìch Bonhoeffer. Maria von Wedemayer 1943/45.
Ne cogliamo solo qualche brano esemplare: «Ho tracciato con il gesso - scrive il 26 aprile 1944 Maria a Dietrich - una linea intorno al mio letto, larga all’incirca come la tua cella. Ci sono un tavolo e una sedia, come io mi immagino. E quando sono seduta lì, credo quasi di essere insieme a te». E il 19 dicembre 1944 Dietrich scrive a Maria la vecchia canzone d’infanzia sugli angeli, che dice: «“Due che mi addormentano, due che mi svegliano”; ma questo essere protetti mattino e sera da invisibili potenze benigne è qualcosa di cui noi adulti abbiamo bisogno non meno dei bambini. Dunque non devi pensare che io sia infelice. E poi che significa felice o infelice? Dipende così poco dalle circostanze, ma soltanto da quello che avviene nell’uomo. Io sono contento di avere te, voi, e ciò mi rende felice».

Hitler in persona dà l’ordine

Ma la situazione precipita. Vengono casualmente scoperti dalla Gestapo documenti estremamente compromettenti, da cui risulta che Bonhoeffer fa parte di un gruppo di resistenza frontale al regime hitleriano: perciò dalla più blanda prigione militare di Tegel, viene trasportato nella prigione sotterranea severissima di Prinz-Albrecht Strasse, in un regime di totale isolamento. E qui riesce ancora a mandare uno struggente biglietto di auguri natalizi a Maria, ai genitori e fratelli, con questi versi particolarmente toccanti: «Il vecchio vuole ancora tormentare i nostri cuori / ancora ci opprime il grave peso di brutti giorni; / oh, Signore, dona alle nostre anime impaurite / la salvezza per la quale ci hai creati».
Nell’imminenza dell’arrivo ormai dei Sovietici vicino a Berlino, Bonhoeffer nel febbraio 1945 viene trasferito nel famigerato campo di concentramento di Buchenwald; e poi di qui nella selva bavarese. Ma il 5 aprile la Gestapo trova casualmente altri documenti inoppugnabili, secondo i quali Bonhoeffer aveva partecipato a una congiura tesa a eliminare lo stesso Hitler. E fu Hitler in persona a dare l’ordine di uccidere immediatamente, dopo un processo sommario, i congiurati, facendo esplicitamente il nome di Bonhoeffer.
Dietrich viene rintracciato dall’ancora funzionante apparato delle SS, processato rapidamente l’8 aprile davanti alla corte marziale, e il 9 aprile impiccato nella città di Flòssenburg. Da una testimonianza precisa, sappiamo che le sue ultime lucide parole furono: «È la fine. Per me l’inizio di una nuova vita».
Maria verrà a conoscere con certezza la morte tragica del fidanzato solo nel giugno 1945. Sabrina, una nipote di Bonhoeffer, ci ha lasciato questa testimonianza su Maria: «Non avevo mai visto una ragazza così splendida. Emanava tanta vitalità e luce. Potevo ben capire lo zio Dietrich». Maria von Wedemaver morirà di cancro negli Usa nel 1977. I due eccezionali fidanzati erano stati definitivamente riuniti dalla morte, «il gran sonno che tutti ci accomuna» della sapienza greca.




IL MATRIMONIO



Il matrimonio è più del vostro amore reciproco.
ha maggiore dignità e maggior potere.
Finché siete solo voi ad amarvi, il vostro sguardo
si limita nel riquadro isolato della vostra coppia.
Entrando nel matrimonio siete invece un anello
della catena di generazioni che Dio fa andare e venire
e chiama al suo regno.

Nel vostro sentimento godete solo il cielo privato della vostra felicità.
Nel matrimonio, invece, venite collocati attivamente nel mondo e ne divenite responsabili.

Il sentimento del vostro amore appartiene a voi soli.
Il matrimonio, invece, è un'investitura e un ufficio.
Per fare un re non basta che lui ne abbia voglia,
occorre che gli riconoscano l'incarico di regnare.
Così non è la voglia di amarvi, che vi stabilisce come strumento della vita.
E' il matrimonio che ve ne rende atti.
Non è il vostro amore che sostiene il matrimonio:
è il matrimonio che d'ora in poi,
porta sulle spalle il vostro amore.

Dio vi unisce in matrimonio: non lo fate voi, è Dio che lo fa.
Dio protegge la vostra unità indissolubile di fronte
ad ogni pericolo che la minaccia dall'interno e dall'esterno.
Dio è il garante dell'indissolubilità.
E' una gioiosa certezza sapere che nessuna potenza terrena,
nessuna tentazione, nessuna debolezza
potranno sciogliere ciò che Dio ha unito.




LE OPERE DI BONHOEFFER DA SCARICARE






Dietrich Bonhoeffer
L'essenza della Chiesa 




Dietrich Bonhoeffer
Venga il tuo Regno 


Dietrich Bonhoeffer 
Sequela 


Dietrich Bonhoeffer 
Vita comune 





GLI APPROFONDIMENTI




L’attualità di Dietrich Bonhoeffer (1906-1945)


Dietrich Bonhoeffer, giovane pastore simbolo della resistenza tedesca contro il nazismo, conta tra coloro che possono sostenerci sul nostro cammino di fede. Lui che, nelle ore più oscure del XX secolo, ha dato la sua vita fino al martirio, scriveva in prigione queste parole che ormai cantiamo a Taizé: «Dio, raccogli i miei pensieri verso di te. Presso di te la luce, tu non mi dimentichi. Presso di te l’aiuto, presso di te la pazienza. Non capisco le tue vie, ma tu conosci il cammino per me».
Ciò che colpisce in Bonhoeffer è la sua somiglianza con i Padri della Chiesa, i pensatori cristiani dei primi secoli. I Padri della Chiesa hanno svolto tutto il loro lavoro partendo dalla ricerca di un’unità di vita. Erano capaci di riflessioni intellettuali estremamente profonde, ma allo stesso tempo pregavano molto ed erano pienamente integrati nella vita della Chiesa del loro tempo. Troviamo questo in Bonhoeffer.
Intellettualmente era quasi superdotato. Ma allo stesso tempo quest’uomo ha tanto pregato, ha meditato la Scrittura tutti i giorni, fino agli ultimi momenti della sua vita. La comprendeva, come una volta ha detto Gregorio Magno, come una lettera di Dio che gli era indirizzata. Anche se veniva da una famiglia dove gli uomini – suo padre, i suoi fratelli – erano praticamente agnostici, anche se la sua Chiesa, la Chiesa protestante di Germania, l’avesse molto deluso al momento del nazismo e ne avesse molto sofferto, è vissuto pienamente nella Chiesa.
Rilevo tre scritti:
La sua tesi di laurea, Sanctorum Communio, ha qualcosa d’eccezionale per l’epoca: un giovane studente di 21 anni scrive una riflessione dogmatica sulla sociologia della Chiesa partendo da Cristo. Riflettere a partire da Cristo su ciò che la Chiesa dovrebbe essere sembra incongruente. Molto più di una istituzione, la Chiesa è per lui il Cristo esistente sottoforma di Chiesa. Cristo non è un po’ presente attraverso la Chiesa, no: Egli esiste oggi per noi sottoforma di Chiesa. È completamente fedele a san Paolo. Questo Cristo ha preso su di sé la nostra sorte, ha preso il nostro posto. Questo modo di fare di Cristo rimane la legge fondamentale della Chiesa: prendere il posto di coloro che sono stati esclusi, di quelli che si trovano fuori, come Gesù ha fatto durante il suo ministero e già nel momento del suo battesimo. Colpisce come questo libro parli dell’intercessione: essa è come il sangue che circola nel Corpo di Cristo. Per esprimere questo, Bonhoeffer si appoggia sui teologi ortodossi. Egli parla anche della confessione, che non era praticamente più in uso nelle Chiese protestanti. Immaginate: un giovane uomo di 21 anni afferma che è possibile che un ministro della Chiesa ci dica: «I tuoi peccati sono perdonati» e che affermi che ciò fa parte dell’essenza della Chiesa: quale novità nel suo contesto!
Il secondo scritto è un libro che ha redatto quando è stato chiamato a diventare direttore di un seminario per studenti in teologia che progettavano un ministero nella Chiesa confessante, uomini che dovevano prepararsi a una vita molto dura. Quasi tutti hanno avuto a che fare con la Gestapo, certuni sono stati gettati in prigione. In tedesco il titolo è estremamente breve: Nachfolge, in italiano Sequela. Ciò dice tutto sul libro. Come prendere seriamente ciò che Gesù ha espresso, come non metterlo in disparte come se le sue parole fossero d’altri tempi? Il libro lo dice: seguire non ha contenuto. Ci sarebbe piaciuto che Gesù avesse un programma. E tuttavia no! Alla sua sequela, tutto dipende dalla relazione con lui: lui è davanti e noi seguiamo.
Seguire, vuol dire, per Bonhoeffer, riconoscere che, se Gesù è veramente ciò che ha detto di sé, ha nella nostra vita diritto su tutto. È il «mediatore». Nessuna relazione umana può prevalere contro di lui. Bonhoeffer cita le parole di Cristo che chiamano a lasciare i genitori, la famiglia, tutti i propri beni. Ciò fa un po’ paura oggi, e si è potuto rimproverarlo a questo libro: Bonhoeffer non dà un’immagine troppo autoritaria di Cristo? Però si legge nel Vangelo quanto le persone siano rimaste stupite dall’autorità con cui Gesù insegna e con la quale caccia gli spiriti maligni. C’è un’autorità in Gesù. Eppure, egli si dice tutt’altro rispetto ai Farisei, mite e umile di cuore, cioè egli stesso provato e al di sotto di noi. È così che si è sempre presentato ed è dietro questa umiltà che sta la vera autorità.
Tutto questo libro è costruito così: ascoltare con fede e mettere in pratica. Se si ascolta con fede, se ci si rende conto che è lui, Cristo, che parla, non si può non mettere in pratica quel che ha detto. Se la fede si fermasse davanti alla messa in pratica, non sarebbe più fede. Porrebbe un limite al Cristo che abbiamo ascoltato. Certo, sotto la penna di Bonhoeffer, ciò può sembrare un po’ troppo forte, ma la Chiesa non ha sempre nuovamente bisogno di quell’ascolto? Un ascolto semplice. Un ascolto diretto, immediato, che crede sia possibile vivere ciò che Cristo chiede.
Il terzo scritto, sono le famose lettere di prigionia, Resistenza e resa. In un mondo in cui egli percepisce che Dio non è più riconosciuto, in un mondo senza Dio, Bonhoeffer si pone la domanda: come parleremo di Lui? Cercheremo di creare dei domini di cultura cristiana, immergendo nel passato, con una certa nostalgia? Cercheremo di provocare bisogni religiosi nelle persone che apparentemente non ne hanno più? Oggi si può dire che c’è un rifiorire d’interesse religioso, ma spesso solo per dare una vernice religiosa alla vita. Sarebbe falso da parte nostra creare esplicitamente una situazione nella quale le persone avrebbero bisogno di Dio.
Come parleremo allora di Cristo oggi? Bonhoeffer risponde: con la nostra vita. È impressionante vedere come descrive il futuro al suo figlioccio: «Viene il giorno in cui sarà forse impossibile parlare apertamente, ma noi pregheremo, faremo ciò che è giusto, il tempo di Dio verrà». Bonhoeffer crede che il linguaggio necessario ci sarà dato con la vita. Possiamo tutti risentire oggi, anche nei confronti di coloro che sono a noi più vicino, una grande difficoltà a parlare di redenzione per mezzo di Cristo, della vita dopo la morte o, più ancora, della Trinità. Tutto questo è così lontano a delle persone che, in un certo senso, non hanno più bisogno di Dio. Come avere questa fiducia che se viviamo di questo, il linguaggio ci sarà donato? Non ci sarà dato se rendiamo il Vangelo accettabile sminuendolo. No, il linguaggio ci sarà donato se viviamo veramente di esso.
Nelle sue lettere, come nel suo libro su seguire il Cristo, tutto termina in una maniera quasi mistica. Egli non avrebbe voluto che si dicesse questo, ma quando si tratta d’essere con Dio senza Dio, si pensa a san Giovanni della Croce, o a santa Teresa di Lisieux in quella fase così dura che ha attraversato alla fine della sua vita. È questo che voleva Bonhoeffer: rimanere con Dio senza Dio. Osare stare accanto a Lui quando è rifiutato, rigettato. Ciò dona una certa gravità a tutto quanto ha scritto. Bisogna tuttavia sapere che egli era ottimista. La sua visione dell’avvenire ha qualcosa di liberante per i cristiani. Egli aveva fiducia; la parola fiducia ritorna molto spesso nelle sue lettera di prigionia.
In prigione, Bonhoeffer avrebbe voluto scrivere un commento al salmo 119, ma è arrivato solo alla terza strofa. In quel salmo un versetto riassume bene ciò che Bonhoeffer ha vissuto: Tu, Signore, sei vicino, tutti i tuoi precetti sono veri. Dietrich Bonhoeffer ha vissuto questa certezza che Cristo è realmente vicino, in tutte le situazioni, anche quelle estreme. Tu, Signore, sei vicino, tutti i tuoi precetti sono veri. Possiamo credere che ciò che tu ordini non solo è vero, ma degno della nostra intera fiducia.
Di frère François di Taizé




