Martedì della III settimana del Tempo di Avvento. Approfondimenti








Benedetto XVI
Santa Messa a Friburgo, 25 settembre 2011


Il messaggio della parabola è chiaro: non contano le parole, ma l’agire, le azioni di conversione e di fede. Gesù – lo abbiamo sentito - rivolge questo messaggio ai sommi sacerdoti e agli anziani del popolo di Israele, cioè agli esperti di religione del suo popolo. Essi, prima, dicono “sì” alla volontà di Dio. Ma la loro religiosità diventa routine, e Dio non li inquieta più. Per questo avvertono il messaggio di Giovanni Battista e il messaggio di Gesù come un disturbo. Così, il Signore conclude la sua parabola con parole drastiche: “I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli” (Mt 21,31-32). Tradotta nel linguaggio del tempo, l’affermazione potrebbe suonare più o meno così: agnostici, che a motivo della questione su Dio non trovano pace; persone che soffrono a causa dei loro peccati e hanno desiderio di un cuore puro, sono più vicini al Regno di Dio di quanto lo siano i fedeli “di routine”, che nella Chiesa vedono ormai soltanto l’apparato, senza che il loro cuore sia toccato da questo, dalla fede. Così, la parola deve far riflettere molto, anzi, deve scuotere tutti noi. Questo, però, non significa affatto che tutti coloro che vivono nella Chiesa e lavorano per essa siano da valutare come lontani da Gesù e dal Regno di Dio. Assolutamente no! No, piuttosto è questo il momento per dire una parola di profonda gratitudine ai tanti collaboratori impiegati e volontari, senza i quali la vita nelle parrocchie e nell’intera Chiesa sarebbe impensabile...Il terzo figlio dice di “sì” e fa anche ciò che gli viene ordinato. Questo terzo figlio è il Figlio unigenito di Dio, Gesù Cristo, che ci ha tutti riuniti qui. Gesù, entrando nel mondo, ha detto: “Ecco, io vengo […] per fare, o Dio, la tua volontà” (Eb 10,7). Questo “sì”, Egli non l’ha solo pronunciato, ma l’ha compiuto e sofferto fin dentro la morte. Nell’inno cristologico della seconda lettura si dice: “Egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce” (Fil 2, 6-8). In umiltà ed obbedienza, Gesù ha compiuto la volontà del Padre, è morto sulla croce per i suoi fratelli e le sue sorelle - per noi - e ci ha redenti dalla nostra superbia e caparbietà. Ringraziamolo per il suo sacrificio, pieghiamo le ginocchia davanti al suo Nome e proclamiamo insieme con i discepoli della prima generazione: “Gesù Cristo è il Signore – a gloria di Dio Padre” (Fil 2,10).


S. Girolamo

Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli; e andato dal primo, gli disse. «Figlio, va’ a lavorare oggi nella vigna». Rispose: «Non voglio»; però poi, pentitosi, andò. E rivolto al secondo, gli disse lo stesso. Quegli rispose: «Vado, Signore»; ma non andò. Quale dei due ha fatto la volontà del Padre? «Il primo», risposero. E Gesù soggiunse..." (Mt 21,28-31). Questi due figli, di cui si parla anche nella parabola di Luca, sono uno onesto, l’altro disonesto; di essi parla anche il profeta Zaccaria con le parole: "Presi con me due verghe: una la chiamai onestà, l’altra la chiamai frusta, e pascolai il gregge" (Za 11,7). Al primo, che è il popolo dei gentili, viene detto, facendogli conoscere la legge naturale: «Va’ a lavorare nella mia vigna», cioè non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te (Tb 4,16). Ma egli, in tono superbo, risponde: «Non voglio». Ma poi, all’avvento del Salvatore, fatta penitenza, va a lavorare nella vigna del Signore e con la fatica cancella la superbia della sua risposta. Il secondo figlio è il popolo dei Giudei, che rispose a Mosè: "Faremo quanto ci ordinerà il Signore" (Ex 24,3), ma non andò nella vigna, perché, ucciso il figlio del padrone di casa, credette di essere divenuto l’erede. Altri però non credono che la parabola sia diretta ai Giudei e ai gentili, ma semplicemente ai peccatori e ai giusti: ma lo stesso Signore, con quel che aggiunge dopo, la spiega.

