F. Manns. Un maestro da seguire


Da F. Manns "Voi, chi dite che io sia?"


Un maestro da seguire



I giovani cercano dei modelli. La freschezza dell'insegnamento di Gesù non poteva lasciarli indifferenti. Alcuni hanno voluto seguirlo, mettere i loro piedi sulle sue orme. Nell'Antico Testamento i profeti avevano i loro discepoli e la Sapienza invitava la gente a seguirla. In che tradizione si colloca Gesù che chiama i discepoli? Per rispondere alla domanda esamineremo il racconto della vocazione del giovane ricco.
Gesù ha scelto i suoi discepoli tra i poveri. Se non esclude i ricchi esige comunque da loro gesti di rinuncia a favore dei poveri. Per capire la vocazione del giovane ricco occorre richiamare l'interpretazione ebraica dello Shemà Israel, preghiera che ogni israelita, Gesù compreso, recitava due volte al giorno. Ascolta Israele: Il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze (Dt 6,4-5). Questa professione di fede faceva parte integrante delle convinzioni di ogni ebreo. Non solo, il testo di questa confessione è presentato alla venerazione di tutti in piccoli astucci appesi alle porte che si toccano prima di entrare in una stanza. Lo Shemà è innanzitutto una professione di fede, poi un richiamo del comandamento di amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze.
Il vangelo di Marco ha ben presente che Gesù ha dichiarato che il primo comandamento della legge è costituito dallo Shemà. Se Gesù recitava questa pre-ghiera ne conosceva l'interpretazione corrente in quell'epoca, interpretazione che la Mishnà al trattato Berakot ha conservato. E opportuno citare que-sto commento dello Shemà: «Occorre benedire Dio per il male come per il bene, poich? è scritto: Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze (Dt 6,5). Con tutto il cuore: con le tue due tendenze, quella buona e quella cattiva. Con tutta l'anima: dovesse anche costarti la vita. Con tutte le forze: con tutti i tuoi averi». Questa interpretazione è antica, come è provato da un testo di Qumran. Era già conosciuta nel primo secolo a.C. È difficile pensare che questa interpretazione tradizionale non abbia avuto alcuna influenza sull'insegnamento di Gesù. È facile definire i termini chiave: cuore, anima e forza. Sappiamo che l'antropologia della Bibbia è diversa da quella greca. Essa localizza nel cuore, nel fegato e negli organi interni i moti, le emozioni, i sentimenti e anche le idee dell'anima. Il cuore significa l'interno opposto alla facciata. Ricordiamo il proverbio del primo libro di Samuele: L'uomo guarda le apparenze, il Signore guarda il cuore (1 Sam 16,7). Il cuore è sede dell'energia vitale, essendo il motore della circolazione del sangue. Il cuore vede con gli occhi e sente con gli orecchi. Di qui l'importanza dell'ascolto. Dato che la parola «cuore» in ebraico ripete due volte la lettera bet, i rabbini ne hanno dedotto che il cuore ha due propensioni: una al bene e l'altra al male. Paolo dirà che vi abitano due uomini. L' anima, nella Bibbia, è vicina al soffio. Il principio della vita è il soffio vitale. Generalmente si ammette che la nephesh* è nel sangue o che è il sangue. Amare Dio con tutta l'anima significa amare Dio fino a dargli il sangue. Il termine psuch? (l' anima) reinterpreta la concezione veterotestamentaria alla luce dell'antropologia greca fondata sulla coppia anima-corpo. Infine le forze dell'uomo possono essere fisiche o spirituali. È il vangelo di Matteo, ancora vicino alla menta-lità ebraica, che ha conservato certe interpretazioni di eventi o di parole di Gesù legate allo Shemà. La vocazione del giovane ricco illustra lo Shemà. Vi troviamo innanzitutto una professione di fede: «Uno solo è il Buono», che corrisponde a quella di Dt 6,4. Segue poi la lista dei