Beppe Lavelli e Silvano Fausti. Il Figlio dell’uomo ha potere di rimettere i peccati sulla terra



Il peccato è l’egoismo: una paralisi che ci impedisce di camminare e raggiungere la nostra casa, che è l’amore. Gesù non solo ci perdona, ma ci dà il suo stesso potere di perdonare, per camminare in una vita nuova.


Nel salmo 103 (102) è racchiusa questa grande inclusione "Benedici il 
Signore anima mia", un salmo di benedizione e di lode, ed il primo 
beneficio di cui si ringrazia è il perdono: "Egli perdona tutte le tue 
colpe". E poi quasi ad indicare che cosa significhi questo perdono si 
parla di guarigioni da tutte le malattie, di una vita salvata dalla 
morte, di una vita continuamente nutrita da parte del Signore. 
Questo è il motivo per cui si benedice il Signore, per questo perdono 
che lui dà.  E più avanti quando si paragona la misericordia 
all'altezza del cielo sulla terra, alla distanza dell'oriente 
dall'occidente, si dice che è grande la sua misericordia e così 
allontana da noi le nostre colpe. Cioè il Signore viene benedetto 
perché allontana da noi le nostre colpe, è come se ci permettesse di 
riacquistare la vera identità allontanando quella parte di noi che 
invece rimane sempre in dietro, quasi fallisce il cammino. Ed infine: 
come un padre ha pietà dei figli, così il Signore ha pietà di quanti lo 
temono. Per comprendere ciò che fa il Signore è necessario vivere 
dall'interno questa relazione. Allora richiamare anche le relazioni 
che si vivono perché ci aiutino pian piano a conoscere sempre meglio

il Signore. Allora anche le colpe dalle quali si viste liberati sono viste 
all'interno di questa relazione.      
Faccio la sintesi del cammino fatto finora. Abbiamo finito il 
capitolo primo che ha tracciato il programma di tutto il Vangelo che 
inizia con la Parola di Gesù che è finito il tempo, è giunto il 
momento, non c’è da aspettare il regno di Dio, c’è già, basta che 
cambiamo modo di pensare, di camminare e di vivere, il regno c’è 
già, se mi giro, entra. 
Il Regno di Dio è il grande desiderio dell’uomo, è il mondo di 
giustizia, di libertà, di amore, quello che tutti sognano. C’è già, non è 
da aspettare chissà quanto. Viene quando ti decidi. 
E quando decidi? Quando Gesù ti dice seguimi e tu cominci a 
seguirlo. 
La decisione è fatta coi piedi, non è un’idea, ma segui. E se lo 
segui capita che ascolti la sua Parola e se ascolti la sua Parola, per 
prima cosa essa svela il male che è in te che si ribella, perché 
vorrebbe resistere, ma la Parola, che dice la verità su di noi, fa un 
esorcismo, fa fuggire la menzogna che ci chiude in noi stessi, 
nell’egoismo.
Il programma di tutto il Vangelo è liberarci dalla falsa 
immagine di noi, di Dio e degli altri che ci tiene schiavi, della paura e 
se siamo liberi dalla schiavitù, dalla paura capita come alla suocera 
di Pietro che era a letto con la febbre: guarisce e serve. 
Chi non è più schiavo della paura comincia a servire, che vuol 
dire amare in modo concreto. Quindi siamo liberi finalmente per 
realizzarci nell’amore.
Questo amore cosa fa? Se arriva la sera e si muore? Bene, 
l’amore vince anche la notte, vince anche la morte. La volta scorsa 
abbiamo visto il lebbroso, che è il morto vivente, che ha solo una 
legge da osservare: quella di escludersi da tutti. Gesù trasgredisce la 
legge e lo tocca e anche lui la trasgredisce: va da Gesù. 

E comincia tutto il campo delle trasgressioni della Legge. E 
oggi entriamo nel cuore perché la Legge se è giusta, ed è bene che 
sia giusta, ci dice quando sbagliamo, ma non ci fa fare giusto.
Quello che ci fa fare giusto è l’amore, non la Legge. Il bambino 
non cresce bene perché gli proibisci di fare, lo frusti e lo punisci e 
allora fa il suo dovere; questo è farne un bruto, uno schiavo che poi 
si ribellerà, cresce bene se è amato e chi è amato può vivere 
positivamente la legge, non fa male a nessuno.
E l’amore dove lo scopriamo? Lo vediamo oggi nel testo che è 
particolarmente significativo perché apre le cinque polemiche sulla 
Legge, che occupano fino a tutto il capitolo terzo e adesso ci 
fermiamo sulla prima.


