P. Raniero Cantalamessa. Venne una povera vedova


Un giorno, stando davanti al tesoro del tempio, Gesù osserva quelli che vi gettano elemosine. Nota una povera vedova che passando davanti, vi mette tutto quello che ha: due spiccioli, cioè un quattrino. Allora si volta verso i discepoli e dice: “In verità vi dico questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Poiché tutti hanno dato del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere”.

Possiamo chiamare la Domenica di oggi la “Domenica delle vedove”. Anche nella prima lettura viene narrata la storia di una vedova: la vedova di Zarepta che si priva di tutto quello che ha (un pugno di farina e qualche goccia d’olio) per preparare da mangiare al profeta Elia.

È una buona occasione per dedicare la nostra attenzione alle vedove e, naturalmente, anche ai vedovi di oggi. Se la Bibbia parla così spesso delle vedove e mai dei vedovi, è perché nella società antica la donna rimasta sola è assai più svantaggiata rispetto all’uomo rimasto solo. Oggi non c’è più molta differenza tra i due; anzi, dicono che la donna rimasta sola se la cava, in genere, meglio dell’uomo nella stessa situazione.

Vorrei, in questa occasione, accennare a un tema che interessa vitalmente non solo i vedovi e le vedove, ma tutti gli sposati e che è particolarmente attuale in questo mese dei morti. La morte del coniuge, che segna la fine legale di un matrimonio, segna anche la fine totale di ogni comunione? Resta qualcosa in cielo del vincolo che ha unito così strettamente due persone sulla terra, o invece tutto sarà dimenticato, varcando la soglia della vita eterna?

Un giorno alcuni sadducei presentarono a Gesù il caso limite di una donna che era stata successivamente moglie di sette fratelli, chiedendogli di chi sarebbe stata moglie dopo la risurrezione dai morti. Gesù rispose: “Quando risusciteranno dai morti non prenderanno moglie né marito, ma saranno come angeli nei cieli “ (Marco 12, 25). Interpretando in modo errato questa frase di Cristo, alcuni hanno sostenuto che il matrimonio non ha alcun seguito in cielo. Ma con quella frase Gesù rigetta l’idea caricaturale che i sadducei presentano dell’al di là, come fosse un semplice proseguimento dei rapporti terreni tra i coniugi; non esclude che essi possano ritrovare, in Dio, il vincolo li ha uniti sulla terra.

Secondo questa visione, il matrimonio non finisce del tutto con la morte, ma viene trasfigurato, spiritualizzato, sottratto a tutti quei limiti che segnano la vita sulla terra, come, del resto, non sono dimenticati i vincoli esistenti tra genitori e figli o tra amici. In un prefazio dei morti la liturgia proclama: “La vita è trasformata, non tolta”. Anche il matrimonio che è parte della vita viene trasfigurato, non annullato.

Ma cosa dire a quelli che hanno avuto un’esperienza negativa, di incomprensione e di sofferenza, nel matrimonio terreno? Non è per essi motivo di spavento, anziché di consolazione, l’idea che il legame non si rompe neppure con la morte? No, perché nel passaggio dal tempo all’eternità il bene resta, il male cade. L’amore che li ha uniti, fosse pure per breve tempo, rimane; i difetti, le incomprensioni, le sofferenze che si sono inflitte reciprocamente cadono. Anzi questa stessa sofferenza, accettata con fede, si convertirà in gloria. Moltissimi coniugi sperimenteranno solo quando saranno riuniti “in Dio” l’amore vero tra di loro e, con esso, la gioia e la pienezza dell’unione che non hanno goduto in terra. In Dio tutto si capirà, tutto si scuserà, tutto si perdonerà.

Si dirà: e quelli che sono stati legittimamente sposati a diverse persone? Per esempio i vedovi e le vedove risposati? (Fu il caso presentato a Gesù dei sette fratelli che avevano avuto, successivamente, in moglie la stessa donna). Anche per essi dobbiamo ripetere la stessa cosa: quello che c’è stato di amore e donazione veri con ognuno dei mariti o delle mogli avuti, essendo obbiettivamente un “bene” e venendo da Dio, non sarà annullato. Lassù non ci sarà più rivalità in amore o gelosia. Queste cose non appartengono all’amore vero, ma al limite intrinseco della creatura.

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