 "In verità vi dico che i pubblicani e le meretrici vi precederanno nel regno di Dio" (Mt 21,31). Sta di fatto che coloro che con le loro cattive opere si erano rifiutati di servire Dio, hanno accettato poi da Giovanni il battesimo di penitenza; invece i farisei, che davano a vedere di preferire la giustizia e si vantavano di osservare la legge di Dio, disprezzando il battesimo di Giovanni, non rispettarono i precetti di Dio. Per questo egli dice:

"Perché Giovanni è venuto a voi nella via della giustizia, e non gli avete creduto ma i pubblicani e le meretrici gli hanno creduto; e voi, nemmeno dopo aver veduto queste cose, vi siete pentiti per credere a lui" (Mt 21,32). La versione secondo cui alla domanda del Signore: «Quale dei due fece la volontà del padre?» essi abbiano risposto «l’ultimo», non si trova negli antichi codici, ove leggiamo che la risposta è «il primo», non «l’ultimo»; così i Giudei si condannano col loro stesso giudizio. Se però volessimo leggere «l’ultimo», il significato sarebbe ugualmente chiaro. I Giudei capiscono la verità, ma tergiversano e non vogliono manifestare il loro intimo pensiero; così, a proposito del battesimo di Giovanni, pur sapendo che veniva dal cielo, si rifiutarono di riconoscerlo. (Girolamo, In Matth. 21, 29-31)





S. Efrem

 "Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli" (Mt 21,28). Egli chiamò i suoi «figli»,
per incitarli al lavoro. "D`accordo, Signore", disse l`uno. Il padre l`ha chiamato: Figlio mio,
ma lui ha risposto chiamandolo: "Signore"; non lo ha chiamato: Padre, e non ha adempiuto la
sua parola. "Quale dei due ha fatto la volontà del padre suo"? Essi giudicarono con
rettitudine e "dissero: Il secondo" (Mt 21,31). Egli non disse: Quale vi sembra? - infatti il
primo aveva detto: "Ci vado" - bensí: "Quale ha fatto la volontà del padre suo? Ecco perché i
pubblicani e le prostitute vi precederanno nel regno dei cieli (ibid.)", poiché voi avete
promesso a parole, ma essi corrono piú veloci di voi. "Giovanni è venuto a voi nella via
della Giustizia" (Mt 21,32), non ha trattenuto per sé l`onore del suo Signore, ma, allorché si
riteneva che egli fosse il Cristo, egli ha detto: "Io non sono degno di sciogliere i lacci dei suoi

sandali" (Lc 3,16). (Efrem, Diatessaron, XVI, 18)


San Pietro Crisologo 

«È venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto»

Giovanni Battista insegna con le parole e con le azioni. Da vero maestro mostra con l'esempio ciò che afferma con le labbra. Il sapere fa il maestro, ma è l'esempio che conferisce l'autorità... Insegnare attraverso le azioni è l'unica regola di chi vuole istruire. L'istruzione con le parole è il sapere; ma quando passa attraverso le azioni, diviene virtù. Quindi il sapere è autentico se unito alla virtù: solo quest'ultima è divina e non umana...

«In quei giorni comparve Giovanni il Battista a predicare nel deserto della Giudea, dicendo: 'Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!'» (Mt 3,1-2). «Convertitevi». Perché non dice piuttosto: «Rallegratevi»?  «Rallegratevi perché le realtà umane cedono il posto a quelle divine, le terrestri alle celesti, le momentanee alle eterne, il male al bene, l'incertezza alla sicurezza, la tristezza alla felicità, le cose che passano a quelle che resteranno per sempre. Il Regno dei cieli è ormai vicino. Convertitevi». Sia chiara la tua condotta di convertito! Tu che hai preferito l'umano al divino, che hai voluto essere schiavo del mondo piuttosto che vincitore del mondo col Signore del mondo, convertiti. Tu che hai perso la libertà che ti avrebbero dato le virtù perché ti sei sottoposto al giogo del peccato, convertiti; convertiti davvero tu che, per paura di possedere la Vita, ti sei consegnato alla morte.  (Discorsi, 167; CCL 248, 1025, )


