Sant'Agostino. La narrazione contemplativa di San Giovanni


I tre primi evangelisti si sono diffusi a narrare di preferenza i fatti contingenti che presenta la vita di Cristo sotto il suo aspetto sensibile e umano. Giovanni al contrario si volge soprattutto alla divinità del Signore per la quale egli è uguale al Padre. Questa divinità si propose d'inculcare con la massima cura nel suo vangelo, e vi si dedicò nella misura che ritenne sufficiente agli uomini. 

Pertanto Giovanni si leva molto più in alto che non gli altri evangelisti. Ti par di vedere i tre primi quasi trattenersi sulla terra con Cristo uomo; lui invece oltrepassa le nebbie che coprono la superficie terrestre e raggiunge il cielo etereo. Da lassù, con acutissima e saldissima penetrazione della mente, poté vedere il Verbo che era in principio, Dio da Dio, ad opera del quale tutte le cose furono fatte. Lo osservò anche fatto carne per abitare in mezzo a noi, precisando che egli prese la carne, non che si sia mutato in carne.
Se il Verbo si fosse incarnato senza conservare immutata la sua divinità, non avrebbe potuto dire: Io e il Padre siamo una cosa sola. Gv 10,30. Non sono, infatti, una cosa sola il Padre e la carne. 

Ed è ancora lo stesso Giovanni che, unico fra gli evangelisti, ci riporta questa testimonianza del Signore nei riguardi di se stesso: Chi ha visto me ha visto il Padre, Gv 14,9 e: Io sono nel Padre e il Padre è in me. Siano come noi una cosa sola, e: Quello che il Padre fa, anche il Figlio lo fa. Cf Gv 5,19 

Queste parole e le altre, se ce ne sono, che designano a chi le capisce debitamente la divinità di Cristo nella quale è uguale al Padre,è Giovanni che, esclusivamente o quasi, le ha poste nel suo vangelo. Egli aveva bevuto più copiosamente e più familiarmente il mistero della divinità di Cristo; in certo qual modo lo ha attinto dallo stesso petto del Signore sul quale nella cena gli fu consentito di reclinare il capo.
All'anima umana sono proposte due forme di virtù: quella attiva e quella contemplativa. Con la prima si cammina, con la seconda si perviene; nella prima si fatica per purificare il cuore e renderlo degno di vedere Dio; nella seconda si riposa e si vede Dio. 

La prima osserva i precetti che regolano la presente vita passeggera, la seconda gode della manifestazione della vita eterna. Pertanto l'una opera, l'altra riposa, poiché l'una ha il compito di purificare dai peccati, l'altra fruisce della luce di chi è già purificato. E per quanto concerne la presente vita mortale, l'una si occupa delle opere d'una buona condotta. L'altra consiste prevalentemente nell'esercizio della fede; e, sia pure in pochissimi, perviene a una qualche visione dell'immutabile verità, visione peraltro speculare, enigmatica e parziale.
Queste due virtù troviamo rappresentate nelle due mogli di Giacobbe, Lia e Rachele. In ebraico Lia significa affaticata, mentre Rachele visione del principio. Da questo, se lo consideriamo attentamente, possiamo concludere che i primi tre evangelisti si occuparono di preferenza dei fatti e detti temporali del Signore, validi innanzi tutto per la formazione dei costumi durante la vita presente; essi perciò si limitarono alla prima categoria di virtù, cioè quella attiva.

Giovanni invece narra molto meno fatti riguardanti il Signore, mentre riferisce con maggiore cura e dovizia i detti di lui, specie quelli che presentano l'unità della Trinità e la beatitudine della vita eterna. Ne segue ch'egli mostra come il suo intento e la sua predicazione fossero rivolti ad inculcare la virtù contemplativa.

De consensi EvangeIistarum. 1,7‑8. PL 34,1045‑1046.

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