Questo miracolo di Gesù è particolarmente importante 
perché è l’unico nel quale si dice il motivo del miracolo. Gesù non fa 

volentieri i miracoli perché sono un po’ cose da baraccone, sono dei 
segni di qualcos’altro, come per la suocera di Pietro guarita: il vero 
miracolo non è la guarigione, perché la febbre sarebbe passata 
comunque, bastava l’aspirina, il vero miracolo è che la suocera 
“serviva”, cioè ha cominciato ad amare e a uscire da una posizione 
che costringeva gli altri a servire lei e invece comincia lei a servire gli 
altri.
Qui si dice il vero motivo di tutti i miracoli: “perché sappiate 
che il Figlio dell’uomo ha sulla terra il potere di rimettere i peccati”.
Rimettere i peccati può solo Dio, è l’unico potere che ha Dio, 
quello di perdonare.
Entreremo in questo mistero, perché il perdono è contrario 
alla Legge che non perdona: se sbagli devi pagare.
Qui scopriamo invece qualcosa di nuovo che è contro la Legge 
e che è il fondamento di tutto il Vangelo. Infatti dicono subito a 
Gesù “Costui bestemmia” e lo uccideranno come bestemmiatore. 
Ma la grande bestemmia è che Dio non è quello che noi pensiamo, 
che legislatore, giudice e tutto quello che sappiamo, ma è uno che 
perdona.
Allora perché la Legge? La legge serve per farci vedere 
l’errore perché se dici “Ho sbagliato e sto benissimo, anzi non ho 
sbagliato”, ti distruggi senza saperlo.  È giusto quindi che ci sia la 
Legge, però Dio non è Legge.

Ed entrato di nuovo giorni dopo in Cafarnao, si udì che è in casa. E 
si riunirono molti, così che non c’era più posto neanche davanti alla 
porta, e diceva loro la Parola.

Siamo subito dopo la guarigione del lebbroso, il contesto e il 
luogo è la casa.
Abbiamo visto Gesù nella prima giornata che terminava 
esattamente con Lui che si alzava nella notte per andare in un luogo 
deserto, veniva raggiunto e dice che bisogna andare altrove. Qui

vediamo che ritorna a Cafarnao. C’è una grande libertà da parte di 
Gesù nell’abitare tutti i luoghi: la sinagoga, la casa di Simone, il 
luogo deserto e adesso questo tornare in Cafarnao e nella casa.
È la casa di Simone dove Gesù ha già guarito la suocera di 
Simone, dove già la folla si era radunata e qui rivediamo lo stesso 
movimento che abbiamo visto col lebbroso. Là Gesù stava in un 
luogo deserto e tutti andavano da Lui, Gesù come nuovo lebbroso 
che però attirava la folla e qui ancora Gesù che annuncia la Parola e 
molti si radunano attorno alla porta.
Questa capacità di radunare che ha Gesù, che ha la sua 
Parola, diventa davvero un principio di unione, c’è una possibilità di 
tessere queste relazioni,  una relazione con il Signore che diventa 
relazione anche tra le  persone. Queste due cose vanno sempre di 
pari passo.  È come l’immagine di un grande cerchio formato da 
diverse persone: se ogni persona fa un passo verso il centro, si 
avvicina anche alle altre, cioè man mano che si rinsalda la relazione 
centrale si avvicinano anche le altre relazioni, è un passo che va in 
tutte e due le direzioni.
È importante anche che avvenga in questa casa che nel 
Vangelo diventa poi simbolo della Chiesa; la casa di Pietro è dove si 
vive la quotidianità ed è lì che si vive anche il Vangelo e lì Gesù dice 
la Parola.
La  Parola è una parola tecnica, vuol dire il Vangelo. E il 
Vangelo è Gesù Cristo, Figlio di Dio, cioè Gesù dice se stesso e lo 
dice in ciò che fa. Gesù non dice tante parole, ma fa delle cose e le 
parole spiegano semplicemente quello che fa. 
Quindi la Parola è Gesù stesso. Come dovrebbe essere per 
ognuno di noi, se diciamo la verità la parola che diciamo dice noi 
stessi, se diciamo menzogne quello che diciamo è la trappola per 
accalappiare gli altri, ma non siamo noi stessi. È bella questa identità 
tra la parola e la persona che parla: se parla veramente dice se 
stesso, altrimenti sta mentendo o parlando a vanvera.