S. Gregorio Magno

"Cosí, io vi dico, vi sarà in cielo una gioia maggiore per un solo peccatore che si
pente, che non per novantanove giusti, i quali non hanno bisogno di penitenza" (Lc 15,7).
Dobbiamo considerare, fratelli, perché il Signore affermi che c`è piú gioia in cielo per i
peccatori che si convertono che non per i giusti che rimangono tali. Noi sappiamo per esperienza quotidiana, che il piú delle volte quelli che non si sentono oppressi dal peso dei
peccati stanno sí saldi sulla via della giustizia, non commettono nulla d`illecito, ma non
anelano ansiosamente alla patria celeste e tanto piú facilmente usano delle cose lecite quanto
piú ricordano di non aver commesso nulla d`illecito. Essi per lo piú rimangono pigri nel
fare il bene straordinario, proprio perché sono sicuri di non aver commesso colpe piú gravi.
Al contrario, quelli che si ricordano di aver compiuto qualcosa d`illecito, presi dal dolore,
si accendono di amor di Dio, si esercitano nelle virtù sublimi, cercano le difficoltà del santo
combattimento, lasciano tutte le cose del mondo, fuggono gli onori, si rallegrano delle offese
ricevute, bruciano di desiderio, anelano alla patria celeste; e poiché sanno di essersi
allontanati da Dio, cercano di riparare le colpe del passato con le opere del presente. Pertanto,
c`è più gioia in cielo per un peccatore che si converte che non per un giusto che resta tale,
perché anche il condottiero in battaglia ama di piú quel soldato che, tornato indietro dopo
essere fuggito, incalza fortemente il nemico, che non quello che non ha mai voltato le spalle
ma non si è mai comportato valorosamente. Anche l`agricoltore ama di piú quel campo che
dopo le spine produce frutti abbondanti, di un altro che non produsse mai spine, ma non

produce neppure una messe fertile. 
Ma a questo punto bisogna che si sappia che ci sono molti giusti, nella cui vita c`è
soltanto gioia, cosí che non si può chiedere loro alcuna penitenza per i peccati. Molti,
infatti, sono consapevoli di non aver commesso alcun male, e tuttavia si esercitano con tanto
ardore a mortificarsi come se fossero ridotti alle strette da tutti i peccati. Tutto rifiutano,
anche le cose lecite, si accingono con elevatezza d`animo a disprezzare il mondo, non
vogliono che siano loro lecite quelle cose che piacciono, si privano anche dei beni concessi,
disprezzano le cose visibili, ardono per quelle invisibili, godono nei lamenti, in ogni cosa si
umiliano; e come alcuni piangono i peccati di opere, cosí fanno anch`essi per quelli di
pensiero. Come dunque chiamerò costoro, se non giusti e penitenti, essi che si umiliano
con penitenza del peccato di pensiero e perseverano sempre retti nelle loro azioni? Da questo
bisogna capire quanta gioia dà a Dio quando un giusto umilmente piange, dal fatto che

egli gode in cielo quando un ingiusto condanna con la penitenza il male che ha commesso. (Gregorio Magno, Hom. 34, 4-5)



P. Crisologo

L’ipocrisia è un male sottile, morbo segreto, veleno nascosto, belletto delle virtù,
tarlo della santità. Quando con i nemici si lotta allo scoperto li si schiva facilmente,
guardandoli in faccia. L’ipocrisia si finge sicura, dà a credere di essere felice, mentisce
scrupolosamente, e con arte crudele tronca la virtù, per mezzo della spada delle apparenti

virtù. ( S. P. Crisologo) 