comandamenti. Quando il giovane afferma di aver rispettato questi comandamenti Marco sottolinea lo sguardo d'amore che Gesù posa su di lui. Gesù lo invita a vendere ciò che possiede, cioè ad amare Dio con tutte le sue forze, e poi a seguirlo. Il verbo akolouthe? significa seguire, e si concretizza nell'amare Dio con tutto il cuore e con tutta l'anima. La tradizione cristiana ha visto in questo testo il fondamento scritturale della vita religiosa. Lo Shemà Israel aveva lasciato un'impronta così forte nella tradizione ebraica da ispirare numerose scene evangeliche. Al capitolo 6 del suo vangelo Matteo propone tre modi per realizzare la nuova giustizia: l'elemosina, la preghiera e il digiuno. L'elemosina è l'amore di Dio con le proprie ricchezze; la preghiera è l'amore di Dio con il proprio cuore; il digiuno è l'amore di Dio con tutta la propria anima. La Bibbia in effetti definisce il digiuno come un'afflizione dell'anima. Nell'insegnamento di Gesù il tema dello Shemà è ugualmente implicito. La parabola del seminatore può essere interpretata con la stessa chiave di lettura. Quando Gesù propone questa parabola Israele si divide in due categorie. Alcuni accolgono la parola, altri la rifiutano. Coloro che la rifiutano si dividono a loro volta in tre gruppi: gli uomini del cammino; gli uomini del pietrame e gli uomini dei rovi. A questi tre gruppi mancano i requisiti dello Shemà. Alcuni non amano Dio con tutto il cuore. Altri hanno paura della persecuzione e non amano Dio con tutta l'anima. Altri infine sono soffocati dalle ricchezze. Non amano Dio con tutte le forze. Anche coloro che accettano la parola sono divisi in tre gruppi. Dare una resa al cento per uno significa amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze. Darla al sessanta per uno significa amare Dio con tutto il cuore e con tutte le forze, senza sacrificare la propria anima per lui. Darla al trenta per uno significa amare Dio solo con il cuore. Questa parabola è al centro del vangelo di Matteo. Gesù ogni mattina e ogni sera si disponeva ad ascoltare la parola di Dio, ad amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze, a inse-gnarla ai suoi discepoli; a ripeterla seduto in casa o in cammino. La comunità di Gerusalemme prenderà come modello di vita cristiana lo Shemà, come provano chiaramente i sommari degli Atti degli Apostoli. I credenti che mettevano tutto in comune cercavano di amare Dio con tutte le forze. Con un solo cuore se erano fedeli, frequentavano il Tempio e spezzavano il pane nella casa. La preghiera permetteva loro di amare Dio con tutto il cuore. L'assiduità all'insegnamento degli apostoli, la fedeltà alla comunione fraterna offrivano loro l'opportunità di amare Dio con tutta l'anima. In ciò consisteva la comunione. I credenti avevano un solo cuore e una sola anima. Nessuno era abbandonato. La loro fede nella risurrezione era la fonte del loro amore. Gesù che invita i discepoli a seguirlo sceglie questa linea profetica. Egli è il profeta che ricorda al suo popolo l'unicità di Dio che pure egli chiama Abba, Padre, perch? intrattiene con lui relazioni assolutamente uniche. Gesù è anche la Sapienza che parla con autorità e che forma dei discepoli destinati a continuare la sua opera. «Egli ha posto Lazzaro nel seno di Abramo come una sorta di porto tranquillo e di asilo inviolabile nel timore che, attirati dai piaceri del momento, noi non rimanessimo prigionieri dei vizi o che, vinti dallo scoramento, cercassimo di evitare la pena e la fatica... Non ogni povertà è santa, non tutte le ricchezze  sono condannabili, ma come la dissolutezza disonora le ricchezze, così la santità raccomanda la povertà» (S. AMBROGIO, Trattato sul Vangelo di Luca 8,14).


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