Libertà e disciplina
La spiritualità di Dietrich Bonhoeffer 1
Fulvio Ferrario

Alla vigilia dell'ultima battaglia
Se tu parti alla ricerca della libertà,2 impara soprattutto
la disciplina dei sensi e dell'anima, affinché i desideri
e le tue membra non ti portino ora qui ora là.
Casti siano il tuo spirito e il tuo corpo, a te pienamente sottomessi
ed ubbidienti, nel cercare la meta che è loro assegnata.
Nessuno apprende il segreto della libertà, se non attraverso ladisciplina.3
Così scrive Dietrich Bonhoeffer in una poesia, Stazioni sulla via verso la libertà, inviata dal carcere di Tegel all'amico Eberhard Bethge, il 21 luglio 1944. Il giorno prima, Hitler è uscito quasi illeso dall'attentato dinamitardo compiuto dal conte Claus von Stauffenberg: fallisce così, per un caso che ha dell'incredibile, la cospirazione ordita da un gruppo di militari che hanell'Abwehr, il servizio segreto militare diretto dall'ammiraglio Canaris, un importante punto di riferimento. Di questo gruppo faceva parte Bonhoeffer stesso, introdottovi dal cognato, Hans von Dohnanyi: l'arresto di Bonhoeffer e von Dohnanyi, il 5 aprile 1943, era stato appunto conseguenza di un'inchiesta riguardante aspetti, in sé secondari, dell'attività dell'Abwein.4Dal carcere, il prigioniero, che seguiva con trepidazione le sorti di «Klaus»,5 coglie lucidamente la portata della catastrofe e si prepara ad affrontare l'ultima prova: con disciplina, appunto, del corpo e dell'anima, che permetta di chiamare a raccolta tutte le energie, che certamente saranno necessarie. Quando parla di disciplina, Bonhoeffer sa quello che dice: preghiera e lettura biblica quotidiane, abitudine al silenzio, all' organizzazione severa della giornata, ed anche a precise pratiche ascetiche, sono parte integrante, e anzi decisiva, della sua personalità di credente. Tutto ciò, però, non è innato in lui: egli lo ha imparato.

Da teologo a cristiano
Bonhoeffer proviene da una famiglia dell'alta borghesia: il padre, psichiatra di fama, professa un prudente agnosticismo in materia religiosa; la madre è una credente luterana, di formazione pietista: la sua fede semplice ma autentica incontra il rispetto del marito, che le delega la formazione cristiana dei figli. Anche Kate Horn, la governante che si occupa di Dietrich e della sorella gemella Sabine è una convinta pietista, radicata nella tradizione di Herrnhut. A casa Bonhoeffer si prega a tavola, festività come Natale o Capodanno vengono celebrate in un clima in cui la dimensione popolare-familiare si fonde armonicamente con quella propriamente cristiana, tuttavia non si frequenta regolarmente il culto.
Iscrivendosi alla facoltà teologica, Dietrich è mosso soprattutto da interessi di tipo teoretico e culturale; ottiene immediatamente risultati brillantissimi: non ancora ventiduenne conclude gli studi, due anni dopo è libero docente all'università e pare dunque destinato a una folgorante carriera accademica, in linea con le tradizioni familiari. Nel 1930 parte per un soggiorno di studio a New York, nel corso del quale sorprende l'amico Paul Lehmann per la sua libertà in fatto di partecipazione al culto: se, teologicamente, Bonhoeffer risente dell'influenza barthiana, il suo atteggiamento spirituale sembra ancora quello del Kulturprotestantismus proprio della grande tradizione borghese prussiana da cui proviene. Due anni dopo, i suoi conoscenti incontrano un uomo profondamente cambiato, in cui l'impegno teologico si fonde con una intensa vita di fede personale, nonché con una forte passione per l' ortodossia dottrinale, intesa come lealtà solidale con la fede della chiesa. Abbiamo alcune testimonianze dirette, benché non dettagliate, su questa sorta di conversione da una fede prevalentemente «pensata» ad una anzitutto «vissuta»,6 che dovrebbe potersi datare tra la fine dell'estate e l' autunno del 1932.7 Anni dopo, Bonhoeffer giudica alquanto spietatamente i suoi inizi accademici, ritenendoli caratterizzati da «smisurata ambizione»:
La Bibbia, e in particolare il Sermone sul monte, mi ha liberato da tutto ciò. In seguito, tutto è cambiato. L'ho avvertito nettamente, ed anche altri intorno a me. Un'immensa liberazione. Ho compreso chiaramente che la vita di un servitore di Cristo deve appartenere alla chiesa; e, passo passo, si è precisata questa esigenza assoluta.8
È interessante osservare che lo stesso stile letterario e teologico di Bonhoeffer è influenzato dal mutato atteggiamento spirituale: libri e saggi sono meno ermetici, l'esegesi 9 occupa uno spazio maggiore, il legame con il contesto ecclesiale (peraltro tutt'altro che assente nelle opere giovanili) si fa più evidente. La preghiera e la meditazione biblica quotidiana diventano l'asse portante della giornata, senza il quale il lavoro teologico, e la stessa vita di fede, gli paiono inconcepibili.10 Il Sermone sul monte lo indirizza verso un pacifismo radicale alquanto estraneo alla tradizione luterana (come, del resto, alla corrente principale dell'insieme del cristianesimo storico): ancora anni dopo, i seminaristi di Finkenwalde ne saranno alquanto stupiti. A partire da questo periodo, la categoria della «semplicità» dell'obbedienza svolge un ruolo essenziale: semplice significa integro, completo, indiviso (nel senso deltéleios di Mt. 5,48, e dell' aplós di Giac. 1,5)11; ma significa anche legato alla parola biblica così come essa si offre; inSequela,12 Bonhoeffer descriverà con sarcasmo corrosivo l'atteggiamento di chi vuole disinnescare l'esigenza della parola di Gesù mediante le finezze dell'ermeneutica; meglio il giovane ricco, che se non altro si assume la responsabilità di rifiutare la chiamata di Gesù, piuttosto che dire di accettarla, svuotandola però di contenuto mediante una pseudoteologia. Naturalmente, il teologo prende in considerazione l'eventualità che la parola di Dio in Gesù non coincida con la sua formulazione letterale, o che addirittura la ribalti: si tratta però «di un'ultima possibilità dell'esistenza cristiana [...]», abusare della quale significherebbe, semplicemente, liquidare l' obbedienza.13
Non c'è dubbio che il soggiorno americano ha contribuito a favorire questo nuovo atteggiamento spirituale: in particolare, il contatto con le chiese nere di Harlem apre a Bonhoeffer un mondo per lui nuovo; importante anche il rapporto, certo assai critico, con le istanze del Social Gospel,14 che anche in seguito verranno sempre tenute presenti, anche se in un quadro sistematico molto diverso. È a New York che Bonhoeffer incontra il pastore francese Jean Lasserre, convinto pacifista, con cui ha una discussione che, anni dopo, ricorderà da Tegel: «C'eravamo posti molto semplicemente la domanda di che cosa volessimo fare della nostra vita. Egli disse: vorrei diventare un santo (e credo possibile che lo sia diventato); la cosa a quel tempo mi fece una forte impressione. Tuttavia lo contrastai, e risposi press'a poco: io vorrei imparare a credere. Per molto tempo non ho capito la profondità di questa contrapposizione».15 In questa fase, il libero docente Bonhoeffer è anche pastore degli studenti, e instaura la consuetudine di trascorrere, con alcuni di loro, dei fine settimana dedicati alla riflessione, alla preghiera, alla meditazione biblica e allo scambio di idee: una prefigurazione, in miniatura, di Finkenwalde.
La lotta ecclesiale di fronte all'eresia dei «cristiani tedeschi» (negli anni 1933 e seguenti) contribuisce a porre in rilievo l'importanza di un impegno diretto nella vita della chiesa, che può essere sostenuto soltanto da una profonda spiritualità personale. La figura di Gandhi lo attrae parecchio, e Bonhoeffer giunge a progettare un viaggio, poi non effettuato, in India, per studiarne le esperienze di vita comunitaria nonché le idee e la prassi pacifiste;16 questo interesse per Gandhi suscita, tra l'altro, la perplessità un po' ironica di Karl Barth.17 Nel corso di un soggiorno in Inghilterra, il giovane teologo visita alcuni monasteri anglicani, presso uno dei quali matura il suo intenso amore per il Salmo 119, al quale dedicherà, durante la guerra, pagine assai belle;18 in questo periodo, egli si chiede se l'aspetto decisivo della formazione dei giovani pastori non debba essere trasferito dall'ambito dell'università a scuole ecclesiastiche di tipo conventuale, in cui «vengano presi sul serio la vera dottrina, il sermone sul monte e il culto: nessuno dei tre lo è all'università, e sarebbe impossibile altrimenti, date le circostanze»;19 il giovane pastore ritiene ormai che una teologia puramente accademica sia del tutto inadeguata alle sfide che la storia propone alla chiesa e ai predicatori della parola. Più in generale, egli si attende la rinascita della chiesa da una sorta di «nuovo monachesimo»,20 in cui la radicalità della vita cristiana al seguito di Gesù venga proposta e testimoniata alla chiesa intera come una possibilità concretamente praticabile, alternativa rispetto a ciò che la società, e con essa un protestantesimo spiritualmente infiacchito, ritengono «ovvio».

