Mercoledì della XXVI settimana del Tempo Ordinario. Approfondimenti



L’attualità piena di ciò che siamo 
è possibile solo in vista di un’altra presenza, 
di un altro essere che ha la virtù di porci in esercizio, in atto…
E come sarebbe possibile uscire da sé… 
a meno di non essere irresistibilmente innamorati?

Maria Zambrano, Filosofia y Poesia






S. Undset. L'amore sino alla fine 

"Una cosa era certa: Dio, ella lo sapeva, aveva stretto un patto con lei, un patto d'amore col quale la legava a sé in eterno, indipendentemente dalla sua volontà, dai suoi pensieri terreni, questo amore era esistito sempre in lei, aveva agito come il sole sulla terra che dà alla fine i suoi frutti. Questi frutti nessuno avrebbe potuto distruggerli, né il fuoco dei desideri carnali, né l'orgoglio, né l'ira folle. Era stata serva di Dio, anche se ribelle, restia, infedele nel cuore, con una preghiera falsa sulle labbra; una serva maldestra, insofferente davanti alla fatica, indecisa, ma Dio aveva voluto mantenerla lo stesso al suo servizio". (Kristin figlia di Lavrans)



Benedetto XVI. Le spalle di Gesù

"Nella figura di Mosè era significato sia il mistero di Cristo, sia il cammino dei suoi discepoli... perciò a tutti noi, seguaci di Cristo. E' questa, fondamentalmente, l'interpretazione di Es 33 presso i Padri; varia tuttavia nei particolari, in specie per il difficile riferimento alla visione delle "spalle di Dio", allo stare nella fenditura della roccia, alle mani di Dio che ci ricoprono. Personalmente, sono sempre attratto dall'interpretazione che ne dà Gregorio di Nissa. Che cosa significa poter vedere Dio soltanto di spalle - scrive il Nisseno - se non che ci è possibile incontrare Dio esclusivamente camminando dietro a Gesù; perciò solamente attraverso la sequela, che è un procedere sulle orme di Gesù, quindi alle spalle di Dio? [Questo] significa fare di tutta la nostra esistenza un cammino verso il Dio vivente, nella sequela di Gesù Cristo, il quale ci addita la sua strada, che è l'itinerario del mistero pasquale di passione e morte, di risurrezione e ascensione" (Benedetto XVI, In cammino verso Gesù). 



Maria Zambrano. Il volo dell'amore 

"L’azione dell’amore, il suo carattere di agente divino nell’uomo, si riconosce soprattutto da quell’affinamento dell’essere che lo patisce e lo sopporta. E anche da uno spostamento del centro di gravità dell’uomo. Perché essere uomini significa essere stabili, significa pesare, pesare su qualcosa. L’amore provoca non la diminuzione bensì la scomparsa di quella gravità… Il centro di gravità della persona si è trasferito alla prima persona amata e, nel momento in cui la passione svanisce, resterà quel movimento, il più difficile, dello stare “fuori di sé”… Vivere fuori di sé per vivere oltre se stessi. Vivere disposti al volo, pronti a qualunque partenza. È il futuro inimmaginabile, l’irraggiungibile futuro di quella promessa di vita vera che l’amore insinua in chi lo sente» (L’uomo e il Divino, p. 252).



Benedetto XVI. L'amore nel Cantico dei Cantici

Nel Cantico dei Cantici "si trovano due parole diverse per indicare l'«amore»: «dodim » — un plurale che esprime l'amore ancora insicuro, in una situazione di ricerca indeterminata. Questa parola viene poi sostituita dalla parola «ahabà», che nella traduzione greca dell'Antico Testamento è resa col termine di simile suono «agape» che diventò l'espressione caratteristica per la concezione biblica dell'amore. In opposizione all'amore indeterminato e ancora in ricerca, questo vocabolo esprime l'esperienza dell'amore che diventa ora veramente scoperta dell'altro, superando il carattere egoistico prima chiaramente dominante. Adesso l'amore diventa cura dell'altro e per l'altro. Non cerca più se stesso, l'immersione nell'ebbrezza della felicità; cerca invece il bene dell'amato: diventa rinuncia, è pronto al sacrificio, anzi lo cerca. Fa parte degli sviluppi dell'amore verso livelli più alti, verso le sue intime purificazioni, che esso cerchi ora la definitività, e ciò in un duplice senso: nel senso dell'esclusività — «solo quest'unica persona» — e nel senso del «per sempre». L'amore comprende la totalità dell'esistenza in ogni sua dimensione, anche in quella del tempo. Non potrebbe essere diversamente, perché la sua promessa mira al definitivo: l'amore mira all'eternità. Sì, amore è «estasi», ma estasi non nel senso di un momento di ebbrezza, ma estasi come cammino, come esodo permanente dall'io chiuso in se stesso verso la sua liberazione nel dono di sé, e proprio così verso il ritrovamento di sé, anzi verso la scoperta di Dio: «Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece la perde la salverà», dice Gesù. Con ciò Egli descrive il suo personale cammino, che attraverso la croce lo conduce alla resurrezione: il cammino del chicco di grano che cade nella terra e muore e così porta molto frutto. Partendo dal centro del suo sacrificio personale e dell'amore che in esso giunge al suo compimento, egli con queste parole descrive anche l'essenza dell'amore e dell'esistenza umana in genere" (Deus Caritas Est, n.6) 