Il combattimento di Jacob con l'angelo, Gen 32,23 -32, è una scorciatoia simbolica della storia della relazione di ogni uomo con l'invisibile. Prima di passare il guado del torrente Yabboq per entrare in terra promessa, che aveva fuggito vent' anni più per paura di suo fratello Esaü, Jacob, presto solo, lotta tutta una notte fino all'aurora con " qualcuno." Questa lotta non è la prima nella vita di Jacob. A dire il vero, ogni suono esistenza sembra collocata fino là sotto il segno del conflitto e dell'astuzia: astuzia di cui fa prova sé usurpando il diritto di primogenitura di suo fratello Esaü e travasando una benedizione a suo padre Isaac, o che subisce da parte di suo suocero Laban in seguito. Jacob ha appena dunque fuggito Laban e si sa inseguito dall'odio di Esaü che si prepara tuttavia ad incontrare l'indomani. Come questo odio disattivare e sormontare la paura che gli ispira? Secondo Rachi, Jacob lo farà di tre modi: per i regali ad Esaü, per la preghiera a Dio e per il combattimento allo Yabbok. Di questo combattimento Jacob estrae l'anca slogata, ma è grondante di benedizione di Quello che non vuole rivelargli il suo nome. L'uomo non può chiudere il mistero di Dio nelle semplici parole. Invece nella lotta della notte scopre la sua vera identità. L'ignoto gli dà un nome nuovo: Israele ciò che significa " Lottatore con Dio." Il profeta Osato ha interpretato questa scena biblica applicandolo alla preghiera: " Nel seno di suo madre Jacob soppiantò suo fratello, lottò con l'angelo ed ebbe il disopra, pianse e gli chiese grazia; lo trovò poi a Bethel e là Dio ha parlato con noi" (12,4 -6). Osata non parlo della lussazione dell'anca ed egli pone l'episodio di Béthel dopo quello di Penouel. Questo racconto simbolico illumina l'avventura spirituale di ogni uomo questuo di senso. Itinerario ha corso del quale ciascuno deve passare della fiducia in suoi solo mezzi umani all'accoglienza di qualcuno che provoca prima di potere passare sull'altra riva. Pasqua ebraica è anche il passaggio prima di entrare nella terra promessa. Nessuna vita nella fede non può fare l'economia di questo combattimento nella notte che obbligo ciascuno a lasciare prende ed abbandonare i suoi piccoli progetti. Hegel scriveva: l'uomo è il combattimento. Ciascuno è chiamato ad assumere i suoi limiti e la sua povertà di fronte agli altri e scoprire che il grande combattimento non è con gli altri, ma con l'invisibile, il mistero di Dio. Questo Dio si mette di traverso sulla strada come un'immensa domanda, una sfida insormontabile, talvolta. Ogni vita nella fede conosce un giorno questo corpo a corpo dove bisogna affrontare l'ignoto che si fugge volentieri. Come Jacob che ha fatto passare i suoi beni davanti a lui, questa lotta scuoia ed impedisca di ricorrere ai mezzi umani. Nessuno può consegnare questo combattimento al nostro posto. La morte che è l'estrema fase per passare sull'altra riva. Bernanos sul suo letto di morte chiese ai suoi amici di lasciarlo e lo si sentì mormorare: " A noi due adesso." In questo combattimento che può prendere la forma di una preghiera angosciata nella notte del dubbio, una presenza misteriosa c'afferra e ci stringe. Questa scena biblica ci ricorda che l'incontro tra Dio e l'uomo non sono un pacifico dialogo, può prendere delle andature di vero combattimento. Mistero della stretta dell'amore divino. Questa lotta di amore crea dei legami. Jacob si lega. Questo grande Ignoto desidera incontrare l'uomo, ma questo ultimo ha il dovere di purificarsi prima prima della stretta di amore. Non c'è vita spirituale senza questo combattimento. Questa scena illustre anche il capovolgimento del combattimento della preghiera. In principio l'uomo prega affinché Dio sostenga i suoi progetti. In finale l'uomo prega per compiere ciò che Dio gli ispiri. In questo combattimento della preghiera l'ignoto non schiaccia l'uomo, ma finisce per benedirlo. Dopo questo incontro l'uomo zoppicherà sempre, perché non si guarisce di una ferita di amore. Quello che è stato toccato dall'assoluto di Dio ne resterà contrassegnato per la vita. I limiti umani possono diventare il luogo privilegiato di un combattimento di crescita spirituale ed un incontro liberatore. Dopo questo combattimento la riconciliazione è possibile tra Jacob ed Esaü. Quando i due fratelli si ritrovano Jacob ha questa dichiarazione: " Vedere il tuo viso è come vedere il viso di Dio" (Gen 33)10). L'altra diventa l'immagine di Dio adesso. La riconciliazione diventa possibile. Nel suo Pasqua ebraica il Cristo ha assunto questo combattimento spirituale e ne ha dato il senso estremo passando il primo sull'altra riva. La risurrezione è la conclusione di questa stretta di amore che è una lotta innamorata di due esseri innamorati uno dell'altro: Dio e l'uomo. Combattimento dove dobbiamo accogliere il nostro nome nuovo, il nostro vero destino di figlio immortale. Occorreva che Jacob fosse ferito affinché Israele sia benedetto.


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