Finkenwalde
Nel 1935, Bonhoeffer è nominato direttore di un seminario della Chiesa confessante, in cui i giovani candidati al ministero completano, dopo lo studio universitario, la loro formazione. Questo istituto, che dopo le prime settimane di attività a Zingst, sul Baltico, si trasferisce nella non lontana Finkenwalde, sarà il laboratorio in cui le idee del teologo, non ancora trentenne, verranno messe alla prova. Sulla vita del centro siamo assai bene informati, sia grazie alle numerose testimonianze degli allievi,21 sia perché Bonhoeffer ha condensato le sue riflessioni su quest'esperienza in una delle sue opere più famose, Vita comune.
La parola di Dio apre la giornata e la conclude: prima della meditazione mattutina e dopo quella serale, si osserva un rigoroso silenzio; la preghiera valorizza ampiamente i Salmi: nel corso della settimana, secondo l'uso monastico, viene recitato l'intero salterio; la lettura biblica comprende un passo dall'Antico Testamento e uno dal Nuovo, di solito seguito da una preghiera spontanea; nelle vigilie delle festività, Bonhoeffer offre una meditazione esegetica sui testi; il canto corale accompagna il culto, concluso con la benedizione. Dopo la colazione, iniziano i corsi. Mezz'ora di canto prima del pranzo, di nuovo studio nel pomeriggio. Spesso i pasti sono accompagnati dalla lettura a voce alta di un testo (ancora un evidente retaggio monastico), ma non necessariamente religioso: in questo modo, Bonhoeffer si propone, tra l'altro, di colmare vistose lacune nella cultura generale dei candidati. Dopo cena, musica e passatempi, prima della preghiera conclusiva della giornata (circa tre quarti d'ora). La meditazione silenziosa, della durata di circa mezz'ora, crea ai candidati particolari difficoltà di concentrazione, che Bonhoeffer suggerisce di superare legando la riflessione a un testo biblico. Quando un dirigente della Chiesa confessante osserva che «ora non abbiamo tempo per la meditazione, i candidati devono imparare a predicare e a fare catechismo», Bonhoeffer reagisce con ira: «considero una cosa del genere come frutto di totale disinformazione su ciò che è oggi un giovane teologo, o di una spaventosa ignoranza del modo in cui nasce una predicazione o una catechesi».22 Il lezionario dei Fratelli Moravi(Losungen), con la sua proposta di versetti per ogni giorno, è particolarmente apprezzato, e, come vedremo, accompagnerà fino alla fine la meditazione di Bonhoeffer;23 tuttavia, egli segnala il rischio che la Scrittura venga ridotta a un'antologia di versetti: essa deve essere letta continuativamente e integralmente, perché solo «negli innumerevoli richiami interni, nel rapporto tra Antico e Nuovo Testamento, promessa e adempimento, sacrificio e legge, legge ed evangelo, croce e risurrezione, fede e ubbidienza, avere e sperare, si può comprendere integralmente la testimonianza del Signore Gesù Cristo».24 Questa intensa vita meditativa e di preghiera non costituisce solo la cornice del lavoro teologico, ma ne pervade l'essenza stessa, come risulta dal materiale dei corsi pubblicato da Bonhoeffer stesso (in particolare il volume Sequela, del 1937), oppure edito postumo sulla base degli appunti degli studenti. Il corso di omiletica 25 e quello di pastorale 26 sono autentiche meditazioni teologiche sul ministro della chiesa di Gesù Cristo. «Il pastore incontra la Bibbia in tre diversi momenti: sul pulpito, sul tavolo da lavoro e in preghiera»27 e queste tre situazioni devono mantenere ad un tempo la loro unità e la loro specificità. Lo studio della Bibbia unicamente finalizzato alla predicazione domenicale impedisce una conoscenza estesa e profonda del testo, riducendolo a oggetto di analisi e strumento di lavoro, sicché il pastore, da testimone di Gesù Cristo, diviene un mestierante; può predicare solo chi percorre personalmente la Bibbia in tutta la sua ampiezza, come Lutero, che leggeva il Nuovo Testamento tre volte all'anno, e l'Antico almeno una volta; sempre Lutero aveva nella sua stanza l' inginocchiatoio, oggi scomparso, secondo Bonhoeffer a torto, dallo studio del pastore. «La maggior distretti per il pastore nasce dalla sua teologia. Sa tutto ciò che l'uomo può sapere sul peccato e sul perdono. Sa che cos'è la vera fede e se lo ripete tante volte fino a non vivere più nella fede, ma nella riflessione sulla fede. Sa persino che la sua incredulità è la forma corretta della fede: "Io credo, Signore, sovvieni alla mia incredulità" (Mc. 9,24)».28 Naturalmente, l'identità del ministero ,della parola dipende dalla grazia di Dio e non dalle disposizioni soggettive del predicatore, e dunque neanche dalla sua spiritualità personale; se però l'oggettività della grazia viene scambiata con la possibilità di separare, anche parzialmente, anche con motivazioni teologiche apparentemente plausibili, predicazione e discepolato, la teologia diventa ideologia.
Contro la superficialità spirituale che pretende di addomesticare Dio stesso mediante gli artifizi della teologia e, in generale, in vista di una vita cristiana consapevole, Bonhoeffer non si stanca di sottolineare l'importanza della confessione individuale:29 solo là dove il mio peccato è chiamato per nome e dove la parola del perdono mi proviene dall'esterno, attraverso un altro essere umano,30 legge ed evangelo sono vissuti fino in fondo sul piano personale. Diversamente, ci si pone sul piano della «grazia a buon mercato», che non viene da Dio, ma che siamo inclini a concedere a noi stessi, senza che la nostra vita possa esserne trasformata. Proprio il ripudio della grazia a buon mercato, in nome di quella autentica, costata il «caro prezzo» del sangue di Cristo, è il tema centrale del primo capitolo di Sequela: la resistenza della Chiesa confessante, con tutte le sue difficoltà, rende ancor più evidente quanto già prima avrebbe dovuto esser chiaro: che la fede cristiana può solo essere, ormai, discepolato; il tempo in cui un cristianesimo sociologico, che non costa nulla, poteva essere teoricamente, benché erroneamente, immaginabile, è ormai finito per sempre.
Il 6 settembre 1935, Bonhoeffer inoltra alla dirigenza della sua chiesa la proposta di istituire, nell'ambito del seminario, una comunità stabile, composta da persone (ex seminaristi) determinate a impegnarsi per un periodo relativamente lungo a vivere in comune, in uno stile di estrema sobrietà;31 per rendere l'idea delle proprie intenzioni, menziona una casa madre di diaconesse evangeliche. Si tratta, ovviamente, della messa in pratica del progetto di rileggere in chiave protestante lo stile di vita monastico; come per il seminario, anche per la comunità fraterna non si tratta di un atteggiamento di fuga dal mondo, tesa a ricercare in una comunità autoreferente l'ideale spirituale che la concretezza e la complessità della storia non permettono di perseguire; al contrario, «lo scopo non è quello di un isolamento claustrale, ma della concentrazione per il servizio all'esterno».32 Oltretutto, Bonhoeffer è convinto che la drammatica emergenza in cui si trova la Chiesa confessante, con le difficoltà e i rischi connessi, richieda, almeno ad alcuni tra i pastori, una totale libertà da vincoli familiari: per questo motivo, senza che la cosa sia risaputa, neanche dal gruppo a lui più vicino, egli rinuncia, in questo periodo, a dar seguito a un'amicizia con una donna, che avrebbe potuto diventare amore.33
L'esperienza di Finkenwalde viene considerata con perplessità da più d'uno 34 e ancor oggi non manca chi la sospetta di essere poco protestante e tendenzialmente introversa. Per coglierne la natura e lo specifico, può essere d'aiuto un confronto con il movimento di Berneuchen, che dagli anni Venti era impegnato in un tentativo di rivitalizzazione della chiesa, partendo dalla spiritualità.35 In questo movimento, c'è un tipo di interesse liturgico e un'enfasi sull'aspetto emotivo dell'esperienza di fede alquanto problematici per circoli comunque legati a una teologia della parola;36 peraltro, disciplina nella preghiera quotidiana e passione per i Salmi, attenzione alla «vita sacramentale», accentuato interesse per la vita comunitaria e per la sua espressione visibile, valorizzazione della confessione individuale, sono caratteristiche anche dei Berneuchener; Bonhoeffer è però scettico nei confronti dell'elaborazione di uno «stile» di vita spirituale, che vede come una indebita aggiunta rispetto all'opera dello Spirito santo, che agisce nella verità della parola biblica;37 vede nella ricerca liturgica e nell'eccessivo interesse per i simboli il rischio di relativizzare la centralità della parola predicata, ma soprattutto, dal suo punto di vista, l'autenticità cristiana di ogni tipo di praxis pietatis si verifica in base al legame con la testimonianza della chiesa nell'ora della prova e, concretamente, nel Kirchenkampf e nella solidarietà con i perseguitati: il famoso detto di Bonhoeffer: «Chi non alza la voce per gli ebrei, non può neppure cantare il gregoriano»38 ha certo una valenza autocritica nei confronti della Chiesa confessante, ma colpisce anche il distacco dei Berneuchenerdalla situazione politica e dalle sue sfide. La portata drammatica del contrasto si evidenzia in un episodio della settimana santa 1944,39 in seguito al quale Dietrich riprende la critica allo «stile» Berneuchener, e tra le righe accusa il movimento di coprire le vere alternative poste dalla storia con altre fittizi.40 Già a Finkenwalde, anche se con accenti diversi rispetto alle riflessioni di Tegel, il problema di Bonhoeffer non è di sviluppare un ideale di santità, ma di preparare lo spirito e il corpo alle dure sfide imposte dal discepolato cristiano, in una fase storica crudele. Hellmut Traub, che lo sostituirà alla guida dei vicariati collettivi, testimonia che già nel 1937 o 1938 Bonhoeffer è convinto che la situazione politica esiga un'azione conseguente, che non rimanga sul piano della testimonianza, ma si assuma, mondanamente (welthaft), le proprie responsabilità.41

