Joseph Ratzinger. La ricerca di Dio, il dono della verità


La ricerca di Dio, il dono della verità

di Joseph Ratzinger
  

Non è presunzione parlare di verità in tema di religione, e addirittura asserire di avere conosciuto nella propria religione la verità? Quella verità unica che certamente non esclude la presenza di verità nelle altre religioni, ma che ricompone in unità i frammenti dispersi?

Oggi è diventato uno slogan quasi ricorrente qualificare come sprovveduti, oltre che arroganti, coloro ai quali si può rimproverare la presunzione di la verità. Tali persone, così sembra, sono chiuse al dialogo e quindi non meritevoli di essere prese sul serio. La verità non la de nessuno. Noi tutti possiamo sempre e soltanto mantenerci alla sua ricerca.

Ma si potrebbe controbattere: che tipo di ricerca è quella che non può mai giungere a una conclusione? Cerca davvero, oppure non ha alcuna intenzione di trovare... visto che loggetto della ricerca non può esistere? Inoltre, non è un ridurre a caricatura il pensiero di coloro ai quali si attribuisce la pretesa di "possedere" la verità? In nessun caso la verità può costituire un possesso; il rapporto con essa devessere sempre di umile adesione, nel timore di poter diventarne indegni. Io non posso vantarmi, quasi si tratti di cosa mia, del dono ricevuto; devo invece saperlo mettere responsabilmente al servizio degli altri. Ce lo dice anche la fede: la dissomiglianza tra ciò che noi conosciamo e la Verità in se stessa, è sempre immensamente più grande che non la somiglianza (cfr. Lat. IV: DS 806). E tuttavia questimmensa differenza non riduce la conoscenza a non-conoscenza, la verità a non-verità.

A me pare che laccusa di presunzione andrebbe capovolta. Non è forse presunzione asserire che Dio non può farci dono della verità? Che egli non è in grado di aprire i nostri occhi? Non è fare dispregio a Dio dire che noi siamo nati irrimediabilmente ciechi, e quindi la verità non è affare nostro? Non è un degradare luomo e il suo desiderio di Dio considerarci come dei condannati a procedere eternamente a tentoni nel buio? La vera presunzione entra in gioco quando siamo noi a voler prendere il posto di Dio, per stabilire chi siamo, che cosa possiamo decidere, che cosa vogliamo fare di noi stessi e del mondo.

In realtà, conoscenza e ricerca non si escludono a vicenda. Sia Gregorio di Nissa che Agostino ci offrono dei magnifici testi che, mentre esaltano linfinita grandezza di Dio, dicono anche che re tutto estinguerebbe lintima ricerca, e che la nostra eterna gioia consisterà nel cercare il volto di Dio: il che significa, attraverso una sempre nuova e gioiosa scoperta, spaziare senza sosta entro lInfinito, e così vivere lavventura delleterno Amore come risposta alla nostra sete di felicità.

In verità, la fede che ci fa vedere in Gesù non semplicemente un illuminato, ma il vero Figlio, la Parola stessa alla quale tutte le altre illuminazioni e parole convergono, non può che apparire ai non-cristiani come unorgogliosa presunzione. È perciò urgente che non consideriamo una tale conoscenza come frutto della nostra capacità, ma che restiamo convinti che lincontro con la Parola anche per noi è soltanto un dono che ci viene fatto, affinché a nostra volta lo ridistribuiamo, gratuitamente, così come labbiamo ricevuto. Dio ha fatto una scelta, ha posto gli uni per gli altri e tutti vicendevolmente; e soltanto nellumiltà noi possiamo riconoscerci come indegni messaggeri, che non annunciano se stessi, ma che con sacro timore parlano di ciò che non appartiene a loro, ma viene da Dio.

Così soltanto si può comprendere il mandato missionario. Esso non può significare colonialismo spirituale, asservimento di altri alla mia cultura e alle mie idee. Il modello della missione è chiaramente indicato nel cammino degli apostoli e della Chiesa primitiva, in particolare nel discorso dellinvio pronunciato da Gesù.

La missione richiede come prima condizione la disponibilità al martirio, la capacità di perdere sé stessi per amore della verità e per il bene degli altri. Soltanto allora diventa credibile la missione: questa è stata sempre la sua clausola e tale continuerà a essere. In questo modo, infatti, resta garantito il primato della verità; e l stessa della presunzione è debellata dallinterno. La verità non può avvalersi d arma che sé stessa.

Chi crede di aver trovato nella verità la perla preziosa, è disposto a dar via tutto il resto, anche se stesso: egli sa che nel "perdersi" si ritrova, e che solo il chicco di grano che muore porta molto frutto. Chi crede e può dire: «Abbiamo trovato lamore», deve ridistribuire questo dono. Operando così egli non eserciterà violenza, non soffocherà lidentità di nessuno, non aggredirà le culture, bensì le affrancherà in prospettiva della loro possibile grandezza. C’è una responsabilità da soddisfare: «Unurgenza mi spinge; guai a me se non predico il Vangelo» (1Corinti 9,16). Molto prima di Paolo, mosso dal medesimo impulso, Geremia aveva detto qualcosa di simile: «La parola del Signore è divenuta per me motivo di derisione e di scherno tutto il giorno. Perciò dicevo: "Non voglio più pensare a lui, non voglio più parlare in suo nome". Ma cera come un fuoco ardente nel mio cuore...» (Geremia 20,8ss).

Mi sembra, in definitiva, che possa intendersi sotto questa luce anche la parabola del servo timoroso che sotterra il denaro del suo padrone, così da poterglielo restituire integro, invece di trafficarlo e accrescerlo al pari degli altri servi. Il "talento" a noi affidato - il tesoro della verità - non può essere tenuto nascosto, ma devessere dispensato con audacia e coraggio, affinché fruttifichi e (passando a unaltra immagine) come lievito si diffonda nellumanità e la rinnovi.

Oggi, nel nostro Occidente, noi sembriamo frequentemente solleciti a sotterrare il tesoro. Forse perché colti da pusillanimità di fronte allesigenza di gettarlo nella competizione della nostra storia, rischiando così di perderlo (ma questa è pura incredulità); oppure per indolenza: lo sotterriamo perché non vogliamo esserne noi stessi importunati, desiderando condurre una vita risparmiata dal peso della sua responsabilità.

Ma il dono della conoscenza di Dio, il dono del suo amore che si offre a noi nel cuore spalancato di Gesù, dovrebbe pungolarci a dare il nostro contributo affinché tutti i confini della terra possano vedere la salvezza di Dio (Isaia 52,10; Salmo 98,3).

Joseph Ratzinger



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