Nel primo capitolo si diceva che “insegnava con autorità e non 
come gli scribi”: Gesù coincide esattamente con la parola che dice.
Dovrebbe essere così per tutti noi, la nostra vita è 
testimonianza di quello che diciamo, perché se diciamo una cosa e 
facciamo il contrario, almeno chiediamo perdono. Importante che la 
parola sia trasparenza di ciò che sei e di ciò che vivi.
La parola vera è il principio del bene, mentre il principio di 
tutti i mali è sempre la menzogna: non ti puoi più fidare di una 
persona, non c’è più una relazione vera, ogni relazione è solo per 
impadronirsi dell’altro, per imbrogliare e quindi è principio di tutte 
le liti, le lotte, i sospetti.
È bella anche questa introduzione: tutti accorrono perché 
finalmente sentono  la Parola. E vediamo come la Parola è 
raccontata nel testo dal fatto che accade.


E giungono portando a lui un paralitico sollevato da quattro.
E, non potendo portarglielo dinanzi a causa della folla, scoperchiarono 
il tetto dove si trovava e, fatta un’apertura, calano il lettino dove 
giaceva il paralitico.
E vista Gesù la loro fede, dice al paralitico:
Figliolo, sono rimessi a te i peccati.


Portano da Gesù un paralitico, quattro sono coloro che lo 
portano, quattro che si fanno carico di questa persona, svolgono 
questo grande servizio di portare qualcuno da Gesù. Questo è il 
servizio più grande che possiamo fare, ma anche il servizio più 
grande che possiamo ricevere, quello di essere portati da Gesù, far si 
che avvenga questo incontro.
Non si dice chi siano queste persone, conoscenti di questo 
paralitico, però ci dicono alcune cose. 
Viene presentata la situazione della persona, che da sé non 
può muoversi, è una persona bloccata, questo fisico le impedisce di 
poter andare verso Gesù ma questa paralisi può evocare altre forme 
di blocchi, in cui vediamo che non riusciamo a camminare, non 

riusciamo cioè a essere, a fare le cose che in genere dovremmo 
riuscire a fare.
Ci sono queste quattro persone: quattro erano anche i primi 
chiamati, quattro sono gli evangelisti, quattro i punti cardinali, ci 
sono tanti modi con cui noi possiamo giungere lì e soprattutto, ci 
sono persone o anche eventi che ci aiutano, che ci sollevano e ci 
portano fin da Gesù. In un certo senso il servizio che fanno queste 
quattro persone, serve a dire che non c’è paralisi, per quanto 
grande, che mi possa impedire di andare da Gesù. 
A volte ci può essere anche il rischio di crogiolarsi nei propri 
blocchi, di compiangersi delle cose che non possiamo fare, come la 
suocera di Simone: la sua febbre rende gli altri schiavi, li fa ruotare 
intorno a se e le fa vivere quella situazione da privilegiata. Come gli 
altri girano intorno alla suocera di Simone, sono gli altri che girano 
intorno a me. Questi quattro rompono il gioco, lo prendono e lo 
portano fuori, lo portano da Gesù.
È bello pensare che tutte le cose buone che ci sono capitate 
nella vita è perché ce le hanno fatte conoscere gli altri: l’incontro è 
sempre l’altro. Tutto ciò che abbiamo, lo abbiamo ricevuto.  C’è 
tutta una storia positiva che ci porta all’incontro, ci porta alla vita.
L’uomo di sua natura cammina perché ha una meta da 
raggiungere, l’uomo non è ciò che è ma è ciò che diventa, deve 
camminare e questo paralitico, invece, ha qualcosa che lo blocca, le 
sue paure, che gli impediscono di camminare, lo chiudono in se 
stesso e il vero male è questa chiusura interiore che si chiama 
paralisi, cioè peccato, questa paura che ti blocca, che ti impedisce di 
camminare dentro. Sei lì che macini in te tutti i tuoi fallimenti e dici 
“sarà sempre così, non ne esco più, sono fatto così, io sono un 
fallito!”
Peccato vuol dire fallimento, quando tu tiri una freccia e non 
raggiungi il bersaglio dici “Hai fallito”. Peccato è l’uomo che fallisce il 
bersaglio, voleva andare da una parte e invece si trova da un’altra,