America
Il seminario di Finkenwalde viene chiuso dal regime nel 1937, il che segna la fine dell'esperimento di vita comunitaria «stabile»; gli ex allievi (un buon numero dei quali viene anche imprigionato per un certo tempo) rimangono in contatto, grazie anche alle circolari che Bonhoeffer spedirà finché gli sarà possibile. Il teologo inizia a occuparsi dei cosiddetti «vicariati collettivi», mediante i quali la Chiesa confessante prosegue la formazione dei propri ministri: più tardi, verranno anch'essi chiusi dalla Gestapo. Alla fine della primavera 1939 Bonhoeffer, nel frattempo entrato in contatto con alcuni esponenti del futuro gruppo di cospiratori, decide di recarsi negli Stati Uniti, dove potrebbe scegliere tra diverse offerte di lavoro, nell'ambito della teologia accademica e dell'attività pastorale: egli intende gettare ponti tra la sua chiesa e la realtà americana; inoltre, la prevedibile chiamata alle armi, cui egli pensa di rispondere con l'obiezione di coscienza, creerebbe un caso alquanto scomodo per la Chiesa confessante, che dunque accetta la partenza di un esponente così prezioso. Il diario di quelle settimane 42tradisce però una profonda insicurezza circa la reale volontà di Dio: giunto in America, Dietrich non riesce più a scorgere il suo compito in quella situazione; si aggiunge la nostalgia di casa, che è soprattutto nostalgia della preghiera comune, del culto domenicale; giunto a New York il 12 giugno, il 20, dopo un aspro conflitto interiore, ha già deciso di rientrare in Germania, lasciando una certa perplessità, e anche un po' d'irritazione, in chi l'aveva invitato. Il 3 luglio scrive nel diario: «devo stare attento a non diventare trascurato nella lettura della Bibbia e nella preghiera»:43 le sue riflessioni sono però un continuo dialogo con la Scrittura, in particolare con le Losungen, che egli riferisce direttamente alla propria situazione; il 26 giugno, si imbatte casualmente in II Tim. 4,21: «fa’ di tutto per tornare prima dell'inverno», e ne rimane molto colpito: «Non è un abuso della Scrittura, se io lo prendo come diretto a me. Se Dio mi dà la grazia per questo».44 Bonhoeffer si rende conto di aver preso una decisione di portata decisiva per la propria vita; in patria, assieme ai fratelli e alle sorelle della Chiesa confessante, non possono che attenderlo difficoltà gravissime: quando a Tegel, tuttavia, ripenserà a quella scelta, non la rimpiangerà;45 si fa, è vero, diversi scrupoli sulle motivazioni: per quanto una simile decisione possa sembrare coraggiosa, essa nasconde, secondo Dietrich, anche paure e giudizi personali, e quanti vorrebbero che si fermasse in America se ne rendono conto,46ma «Dio non agisce solo per mezzo di stimoli religiosi, ma anche vitali».47 Il 20 giugno, dopo la grande decisione, così conclude il resoconto nel diario: «Alla fine della giornata posso solo pregare che Dio voglia dare un giudizio misericordioso su questo giorno e su tutte le decisioni. Tutto è ora nelle sue mani».48 Alle 0,30 dell'8 luglio, la nave con a bordo Bonhoeffer si stacca dalla banchina: convinto che solo la partecipazione alla tragedia del suo popolo gli darà il diritto di partecipare all' avventura della ricostruzione, il giovane teologo va incontro alla vocazione del suo Dio, ascoltata nel tumulto del cuore, nei versetti biblici, nella battaglia della preghiera, nella nostalgia per i compagni di lotta rimasti a casa; quello che parte per la Germania è un uomo non privo di turbamenti, ma fondamentalmente lieto, consapevole di avere un compito da svolgere, e determinato ad assumerlo.49

Resistenza e prigionia
Nei mesi e negli anni seguenti, fino al suo arresto, Bonhoeffer vive una tripla esistenza: teologo, agente segreto, congiurato. Per il convinto pacifista, disposto a opporre obiezione di coscienza alla chiamata alle armi, e a pagarne il prezzo, non dev'essere facile entrare nell'ordine di idee della partecipazione ad un complotto: per Bonhoeffer, tuttavia, la concretezza del comandamento di Dio nell'oggi prevale sul principio fondamentale della non violenza, poiché il servizio del cristiano non può limitarsi al piano della testimonianza, ma deve osare «mettere i bastoni tra le ruote» della macchina infernale; a maggior ragione, tale concretezza prevale sugli scrupoli di chi vorrebbe che non ci fossero controindicazioni all'azione 50 e sulle eterne riserve ed esitazioni tipiche, secondo Dietrich, dei ceti aristocratici e alto-borghesi 51 e che, a suo parere, la nuova generazione sarà in grado di superare;52 la riflessione bonhoefferiana sulla necessità e le caratteristiche dell'azione ha trovato, com'è noto, espressione lirica nella seconda delle Stazioni sulla via verso la libertà.53
Negli anni convulsi dell'attività clandestina, Bonhoeffer attraversa periodi in cui la frequentazione biblica diminuisce, cosa che gli provoca scrupoli, che egli tuttavia ritiene di poter affidare alla stessa parola di Dio; l'eventualità di trasformare l'abitudine alla disciplina in una spiritualità della costrizione, anche se in un primo tempo non viene direttamente esclusa, lo lascia perplesso:54 egli sente crescere in sé una «resistenza nei confronti di tutto ciò che è "religioso". [...] Non sono un essere religioso. Ma devo ininterrottamente pensare a Dio, a Cristo, e autenticità, vita, libertà e misericordia mi premono molto. Solo, i rivestimenti religiosi mi mettono così a disagio. Capisci? Non si tratta affatto di nuovi pensieri e punti di vista, ma, poiché credo che ora qui dovrà sciogliersi un nodo per me, lascio che le cose seguano il loro corso e non mi oppongo. In questo senso, intendo anche la mia attività attuale nel settore profano».55Questi pensieri verranno tumultuosamente, ma lucidamente, sviluppati a Tegel: essi mostrano con tutta evidenza che le riflessioni sul cristianesimo non religioso non vanno in alcun modo separate dalla praxis pietatis bonhoefferiana, e men che meno ne costituiscono un «superamento»;56 piuttosto, l'esistenza plasmata dalla disciplina sperimenta, in particolare nel vivo della lotta, che l' animo umano ha una molteplicità di registri, ai quali va riconosciuto un proprio, relativo diritto: in quest'ultimo riconoscimento c'è un'evoluzione nel pensiero e prima ancora nel sentire bonhoefferiano, che riscopre uno spazio per la spontaneità, non selvaggia, ma educata.57
Continuità e sviluppo nella spiritualità di Bonhoeffer si riscontrano anche nel periodo della detenzione.58 Egli stabilisceun programma rigoroso per la giornata,59 aperta e chiusa dalla preghiera;60 appena gliela restituiscono, inizia a leggere assiduamente (pur con le pause di cui s'è detto) la Bibbia, e ripete a memoria strofe degli inni di Paul Gerhardt,61 autore che si dimostra «di una validità insospettata»62 e che in effetti è tra i più citati dell'intero epistolario; le Losungen costituiscono una compagnia quotidiana:63 per la Pentecoste 1944 invia a Bethge alcune meditazioni sui versetti di quei giorni 64 e, com'è noto, ancora il giorno precedente la sua esecuzione, predicherà ai compagni di prigionia le letture del giorno; avverte dolorosamente la mancanza del culto (che a volte, «come Giovanni a Patmos», celebra da solo),65 della confessione e della consolatio fratrum;66 l'anno liturgico è la cornice spirituale della vita del prigioniero, non soltanto ne scandisce il tempo, ma ne orienta la meditazione e la preghiera,67 e spesso le lettere scritte di domenica sono datate con il nome liturgico di quel giorno.68 Una volta di più, si ricava l'impressione di una spiritualità altamente strutturata: la creatività di Bonhoeffer si dispiega nel quadro della tradizione della chiesa e da essa trae alimento; come esponente della teologia della parola, che per lui costituisce comunque un punto di non ritorno, e già prima, come erede.critico della tradizione liberale, egli si esprime criticamente nei confronti del pietismo,69 ma non sono pochi, nella sua spiritualità, i tratti di matrice pietista, certo completamente ricontestualizzati, nel quadro di diffidenza nei confronti del «religioso», che già abbiamo visto delinearsi e che in carcere si radicalizza. Indicativo di questa dialettica è quanto egli scrive a Bethge il 21 novembre 1943: «Ho trovato con naturalezza un aiuto nel suggerimento di Lutero di "segnarsi col segno della croce durante la preghiera del mattino e della sera". C'è in questo qualcosa di oggettivo, di cui qui si ha un bisogno particolare. Non spaventarti! Non esco di sicuro di qui come homo Al contrario, la mia diffidenza e la mia paura nei confronti della "religiosità" son diventate qui più grandi che mai».70 Non si tratta affatto, dunque, di «secolarizzare» la vita, liquidando la praxis pietatis, e nemmeno, semplicemente, di aggiornarne le forme, adeguandole a un mondo che mostra di non capire più quelle antiche. Assai più radicalmente, Bonhoeffer pensa la vita di fede e l'esperienza spirituale non come un ambito particolare all' interno della totalità del reale, ma come una dimensione che permea tutta la realtà, qualificandola, ma non colonizzandola, bensì salvaguardandone l'autonomia, che essa ha ricevuto da Dio stesso. Il testo più significativo per indicare la novità di accenti che ora si presenta, all'interno dell'indubbia continuità, è senz' altro la lettera del 21 luglio 1944. Ricordando il colloquio con Jean Lasserre, Bonhoeffer afferma di aver percepito solo in seguito la portata del suo rifiuto del progetto di diventare «santo», a cui egli opponeva quello di «imparare a credere»: «Pensavo di poter imparare a credere tentando di condurre io stesso qualcosa di simile a una vita santa. Come conclusione di questa strada scrissi Nachfolge (Sequela). Oggi vedo chiaramente i pericoli di questo libro, che sottoscrivo come un tempo».71 Sequela intende presentare il discepolato come coinvolgente, in radice, la totalità dell'esistenza, a partire dal «cuore indiviso»,72 contro un cristianesimo imborghesito, che pone lo spazio per Dio accanto al resto della vita, di fatto sottratta alla signoria di Cristo, e dunque «autonoma» in senso empio. Senza relativizzare, neanche parzialmente, questa esigenza, Bonhoeffer si rende ora conto che tale progetto, «pensando ad una santità integrale 'dell'esistenza, rischia di tramutarsi [...] in frattura tra l'esistenza (apparentemente) indivisa del cristiano e il resto del mondo, i pagani».73 Il problema che Bonhoeffer si pone in carcere consiste nell'eliminare la «parzialità» che caratterizza la religione, senza liquidare la solidarietà del cristiano con il mondo; la fede è possibile solo a partire dal cuore indiviso, ma la sua maturità non consiste nel realizzare un ideale di umanità religiosa: non, e questo è sempre stato chiaro, attraverso modelli di tipo intimistico, liturgico, pietistico, ma nemmeno attraverso la rigorosa disciplina spirituale, coniugata con l'adesione a una teologia della parola; la disciplina spirituale, per essere realmente feconda, deve accompagnare e sostanziare un'ulteriore metanoia: «Quando si è completamente rinunciato a fare qualcosa di noi stessi – un santo, un peccatore pentito o un uomo di chiesa (una cosiddetta figura sacerdotale!), un giusto o un ingiusto, un malato o un sano –, e questo io chiamo essere-aldiquà, cioè vivere nella pienezza degli impegni, dei problemi, dei successi e degli insuccessi, delle esperienze, delle perplessità, allora ci si getta completamente nelle braccia di Dio, allora non si prendono più sul serio le proprie sofferenze, ma le sofferenze di Dio nel mondo, allora si veglia con Cristo nel Getsemani, e, io credo, questa è fede, questa èmetanoia, e così si diventa uomini, si diventa cristiani».74 Le ultime parole sono emblematiche: diventare uomini può essere equivalente a diventare cristiani, perché «Gesù non chiama a una nuova religione, ma alla vita»;75 «il cristiano non è un homo religiosus, ma un uomo semplicemente, così come Gesù, a differenza certo di Giovanni Battista – era uomo. Intendo non il piatto e banale essere aldiquà degli illuminati, degli indaffarati, degli indolenti o dei lascivi, ma il profondo essere aldiquà, che è pieno di disciplina e nel quale è sempre presente la conoscenza della morte e della risurrezione. Io credo che Lutero 76 sia vissuto in siffatto essere-aldiquà».77 Ritorna il tema di un'azione al tempo stesso responsabile e non lacerata dagli eventi e dalla contraddizione tra i princìpi, un'azione semplice e «perfetta», nel senso di coinvolgente la totalità esistenziale dell'essere umano: in questo senso, esegeticamente ben fondato, Bonhoeffer legge l'invito alla «perfezione» in Mt. 5,48: il caso opposto è l'uomo «diviso» (dípsychos) di Giac. 1,8.78«Diventare uomo», nell'esistere responsabilmente «aldiquà», significa dunque ancora e sempre seguire Gesù: non però nella forma della separazione religiosa, ma nella «nuova vita nell'"esserci-per-altri", nel partecipare all'essere di Gesù»79 nel mondo e nelle sue sofferenze; la fede cristiana rinuncia a chiamare in causa la potenza di Dio per «violentare religiosamente»80 il mondo diventato adulto; piuttosto, essa condivide le sofferenze di Dio nel mondo senza Dio: qui risiede, in ultima analisi, la differenza tra cristiani e non.81 Del Dio di Gesù, alternativo al «tappabuchi» della religione, si deve parlare «al centro» e non ai margini, ai limiti, della vita,82anzitutto attraverso una prassi che non sia minata alla base dalle riserve e dalle remore religiose. Il fallimento della chiesa (non solo dei Berneuchener, ma anche dei confessanti) di fronte al nazismo è legato al rifiuto di questa conseguente obbedienza «mondana» e pone ora in termini nuovi il problema della testimonianza e dell'azione del credente nel mondo; non solo le strutture e i modelli di comunità, ma anche le grandi parole della fede e i suoi modelli cultuali di espressione sono posti in crisi da questo fallimento, contribuendo a evidenziarne la natura «religiosa», cioè parziale, strutturalmente incapace di incidere nella realtà, perché ad essa non aderente. La chiesa si trova dunque, letteralmente, senza parole: «La nostra chiesa, che in questi anni ha lottato solo per la propria sopravvivenza, come fosse fine a se stessa, è incapace di essere portatrice per gli uomini e per il mondo della parola che riconcilia e redime. Perciò le parole d'un tempo devono perdere la loro forza e ammutolire, e il nostro essere cristiani oggi consisterà solo in due cose: nel pregare e nell' operare ciò che è giusto tra gli uomini. Il pensare, il parlare e l'organizzare, per ciò che riguarda le realtà del cristianesimo, devono ricominciare da questo pregare e da questo operare».83 La «disciplina dell' arcano»,84 cioè proteggere i misteri della fede dalla profanazione, attraverso un silenzio qualificato, è funzionale all'attesa del giorno in cui un nuovo linguaggio, «forse completamente non religioso»,85 sarà nuovamente «capace di liberare e di redimere, come il linguaggio di Gesù».86 La domanda sul significato della spiritualità in un contesto non religioso 87 trova in Bonhoeffer una risposta pratica, vissuta, che non riesce ancora a esprimersi compiutamente in forma teologica.
L'esperienza di un discepolato «mondano» riceve importanti impulsi chiarificatori dall'Antico Testamento, che Bonhoeffer, nel giro di sette mesi, legge due volte e mezza,88 imparando a considerarlo una chiave interpretativa a partire dalla quale comprendere il Nuovo,89 ponendo nel giusto ordine il terreno e penultimo e il celeste ed escatologico, senza rifugiarsi troppo presto nella seconda dimensione: solo così la fede cristiana è preservata dal divenire una religione della redenzione metastorica.90 L'Antico Testamento richiama alla concretezza dell'esistenza terrena e alle sue conseguenze, sia teologiche sia pratiche. Lo stare di fronte a Dio non impedisce, ma anzi determina, l'immersione nella realtà, corposa e contraddittoria, l'assunzione di responsabilità, il rischio delle scelte.
Tra le realtà terrene che, nella prospettiva veterotestamentaria, vedono riconosciuta e insieme orientata la loro autonomia, un posto particolare compete all' amore umano. Evidentemente, la storia d' amore, profonda e tragica, con Maria von Wedemeyer, influenza in profondità le riflessioni di Dietrich. Le lettere dal carcere ce lo presentano come uomo assetato di pienezza di vita terrena, ansioso di poter gridare, il suo «sì alla terra di Dio»,91 convinto che «i cristiani che osano stare sulla terra con un piede solo, staranno con un piede solo anche in cielo»92 e che pensare che «un uomo nelle braccia di sua moglie debba avere nostalgia dell' aldilà, è a dir poco una mancanza di gusto, e comunque non la volontà di Dio»;93 l'amore umano è uno dei temi contrappuntistici che, nella loro autonomia, accompagnano il cantus firmus dell'amore di Dio: a questo proposito, Bonhoeffer si rallegra che il Cantico dei Cantici appartenga alla Bibbia, con tutto il calore della sua passione, poiché proprio là dove «il cantus firmus è chiaro e distinto, il contrappunto può dispiegarsi col massimo vigore».94