Dante e Giussani. Il tu di Dio

Scriveva Dante in un verso del Paradiso, «Già non attendere’ io tua dimanda,/ s’io m’intuassi, come tu t’immii» (IX,80-81); don Giussani lo commentava così: «Una frase potente, strapotente, tutta quanta nata dalla frase di san Paolo: “Vivo, non io; sei Tu che vivi in me”. Questa è la grande norma… “intuarci”, renderci “tu”, così come Egli è diventato nostro, come Egli è diventato uomo, è diventato te, perché chiamandoti è diventato te… Tu accetti e desideri di amarlo: da’ te stesso per lui» (Le mie letture). 


Gesù e il discepolo stretti nello stesso mantello d'amore. 


Il discepolo di Gesù è un innamorato, immerso in un amore che lo ha raggiunto senza vedersi porre condizioni, laddove egli si trovava, come Matteo, come Zaccheo, senza il tempo di riordinare, di farsi belli, piacevoli, attraenti. Come Israele, sposa infedele raggiunta, amata e perdonata dal Signore.
Un discepolo reca inciso nel suo DNA questa stessa esperienza di Israele, l'incontro con Cristo che ha steso il lembo del suo mantello per rivestire di se stesso e della sua dignità la nudità della colpa antica. Non a caso nel testo odierno si ravvisa l'eco dell'episodio nel quale Elia, gettando il proprio mantello su Eliseo, lo chiama a suo servizio:. Nell’Antico Testamento il mantello era  figura di un regno, ma anche ciò che trasmette lo spirito profetico, come accade nella vicenda di Elia ed Eliseo. Inoltre il mantello è figura della persona stessa. In 2 Re 9,12s rappresenta le persone che si sottomettono a Ieu, mettendo a disposizione la propria vita. Nell’entrata in Gerusalemme la folla si sottomette a Gesù deponendo i propri mantelli al suo passaggio. Quando Gesù si toglie il mantello prima della lavanda dei piedi per rimetterselo alla fine, profetizza l’offerta della sua persona e il ritorno alla vita.  Gettandogli addosso il mantello, Elia investe Eliseo della propria missione. Elia getta il mantello e non si ferma nemmeno, a sottolineare l'urgenza della sequela. Eliseo, dopo un attimo di incertezza, risponde prontamente e sacrifica i due buoi e l'aratro: la sua vita è ormai offerta, consegnata, fatta sacra (sacri-ficata), messa da parte per Elia. Quel mantello aveva fatto di Eliseo un altro Elia. Ma se seguire non è altro che una coniugazione dell'amare, il rapporto tra discepolo e Gesù non può essere che quello sponsale. La Bibbia in fondo è una lunga inclusione tra due scene nuziali, quella della Genesi e quella dell'Apocalisse. Un discepolo segue l'amato come appare nel Cantico dei Cantici, e in moltissime altre pagine della Scrittura. E' l'amore la sorgente di ogni chiamata, l'amore che crea qualcosa di assolutamente nuovo, lo stesso che "dei due fa una cosa sola". Il mistero grande di Cristo che offre la sua vita e, in virtù di questo, fa sua sposa per sempre la Chiesa, ed in essa, ciascun discepolo, ciascuno di noi. Nell'immagine sponsale si riassume tutto quanto affermato sino ad ora. E si comprende perchè gli unici ostacoli frapposti dai due personaggi che appaiono nel Vangelo siano proprio legati alle relazioni con la propria famiglia di origine. L'urgenza della missione esige una nuova appartenenza, come un sacramento del quale quello sponsale è l'immagine più appropriata; ogni vocazione infatti è un sacramento, una Parola di Dio che crea una novità celeste nella carne e nella storia degli uomini. Così il matrimonio, il presbiterato, la vita religiosa, la vita missionaria e itinerante, tutto scaturisce dalla stessa Parola creatrice, e non è mai frutto del volere umano. Infatti solo nell'opera creatrice di Dio volta a formare una nuova cosa sola, un uomo e una donna lasceranno suo padre e sua madre. Risiede in questa parola del libro della Genesi l'autorità radicale e scandalizzante di Gesù. Lasciare i morti seppellire i propri morti, non voltarsi indietro per congedarsi dai propri familiari, è qualcosa che, ad una prima lettura, stride con tutto l'insegnamento di Gesù. Ma queste parole esprimono la serietà e l'esigenza della nuova appartenenza. Non si possono fare compromessi, l'amore non li contempla. Non si può seguire Cristo rimanendo con cuore, mente e carne nella propria casa, luogo dove reclinare il capo... Così come chi, pur sposandosi, non abbandona mai la propria casa di origine, e cerca di farne una replica in quella che condivide con il coniuge. Chiamati in un amore infinito, non possiamo ridisegnare la sequela secondo i criteri e i valori appresi nella carne, della quale i genitori sono immagine. Non si tratta di guardare e ritornare indietro, magari con qualche seduta di analisi, e cercare di seppellire dignitosamente i frammenti dispersi della nostra storia, di riordinare per sentirsi a posto con il passato e la coscienza, e infine ritrovarsi una statua di sale. E' il suo amore che, toccando oggi, e domani, e ogni giorno la nostra vita, seppellisce le nostre opere morte per farci creature nuove. Seguire Cristo è come lanciarsi in un'avventura di cui non si conosce nulla, se non l'amore che ci ha raggiunti, salvati e liberati. Un amore infinito presuppone spazi, prospettive, esiti senza limiti. Per scoprire che l'autentica sequela, il seguire il Signore, non è altro che essere cercati, ritrovati, amati e caricati sulle spalle dal Buon Pastore, e imparare, ogni giorno, a posare lo sguardo esattamente dove lo posa Lui, perchè "amarsi non vuol dire guardarsi l'un l'altro, ma guardare insieme nella stessa direzione" (Antoine de Saint-Exupéry). Pecore ogni giorno smarrite e ogni giorno ritrovate, i discepoli, forse senza neanche rendersene conto, seguono Gesù solo perchè caricati e stretti sulle sue spalle.   