La festa suprema della libertà
Questa passione per la vita e la terra (la terra di Dio), sembra crescere, anziché scemare, nella durissima esperienza carceraria, nell'alternarsi, dapprima, di speranza e delusione, e poi nel precipitare della situazione verso la tragedia. L'amata disciplina impedisce a Dietrich di lasciarsi andare: l'espressione dei sentimenti e dei desideri è sempre trattenuta, composta, il che non fa che esaltarne l'efficacia: si ha la sensazione di essere di fronte a una carica di vitalità spirituale, intellettuale, emozionale e fisica, che aspetta solo di poter esplodere. Ancora nelle galere dell'Ufficio Centrale per la sicurezza del Reich, alla Prinz Albrecht Strasse (un «inferno», secondo l'ammiraglio Canaris), il prigioniero si sa «circondato fedelmente e tacitamente da potenze benigne».95 È in tale compagnia che egli compie l'ultimo viaggio, incontro a quella che chiama la «festa suprema della libertà», cercata nella disciplina, nell'azione e nella sofferenza, e che ora lo attende, al termine del cammino:
Vieni ora, festa suprema della libertà,
morte, rompi le gravose catene e le mura
del nostro effimero corpo e della nostra anima accecata,
perché finalmente vediamo ciò che qui non c'è concesso
vedere. Libertà, a lungo ti cercammo nella disciplina, nell'azione e nella sofferenza.
Morendo, te riconosciamo ora nel volto di Dio.96

(“Vorrei imparare a credere”. Dietrich Bonhoeffer (1906-1945), a cura di Fulvio Ferrario, Claudiana 1996, pp.123-147)

1 Nel breve spazio di un articolo, è giocoforza limitarsi a uno schizzo della pro­blematica; per una presentazione delle fonti (con l'eccezione di C92 allora non di­sponibile), cfr. H.R. PELIKAN, Die Freimmigkeit Dietrich Bonhoeffers. Doku­mentation, Grundlinien, Entwicklung, Herder, Wien - Freiburg - Basel, 1982; re­lativamente al tema della preghiera, abbiamo la stimolante monografia di A. ALTENAHR, Dietrich Bonhoeffer - Lehrer des Gebets. Grundlinien far eine Theologie des Gebets bei Dietrich Bonhoeffer, Echter Verlag, Wtirzburg, 1976.
2 Ted.: Freiheit: RR, 448, ha «verità», ma si tratta di una svista.
3 RR, 448.
4 Sul ruolo di Bonhoeffer nell'Abwehr, cfr. DB, 658 ss.; 712 ss. e i capitoli fi­nali, 12, 13, 14 (723-1006), nonché il contributo di S. Bologna, nel presente volu­me.
5 Così chiama, in codice, il putsch, nella lettera a Bethge del 16 luglio 1994, RR, 438: Klaus è il nome di un fratello di Bonhoeffer, anch'egli attivissimo nella cospirazione, arrestato il 1 ottobre 1944, con ogni probabilità torturato nel corso degli interrogatori, condannato a morte il 2 febbraio 1945 e fucilato il 23 aprile, in­sieme, tra gli altri, a Rtidiger Schleicher, cognato di Bonhoeffer e suocero di E. Bethge, e al giurista della Chiesa confessante, Friedrich Justus Perels; le ultime lettere di K. Bonhoeffer e R. Schleicher (nonché di H. von Dohnanyi, J. Delbrtick e dello stesso D. Bonhoeffer), insieme a testimonianze su di loro, sono pubblicate in E. u. R. BETHOE (a cura di), Letzte Briefe aus Wiederstand. Aus dem Kreis der Familie Bonhoeffer, Kaiser, München, 1984.
6 Da teologo a cristiano, dice Bethge, DB, 201 ss. con riferimento alla lettera a una conoscente, gennaio 1936, Scritti,489 s., qui 489: «Avevo già predicato spesso, avevo già visto molto della chiesa, e di questo avevo parlato e scritto, ep­pure non ero ancora divenuto cristiano, ma selvaggio e ribelle continuavo ad es­sere l'unico padrone di me stesso».
7 Cfr. l'argomentazione di A. GALLAS, Non santi ma uomini: l'idea dell'esser­ci-per-altri in Dietrich Bonhoeffer, "Studia Patavina", 37 (1990), 273-294, qui 286 ss.
8 Lettera a una conoscente, gennaio 1936, Scritti, 489 s., qui 489 (ho legger­mente modificato la traduzione italiana per maggiore fedeltà all'originale; d'ora in avanti, i ritocchi non saranno segnalati).
9 Che egli definisce «teologica»: il relativo diritto della critica biblica è rico­nosciuto, ma l'essenziale risiede altrove: su questo approccio esegetico, cfr. CC e il relativo apparato critico.
10 Lettera a Rtidiger Schleicher, 8 aprile 1936, Scritti, 490-493, qui 492.
11 Diverse versioni italiane (CEI, Riveduta 1994) traducono l'avverbio «con generosità»; la TOB ha invece, «con semplicità», il che pare corretto, data la con­trapposizione con l'anèr dtpsychos, l'uomo d'animo doppio, di 1,8. Così rende an­che Bonhoeffer, ad es. EN, 280 s.
12 S, 60 ss.
13 S, 63: «L'interpretazione paradossale del comandamento ha una sua ragio­ne cristiana, ma non deve mai indurre ad annullare la semplice interpretazione let­terale dei comandamenti. Essa ha piuttosto il suo diritto e la sua possibilità solo per chi, in uno dei momenti della sua vita, ha già preso sul serio l'interpretazione sem­plice e letterale [...]. la possibilità infinitamente più difficile, anzi, umanamente parlando, impossibile, di comprendere in modo paradossale la chiamata di Gesù; e proprio come tale rischia di rovesciarsi e di diventare una comoda scappatoia, una fuga davanti all'obbedienza concreta». Quando sviluppa questi pensieri, a Finkenwalde, Bonhoeffer è probabilmente già consapevole che il suo destino fu­turo potrebbe legarsi appunto a un'obbedienza «paradossale» per cui lui, il pacifi­sta, sarà chiamato all'uso della violenza, per amore delle vittime della barbarie.
14 II Social Gospel. Abbozzo (1932), Scritti, 106-113.
15 Lettera a Bethge, 21 luglio 1944, RR, 445-447, qui 445 s. La «contrapposi­zione» a cui Bonhoeffer fa riferimento può in effetti costituire una chiave inter­pretativa della sua evoluzione: cfr., in proposito, A. GALLAS, Non santi ma uomi­ni, cit. Sulla figura di Lasserre, cfr. DB, 153-155.
16 Lettera a Erwin Sutz, 28 aprile 1934 (Bonhoeffer è in questo periodo pasto­re presso la comunità di lingua tedesca a Londra - Sydenham), Scritti, 386-388, qui 388; lettera a R. Niebhur, 13 luglio 1934, Scritti, 390-392, qui 391 s. Cfr. A. CONCI, Dietrich Bonhoeffer. La responsabilità della pace, Dehoniane, Bologna, 1995, pp. 171-180.
17 Lettera di Barth a Bonhoeffer, 14 ottobre 1936, Scritti, 504-507, qui 504 s.
18 Scritti, 593-618.
19 Lettera a Erwin Sutz, 11 settembre 1934, Scritti, 388 s.
20 Lettera al fratello Karl Friedrich, 14 gennaio 1935, Scritti,392 s.: «La ri­presa della chiesa viene sicuramente da una specie di nuovo monachesimo, che ab­bia in comune con l'antico solo l'assenza di compromessi di una vita secondo il discorso della montagna, nella sequela di Cristo. Credo che sia arrivato il tempo di raccogliere gli uomini per questo». In ogni caso, la valutazione bonhoefferiana del monachesimo è dialettica, e non mancano testi in cui viene ripresa la critica pro­testante tradizionale: si veda, per una rassegna dei passi su questo tema, VC, 154 s., nota 83, nonché: L. SCHLUMBEROER, Dietrich Bonhoeffer et le monachisme,"Etudes théologiques et religieuses" 48 (1973), 465-490.
21 Cfr. l'ampia presentazione in DB, 431-615.
22 Lettera a K. Barth, 19 settembre 1936, Scritti, 501-504, qui 503.
23 Per una panoramica globale del rapporto di Bonhoeffer con le Losungen, cfr. W. GONTHER, Dietrich Bonhoeffer und die Briidergenteinde, in Unitas Fratrurn. Zeitschrift fur Geschichte und Gegenwartsfragen der Bradergenteinde, H. 7, a cu­ra di von W. ERBE - D. MEYER - H.B. MOTEL, Hamburg, 1980, 62-70; H.R. PELBCAN, Frommigkeit, 68-83.
24 VC, 40; cfr., in generale, 39-45.
25 PP.
26 PE.
27 PP, 41.
28 PE, 90. Tra i libri citati da Bonhoeffer in PE v'è l'Imitazione di Cristo, che Bonhoeffer rileggerà, in latino, anche a Tegel (RR, 239, 244).
29 VC, 84-92; PE, 80-87; cfr. DB, 482 s., sulle reazioni dei seminaristi. L'appassionata difesa bonhoefferiana della confessione è direttamente influenza­ta da Lutero, in particolare dalla «Breve esortazione alla confessione» che con­clude ilGrande Catechismo, Bekenntnisschriften der evangelisch-lutherischen Kirche, Vandenhoeck & Ruprecht, Geottingen, 19522, 725-733 (trad. it. di immi­nente pubblicazione presso la Claudiana, Torino).
30 VC, 19: «Il Cristo nel mio cuore è più debole del Cristo nella parola del fra­tello; il primo è incerto, il secondo è certo».
31 Scritti, 485-488.
32 Ibid., 486.
33 DB, 485.
34 Anche un osservatore acuto e ben disposto come K. Barth si mostra un po' preoccupato da un certo «eros e pathosclaustrale»: lettera a Bonhoeffer, 14 otto­bre 1936, cit., qui 506; Barth mostra però di cogliere bene le preoccupazioni soggiacenti al tentativo di Finkenwalde e, anche in seguito, darà un giudizio alquanto positivo su Sequela: cfr. Kirchliche Dogmatik, IV/2, TVZ, Ztlrich, 1955, 604; 612 s. Da parte sua, Bonhoeffer afferma: «L'accusa di legalismo non mi colpisce real­mente. Dov'è, in effetti, il legalismo, se un cristiano si impegna ad imparare che cosa è la preghiera, e dedica a ciò buona parte del suo tempo?»: lettera a K. Barth, 19 settembre 1936, Scritti, 501-504, qui 503.
35 Cfr., per una rapida presentazione del movimento, H. HENCHE, voce «Michaelsbruderschaft», Theologische Realenzyklop&Iie, 22, De Gruyter, Berlin, 1992, 714-717, e la bibliografia ivi indicata; in italiano, si veda la nota di R.A. VON BISMARCK in appendice a C92, 234 s.
36 Cfr. l'osservazione nella lettera a Bethge dell'8 giugno 1944, RR, 397-402, qui 421: «Quelli che a questo punto avvertono – come ad esempio P. Schtitz, gli oxfordiani o i Berneuchener – la mancanza del "movimento" e della "vita", sono pericolosi, retrogradi reazionari, perché tornano indietro rispetto alla teologia del­la rivelazione e cercano un rinnovamento "religioso"».
37 Cfr. le parole rivolte da Bonhoeffer al direttore deiBerneuchener in Pomerania, F. Schauer, DB, 688: «Trovo che in Lei lo Spirito santo non è solo la realtà legata alla vera, unanime parola della Scrittura, ma il principio informatore di un ideale cristiano di vita [...]. La Chiesa confessante abbandonerebbe la pro­messa a lei data se, accanto all'obbedienza verso la verità operata dallo Spirito san­to, si introducesse qualche altra grandezza per dare nuova vita alla chiesa».
38 DB, 639.
39 Si tratta di questo. La fidanzata di Bonhoeffer, Maria von Wedemeyer, par­tecipa a Bundorf, dove si trova presso una parente, alle celebrazioni dei Berneuchener, guidate dal prof. Wilhelm Stàhlin, un leader del movimento, a cui il padre di Maria, caduto in guerra, aderiva; i suoi sentimenti sono contrastanti: da un lato è affascinata dal coinvolgimento della totalità della persona, compresi il corpo e l'emotività; dall'altro, le emozioni provate la turbano (lettera a Bonhoeffer, 11 aprile 1944, C92, 164-166). In questa circostanza, Stùhlin si oppo­ne alla presenza di Maria, rilevando che l'incompatibilità tra l'atteggiamento spi­rituale dei Berneuchener e quello di Dietrich l'avrebbe messa in condizione di «dover scegliere tra suo padre e il suo fidanzato» (lettera di Maria von Wedemeyer a Bonhoeffer, 26 aprile 1944, C92, 170-172, qui 171); Maria commenta: «Quando Hesi [la parente che la ospitava] me lo ha raccontato, molto tempo dopo Pasqua, mi sono accorta improvvisamente che lo avevo pensato anch'io e che avrei volu­to che la settimana santa non fosse mai esistita. Ma nello stesso momento ho capi­to che questo non è affatto vero. Così farei un torto a tutti e due, a te e a papà. [...] Pensa, non voglio né una tessera rosa [Chiesa confessante] né un biglietto bianco [Michaelsbruderschaft?]. Sicuramente queste cose sono necessarie e indispensa­bili. Ma io vorrei andare in chiesa senza averne bisogno» (ibid., 172 s.). Non stu­pisce che Bonhoeffer, che non può intervenire direttamente, reagisca con ira al tur­bamento che l'osservazione di Stahlin provoca nella fidanzata. Sull'episodio, e più in generale sul rapporto tra Bonhoeffer e la Chiesa confessante da una parte, e iBerneuchener dall'altra, cfr. R. MAYER, Brautbriefe aus der Zelle. Maria von Wedemeyer und Dietrich Bonhoeffers Verbindungen zu den Gutbesitzer-Familien in Pommern, in R. MAYER - P. ZuvimERuNo (a cura di), Dietrich Bonhoeffer - Mensch hintern Mauern, Theologie und Spiritualittit in den Gefangnisjahren, Brunnen, Giessen-Basel, 1993, 69-98, qui 76-85.
40 Lettera a Maria von Wedemeyer, senza data [l'ipotesi dei curatori di C92, che la collocano alla fine di aprile 1944, è poco verosimile, in quanto essa si ricol­lega alla missiva di Maria del 26 aprile, che non può essere arrivata così in breve: la datazione dovrebbe essere posticipata alle prime settimane di maggio], C92, 173-176, qui 173 s.: «Io sono certamente molto favorevole alle scelte chiare, quan­do siano necessarie, ma di questi tempi non si deve – per l'amor di Dio – costrin­gere la gente a fare scelte non autentiche e non necessarie. [...] Le questioni di stile sono estranee alla fede. La mia principale riserva nei confronti dei Berneuch­ener riguarda il fatto che essi caricano la fede cristiana di uno stile, e così non per­mettono alle persone di arrivare alla loro piena libertà nella parola di Dio. Lo ca­pisci? [...] Non voglio essere cristiano e Berneuchener, ma cristiano e uomo libe­ro, e su questo vorrei che fossimo d'accordo».