Autore ignoto, compagno di San Francesco d'Assisi (13o secolo) 
Sacrum commercium, 19-21 (trad. Carlo Paolazzi)

« Il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo »

Così, « innamorato della tua bellezza » (Sg 8,2), o Madonna Povertà,  il Figlio dell'altissimo Padre a te sola si unì strettamente nel mondo e ti conobbe per prova fedelissima in ogni cosa. Prima ancora che dallo splendore della sua patria Egli venisse sulla terra tu gli preparasti una abitazione degna, un trono su cui sedersi e un talamo dove riposare, cioè la Vergine poverissima dalla quale Egli nacque a risplendere su questo mondo. A lui appena nato con sollecitudine corresti incontro, perché egli trovasse in te, e non nelle mollezze, un posto che gli fosse gradito. Fu deposto, dice l'evangelista, « in una mangiatoia, perché non c'era posto per lui nell'albergo » (Lc 2,7). Allo stesso modo, senza mai separarti da lui, l'hai sempre accompagnato, tanto che in tutta la sua vita, quando apparve sulla terra e visse fra gli uomini, mentre « le volpi avevano le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, egli però non aveva dove posare il capo ». E in seguito quando egli, che un tempo aveva dischiuso la bocca dei profeti, aprì la sua bocca per insegnare, te per prima volle lodare, te per prima esaltò con le parole: « Beati i poveri in ispirito, perché di essi è il regno dei cieli ! » (Mt 5,3)  Quando poi dovette scegliere per la salvezza del genere umano alcuni testimoni della sua santa predicazione e del suo glorioso genere di vita, non scelse già dei ricchi mercanti, ma dei poveri pescatori, per mostrare, con tale attestazione di stima, che tu devi essere amata da tutti. Infine, perché a tutti fosse manifesta la tua bontà, la tua magnificenza, la tua fortezza e la tua dignità, ed apparisse che tu sei la prima di tutte le virtù, e che nessuna virtù può esistere senza di te, e che il tuo regno non è di questo mondo, ma del cielo, tu sola rimanesti unita al Re della gloria quando tutti coloro che egli aveva prescelto ed amato, vinti dalla paura, lo abbandonarono. Ma tu, sposa fedelissima e dolcissima amante, neppure per un momento ti allontanasti da Lui, anzi proprio allora ti aggrappavi a lui con più forza, quando lo vedevi maggiormente disprezzato da tutti... Tu sola lo consolavi. « Fino alla morte, e alla morte di croce » (Fil 2,8), tu non l'hai abbandonato. E persino sulla croce, il corpo ignudo, le braccia stese, le mani e i piedi conficcati al legno, tu soffrivi con lui, e nulla appariva in lui che gli desse maggior gloria di te.



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