41 Zwei Erinnerungen, in W.D. ZIMMERMANN (a cura di),Begegnungen mit Dietrich Bonhoeffer. Ein Almanach, Kaiser, Mtinchen, 1964, 123-128, qui 124 s. [Trad. it.: Ho conosciuto Dietrich Bonhoeffer, Queriniana, Brescia, 1970].
42 Scritti, 619-637.
43 Scritti, 635.
44 Scritti, 632. Dal contesto non sembra, contrariamente a quanto afferma DB, 694, che II Tim. 4,21 fosse uno dei versetti del giorno.
45 Lettera a Bethge, 22 dicembre 1943, RR, 242-244, qui 244.
46 Scritti, 628.
47 Scritti, 632.
48 Scritti, 628.
49 Scritti, 636: «Manhattan di notte, la luna è in alto sopra gli skyscrapers . molto caldo. Il viaggio si conclude.
Sono contento di essere stato laggiù, e sono contento di essere di nuovo sulla via del ritorno. Forse ho imparato di più in questo mese che nel corso di un anno, da nove anni a questa parte; almeno sono giunto a comprendere qualcosa di im­portante per tutte le future decisioni personali. Probabilmente questo viaggio avrà su di me un notevole influsso».
50 Lettera a Bethge dell'8 giugno 1944, RR, 397-402, qui 398: «Ci sono sem­pre motivi per non fare qualche cosa; la questione è solo se farla, nonostante ciò. Se uno volesse fare solo quelle cose che hanno tutti i motivi a favore, non si arri­verebbe mai all'azione».
51 Lettera a Maria von Wedemeyer (senza data, cfr. nota 40), C92, 173-176, qui 175: «Credo che la debolezza del nostro ceto dipenda fondamentalmente dalle sue riserve, giustificate e ingiustificate. La gente semplice in questo senso è di­versa, fa più errori, ma anche più cose buone, perché la via verso l'agire non pas­sa attraverso tante riserve».
52 Pensieri per il giorno del battesimo di Dietrich Wilhelm Rüdiger Bethge, RR, 364-370, qui 368: «Per voi [uomini di domani] pensare e agire entreranno in un nuovo rapporto. Voi penserete solo ciò di cui dovrete assumervi la responsabi­lità agendo. Per noi il pensare era molte volte il lusso dello spettatore, per voi sarà completamente al servizio del fare». Questo nuovo rapporto tra pensare e agire è per Bonhoeffer già presente nella giovane fidanzata: lettera a Maria von Wedemeyer, 16 aprile 1944, C92, 166-168, qui 167: «Tu fortunatamente non scri­vi libri, ma fai, sai, scopri, riempi con la vita vera ciò di cui io ho solo sognato. Conoscere, volere, fare, sentire, in te non sono divisi, ma formano un grande tut­to, e una cosa viene rafforzata e completata dall'altra». Queste riflessioni sull'a­zione vanno viste in relazione alla concezione della fede come actus directus, che accompagna Bonhoeffer fin dalle opere giovanili, attraverso Sequela e l'Etica, per sfociare nell'idea del «cristianesimo inconsapevole» delle lettere dal carcere: cfr. le osservazioni e i riferimenti di H.R. REUTER, nella postfazione ad AE, in parti­colare 169 s.
53 RR, 448: «Fare ed osare non una cosa qualsiasi, ma il giusto/ non ondeg­giare nelle possibilità, ma afferrare coraggiosamente il reale/ non nella fuga dei pensieri, solo nell'azione è la libertà.
Lascia il pavido esitare ed entra nella tempesta degli eventi/ sostenuto solo dal comandamento di Dio e dalla tua fede/ e la libertà accoglierà giubilando il tuo spi­rito». Cfr. anche L'amico,RR470-473, qui 471: «quando poi dallo spirito nasce l'azione –1 davanti alla quale da soli noi stiamo o cadiamo – quando dall'azione/ forte e sana/ nasce l'opera/ che alla vita dell'uomo/ dà contenuto e senso,/ allora gli uomini che agiscono, che fanno, che son soli/ hanno desiderio di uno spirito amico capace di capire».
54 Lettera a Bethge, 31 gennaio 1940, GS II, 397: «Ci sono a volte settimane, in cui leggo molto poco la Bibbia. Qualcosa me lo impedisce. Poi, un giorno, ri­comincio, e di colpo è tutto così più forte [...]. In questo, non ho del tutto una buo­na coscienza [...]. Ma poi mi chiedo, se forse anche questa umanità non sia e non venga anch'essa sostenuta [mitgetragen] dalla parola di Dio. O pensi – propriamente lo penso anch'io! – che bisognerebbe costringersi? O forse ciò non è sem­pre bene?».
55 Lettera a Bethge, 25 giugno 1942, Scritti, 589 s., qui 590: il «settore profa­no» è, naturalmente, l' Abwehr e la sua attività cospirativa.
56 Maria von Wedemeyer racconta che, durante la detenzione di Dietrich, fece un tentativo di leggere i suoi libri, cominciando da SC, e che fu poi costretta a con­fessare al fidanzato la propria frustrazione, il che lo divertì molto: «Affermò che a suo giudizio l'unico importante era Vita comune, e preferiva che per leggerlo aspettassi fino a quando egli non fosse tornato in libertà»: Le altre lettere dal car­cere, appendice a RR, 505-514, qui 510.
57 Cfr., due anni dopo, la lettera a Bethge, domenica «Laetare»(19 marzo 1944), RR, 306-308, qui 308: «Sto trascorrendo di nuovo settimane in cui leggo poco la Bibbia; non ho la sensazione che si tratti di una colpa, e del resto so che tra qualche tempo tornerò a buttarmici sopra avidamente. Si può accettare la cosa co­me un processo spirituale del tutto "naturale"? Sarei incline a farlo. Sai, questo succedeva anche al tempo della nostra vita communis. Naturalmente, il rischio di lasciarsi andare è sempre presente; non bisogna però neppure diventare ansiosi su questo punto, ma confidare che, dopo qualche incertezza, la bussola tornerà ad in­dicare la giusta direzione».
58 Cfr. P. ZIMMERLING, Die Spiritualität Bonhoeffers in den GefängnisjahrenBeten, das Gerechte tun und auf Gottes Zeit warten, in R. MAYER - P. ZIMMERLING (a cura di), Dietrich Bonhoeffer, Mensch hinter Mauern, cit.35-68.
59 RR, 83.
60 RR, 89.
61 RR, 78, 85 e passim.
62 Lettera a Bethge, 18-22 novembre 1943, cit. 193.
63 RR, 92, 93,159; 245; 248; 260; 272; 282; 308; 322; 360; 378; 386; 445; 469; 474; C92, 108; 169; 201.
64 Scritti, 712-717.
65 Lettera ai genitori, 14 giugno 1943, Pentecoste, RR, 114-116, qui 114.
66 Lettera a Bethge, 18-22 novembre 1943, cit., qui 193.
67 Ad esempio, in RR, 1943: Ascensione, 111; Pentecoste, 114; Avvento, 200, 211, 213, 214, 220 (C92, 89, 96); Natale, 235 (C92, 100 ss.); 1944: Pasqua, 314, tempo tra Pasqua e l'Ascensione, 321, 340; Pentecoste, 328 s. (C92, 183). Sovente, il tempo liturgico detta riflessioni di grande efficacia: ad es., nella lettera a Bethge, 21-23 novembre 1943, RR, 200-203, qui 200: «una cella di prigione co­me questa rappresenta un'ottima similitudine per le condizioni proprie dell'Avvento: uno aspetta, spera, fa questo, fa quello – cose senza importanza, al­la fine –, la porta è chiusa e può essere aperta solo dall'esterno» (lo stesso pensie­ro nella lettera a Maria, scritta nello stesso giorno, C92, 89-91, qui 89).
68 Ad es.: RR, 82; 110; 114; 306; 356.
69 Progetto per uno studio, dirà, RR, 461: «Pietismo come estremo tenta­tivo di conservare il cristianesimo evangelico in quanto religione».
70 RR, 201
71 RR, 446.
72 S, 201.
73 Così A. GALLAS, Santità non è separazione. La concezione sapienziale dell' "esempio" in Dietrich Bonhoeffer, "Servitium" 28 (1994), 582-592, qui 585; dello stesso autore cfr. anche, più ampiamente, Non santi ma uomini, cit.
74 Lettera a Bethge, 21 luglio 1944, cit., 446.
75 Lettera a Bethge, 16-18 luglio 1944, 437-442, qui 442.
76 A. GALLAS, Santità non è separazione, cit., qui 87, ritiene di individuare nel­l'ultimo Bonhoeffer una presa di distanza da Lutero (rilettura del rapporto tra Cristo come dono e Cristo come esempio; diversa valutazione della parenesi pao­linica e deuteropaolinica, nonché della lettera di Giacomo, e dunque rifiuto bonhoefferiano del «canone nel canone», principio ermeneutico accolto invece da Lutero. Naturalmente, il problema del rapporto tra le due impostazioni esiste; nel­l'impostarlo, tuttavia, è utile evitare di schematizzare eccessivamente la posizio­ne di Lutero, al quale non è affatto estranea la dimensione parenetica ed esortati­va della Scrittura (basti pensare al Grande Catechismo, un testo che Bonhoeffer non cita spesso, ma che costituisce, a mio avviso, una presenza silenziosa lungo tutta la sua opera); in secondo luogo è indicativo che Bonhoeffer consideri ap­punto Lutero un esempio di «essere-aldiquà».
77 Lettera a Bethge, 21 luglio 1944, cit., qui 445.
78 Lettera a Bethge, 29-30 gennaio 1944, RR, 269-272, qui 271. Come esem­pio di dnthropos téleios, di uomo «perfetto», nel senso di indiviso, completo, to­tale, deciso a «fare il tutto», cioè a non lasciarsi lacerare dal carattere contraddit­torio della realtà, Bonhoeffer cita Witiko, il personaggio di Stifter, da lui profon­damente amato.
79 Progetto per uno studio, cit., 462.
80 Lettera a Bethge, 30 aprile 1944, RR, 349.
81 Cfr. Cristiani e pagani, RR, 427.
82 Lettera a Bethge del 30 aprile 1944, RR, 347-351, qui 350.
83 Pensieri nel giorno del battesimo..., cit., 370.
84 RR, 350, 355. Cfr., su questo punto, A. PANGRITZ, Dietrich Bonhoeffers Forderung einer Arkandisziplin. Eine Unerledigte Frage an Kirche und Theologie, Pahl-Rugenstein, Bonn, 1988.
85 Pensieri per il giorno del battesimo, cit., 370.
86 Ibid.
87 Lettera a Bethge del 30 aprile 1944, cit., qui 350. .
88 Lettera a Bethge, 18-22 novembre 1943, RR, 192-203, qui 194.
89 Lettera a Bethge, 5 dicembre 1943, 224-227, qui 225.
90 Lettera a Bethge del 27 giugno 1944, RR, 411 s., qui 411.
91 Lettera a Maria von Wedemeyer, 12 agosto 1943, C92, 48 s., qui 48.
92 Ibid.
93 Lettera a Bethge, 18-19 dicembre 1943, RR, 235-242, qui 237.
94 Lettera a Bethge, 20 maggio 1944, RR, 372-374, qui 372.
95 Potenze benigne, RR, 486.
96 Stazioni sulla via verso la libertà, cit., RR, 449. La stesura di questo contri­buto, presentato al convegno di Genova, si concludeva con la citazione della no­tissima testimonianza di R. Fischer Hüllstrung, medico del lager di Flossenbtirg, sugli ultimi istanti della vita di Bonhoeffer: «Attraverso la porta semiaperta di una stanza delle baracche, vidi che il pastore Bonhoeffer, prima di svestire gli abiti da prigioniero, si inginocchiò in profonda preghiera con il suo Signore. La preghiera così devota e fiduciosa di quell'uomo straordinariamente simpatico mi ha scosso profondamente. Anche al luogo del supplizio, egli fece una breve preghiera, quin­di salì coraggioso e rassegnato il patibolo. La morte giunse dopo pochi secondi. Nella mia attività medica di quasi cinquant'anni, non ho mai visto un uomo mori­re con tanta fiducia in Dio». Solo in seguito ho preso visione dell'articolo di J. GLENTHØJ, Zwei neue Zeugnisse von der Ermordung Dietrich Bonhoeffers, in R. MAYER, P. ZIMMERLING, Dietrich Bonhoeffer - Mensch hinter Mauern,cit., 99-111, che pubblica la testimonianza di J.L.F. Mogensen, all'epoca prigioniero a Flossenbürg: in base ad essa, la descrizione di Fischer si rivela, semplicemente, in­ventata; la procedura dell'esecuzione non consentiva pause richieste dal detenuto, né per preghiere, né per altro; non esisteva un luogo da cui l'esecuzione potesse essere sbirciata nei termini descritti da Fischer; non c'era patibolo, né scala per sa­lirlo, ma un gancio nel muro, a cui il detenuto Veniva appeso; è infine tutt'altro che certo che la morte sia sopravvenuta in breve, appunto perché le modalità dell'ese­cuzione portavano piuttosto a un lento strangolamento; in ogni caso, l'esecuzione del gruppo di condannati durò, secondo Mogensen, particolarmente a lungo, circa sei ore. Sulla carriera di Fischer, cfr. CH. SCHMINK-GUSTAVUS, Der Prozeß gegen Dietrich Bonhoeffer und die Freilassung seiner Mürder, Dietz, Bonn, 1995, 29‑34.



La semplice ubbidienza (da Dietrich Bonhoeffer)



Quando Gesù gli ha richiesto una povertà volontaria, a quel punto il giovane ricco si è reso conto che restava solo la possibilità di ubbidire o di non ubbidire. Quando Levi è stato chiamato a lasciare il dazio e Pietro le reti, a questo punto non c'era dubbio sulla serietà di questa chiamata di Gesù. Essi dovevano lasciare tutto e porsi nella sequela. Quando Pietro viene chiamato a cam­minare sulla superficie ondeggiante del mare, a quel punto deve alzarsi e rischiare questo passo. In tutte queste situazioni si ri­chiede solo una cosa, abbandonarsi alla parola di Gesù Cristo, con­siderarla come un terreno più solido di qualsiasi altra sicurezza del mondo. Le potenze che volevano interporsi fra la parola di Gesù e l'ubbidienza erano allora grandi quanto oggi. Vi si oppone­va la ragione; la coscienza, la responsabilità, la pietà religiosa, la stessa legge e il principio scritturistico si frapponevano, per evitare questo estremo, questo «fanatismo» senza legge. Ma la chiamata di Gesù ha infranto tutto ciò, procurandosi ubbidienza. Era la stessa parola di Dio. Quello che veniva richiesto era la semplice ubbidienza.

Se Gesù Cristo per mezzo della Sacra Scrittura parlasse così ad uno di noi, ragioneremmo probabilmente nel modo seguente: Gesù comanda qualcosa di ben preciso, questo è vero. Ma se Gesù co­manda, devo sapere che non pretende mai ubbidienza legalistica, bensì vuole da me solo una cosa, cioè che io creda. Ma la mia fede non è legata a povertà, ricchezza o cose simili, anzi, nella fede posso essere sia povero sia ricco. Non è importante che io sia privo di beni, ma che li abbia come se non li avessi, che ne sia libero interiormente, che non leghi il mio cuore alla ricchezza. Dunque Gesù dice ad esempio: Vendi i tuoi beni! ma intende: Veramente non conta che tu lo faccia anche esteriormen­te, anzi, devi tenerti i tuoi beni tranquillamente: conta solo che tu li abbia come se non li avessi. Non legare il tuo cuore ai beni. La nostra ubbidienza alla parola di Gesù consisterebbe dunque nel rifiutare appunto la semplice ubbidienza come legalista, per essere poi ubbidienti «nella fede».

In questo ci distinguiamo dal giovane ricco. Nella sua tristezza egli non poteva mettersi l'anima in pace semplicemente dicendo a se stesso: Io voglio certo restare ricco contro la parola di Gesù, interiormente voglio però liberarmi dalla mia ricchezza, voglio, nonostante la mia inadeguatezza, tro­vare conforto nella remissione dei peccati, e conseguire nella fede la comunione con Gesù: al contrario, il giovane se ne andò triste, e assieme all'ubbidienza egli perse la fede. In questo il gio­vane è stato totalmente sincero. Egli si è separato da Gesù e certa­mente a questa sincerità è data una promessa maggiore che ad una comunione solo apparente con Gesù, fondata sulla disubbi­dienza. Evidentemente, secondo ciò che pensava Gesù, il proble­ma del giovane era appunto che egli non poteva liberarsi interior­mente dalla ricchezza. Probabilmente, essendo persona seria e in ricerca, egli ci aveva provato mille volte. Che non vi fosse riuscito, lo dimostra il fatto che nel momento decisivo non è stato capace di ubbidire alla parola di Gesù. Per questo dunque il giovane è stato sincero.

Ma, con la nostra argomentazione, noi ci distinguia­mo da qualsiasi uditore della parola di Gesù che compaia nella Bibbia. Quando Gesù gli dice: lascia tutto e seguimi, lascia la tua professione, la tua famiglia, il tuo popolo e la tua casa paterna, l'uditore sapeva che a questa chiamata si poteva dare risposta solo con la semplice ubbidienza, appunto perché a questa ubbi­dienza è data la promessa della comunione con Gesù. Noi invece diremmo: È vero che la chiamata di Gesù «va presa assolutamente sul serio», ma la vera ubbidienza verso di lui consiste nel fatto che ora io resti senz'altro nella mia professione, nella mia famiglia, e in questa condizione lo serva, appunto, in vera libertà interiore.

Dunque Gesù ci direbbe: Esci! ma noi lo intendiamo come se vo­lesse dire: Restaci, nella tua condizione, naturalmente come uno che ne è uscito interiormente. Oppure, quando Gesù dice: Non affannatevi, noi dovremmo intendere: Naturalmente è nostro ob­bligo affannarci e lavorare per i nostri cari e per noi stessi. Ogni altra soluzione sarebbe irresponsabile. Ma nel nostro intimo dob­biamo essere ovviamente liberi da tali affanni. Quando Gesù dice: Se uno ti colpisce alla guancia destra, offrigli anche l'altra, noi dovremmo intendere: È proprio soltanto nella lotta, nel restituire i colpi, che si attuerà nella misura maggiore il vero amore per il fratello. Quando Gesù dice: Cercate prima di tutto il regno di Dio, noi dovremmo intendere: È naturale che prima ci occupia­mo di tutt'altre cose. Come potremmo altrimenti far fronte alle necessità dell'esistenza? Gesù intenderebbe parlare appunto della piena disponibilità interiore a giocarsi tutto per il regno di Dio. Il problema è sempre lo stesso, cioè l'abolizione deliberata della semplice ubbidienza, della ubbidienza letterale.

Come è possibile tale stravolgimento? Che cosa è accaduto, per­ché la parola di Gesù possa essere implicata in questo gioco, possa essere esposta allo scherno del mondo? In altre questioni, do­vunque nel mondo si diano degli ordini, i rapporti sono chiari. Un padre dice al figlio: Va' a letto! e il bambino sa con certezza che cosa deve fare. Ma un bambino con un'infarinatura pseudo-­teologicadovrebbe ragionare così: Mio padre mi dice di andare a letto. Pensa che io sia stanco; non vuole che lo sia. Io posso però liberarmi della stanchezza anche mettendomi a giocare. Dun­que, mio padre mi dice sì di andare a letto, ma intende in realtà dirmi di andare a giocare. Se un bambino ragionasse così di fronte al padre, o un cittadino di fronte alle autorità, dovrebbe fare i conti con un linguaggio assolutamente inequivocabile, quello della punizione. Solo nei confronti del comando di Gesù le cose dovreb­bero andare diversamente. Qui la semplice ubbidienza finisce stra­volta, addirittura diventa disubbidienza. Come è possibile una cosa simile?

E possibile perché questa argomentazione stravolta ha in effetti alla base qualcosa di sostanzialmente giusto. Il comando di Gesù al giovane ricco o la chiamata alla situazione in cui è possibile credere, hanno in effetti un solo scopo, di chiamare l'uomo alla fede in Gesù, cioè alla comunione con lui. In ultima analisi, ciò che conta non è questa o quella azione degli uomini, ma solo la fede in Gesù Cristo Figlio di Dio e mediatore. In ultima analisi tutto dipende veramente dalla fede, non dalla povertà o dalla ric­chezza, dal matrimonio o dal celibato, dall'abbracciare o non ab­bracciare una professione. In tal senso abbiamo totalmente ragione nel dire che è possibile credere a Cristo pur nella ricchezza e nel possesso dei beni del mondo, per cui questi beni sono posseduti come se non li si possedesse. Ma si tratta assolutamente di una possibilità estrema dell'esistenza cristiana, una possibilità in presenza della più rigorosa attesa del ritorno imminente di Cristo, quindinon della possibilità iniziale e più semplice.

L'interpreta­zione paradossale dei comandamenti ha una sua cristiana fonda­tezza, ma non può mai portare all'eliminazione dell'interpretazio­ne semplice. Anzi, è fondata e ammissibile solo per colui che in un momento della sua vita si è già misurato seriamente con l'inter­pretazione semplice, e quindi si trova in comunione con Gesù, nella sequela, nell'attesa della fine. Interpretare in senso parados­sale la chiamata di Gesù è la possibilità infinitamente più difficile, anzi, in senso umano, una impossibile possibilità, e proprio come tale corre continuamente il pericolo estremo di capovolgersi nel contrario, di trasformarsi in comoda scappatoia, in fuga dall'ubbi­dienza concreta. Chi non sa che gli sarebbe infinitamente più faci­le intendere il comandamento di Gesù nella semplicità e ubbidirgli alla lettera, ad es. rinunciare effettivamente, su comando di Gesù, ai propri beni, anziché continuare ad averli, è uno che non ha alcun diritto di dare un'interpretazione paradossale della parola di Gesù.

Nell'interpretazione paradossale del comandamento di Gesù è dunque sempre necessariamente inclusa l'interpretazione letterale.

La concreta chiamata di Gesù e la semplice ubbidienza hanno un loro senso irrevocabile. Con esse Gesù chiama nella situazione concreta, in cui è possibile credere in lui; chiama in modo tanto concreto e appunto così vuol essere interpretato, perché egli sa che l'uomo diventa libero per il credere solo nella concreta ubbidienza.






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