’uomo fallito. E questi fallimenti ci legano, lasciano una tale paura 
che ci blocca e danno una sfiducia assoluta per cui diciamo “Non 
sarà mai così!" 
All’origine dei fallimenti c’è sempre un inganno, quella parola 
negativa che ci ha bloccato, ci ha ferito, una relazione sbagliata che 
condiziona e ipoteca la nostra vita e come tutti conosciamo le 
nostre parti escluse, le  nostre lebbre, così tutti conosciamo 
certamente le nostre paralisi, tutti i nostri blocchi.
Come se fosse bloccato anche a livello del desiderio, non si 
riesce a esprimere quello che si che desidera. Addirittura si dice 
“Non  potendo portarglielo dinanzi a  causa della folla”, sembra 
quasi che sono riusciti a portarlo fuori, ma non ce la fanno perché c’è 
la folla. Se uno vuole trovare le giustificazioni anche ai propri 
blocchi, lo può fare. C’è di buono che queste quattro persone non si 
danno per vinte, hanno cioè un desiderio forte, un desiderio che 
riguarda anche questa persona, questo paralitico e non si fermano 
nemmeno dinanzi alla folla che sembra essere un ostacolo 
insormontabile per arrivare da Gesù.
Possono essere blocchi che sentiamo dentro, a volte ci sembra 
che qualcuno si metta di mezzo, però queste quattro persone 
indicano che c’è sempre una possibilità. Io posso alimentare questo 
mio desiderio e fornirgli un percorso, come Zaccheo che nel Vangelo 
di Luca sale sull’albero per vedere Gesù.
Anche qui c’è una soluzione che viene dall’alto. Se davvero 
desidero qualcosa, allora posso assecondare questo mio desiderio, 
altrimenti mi faccio quasi un idolo del mio fallimento, ma dentro c’è 
quasi un compiacimento di se stessi, come quando si coccola una 
desolazione. Invece si rompe questo gioco.
E scoperchiano il tetto. Se la casa è simbolo della Chiesa, le 
chiese dovrebbero essere tutte col tetto scoperchiato, a dire che la 
Chiesa è una cosa aperta, verso l’alto, a tutto e lì possono entrare 
perché Dio cala  giù tutti dall’alto, è Lui che fa entrare, non siamo 

noi. Noi facciamo la siepe dei bravi fedeli che impediscono agli altri 
di entrare, Lui scoperchia il tetto e richiama la visione che ha avuto 
Pietro quando cala dal cielo quella tovaglia con dentro cibi che come 
ebreo non poteva mangiare e l’angelo gli dice “Mangia!” E Pietro “Io 
non posso, mai mangerò quelle cose impure”. 
Nulla è impuro per Dio e da Dio viene giù tutto, soprattutto 
quelli che noi consideriamo gli immondi, apre il tetto per farli 
entrare.
Scoperchiano il tetto dove si trovava. C’è anche la precisione 
nel dire “Lì deve andare”. Deve incontrare Gesù, lì scoperchiano il 
tetto e calano questo lettino dove giace questo paralitico, lettino che 
ritorna più volte in questo brano.
Dico una cosa sul lettino. Che cos’è il letto per noi? È il luogo 
di riposo, per il malato è invece il luogo di condanna. 
È simbolo della Legge: per chi ama e la osserva si riposa, per 
chi invece è chiuso nei suoi fallimenti è il luogo di condanna.  È
interessante come la stessa cosa può essere anche il suo contrario. 
Riposo, sì, ma prova a stare a letto da paralizzato!
Dopo, infatti, gli dirà porta il tuo lettuccio. Prima il lettuccio 
portava lui, era la sua prigione, era la Legge che lui non osservava. 
Ora, se uno è libero dal male e ama, può portare la Legge, la vive, 
chi ama non ammazza nessuno, non fa del male a nessuno.
L’azione passa a Gesù che per prima cosa vede la loro fede.
“Vista Gesù la loro fede”. C’è un aspetto che agli occhi di 
Gesù è visibile, la fede non si vede, ma in ciò che fanno queste 
persone Gesù vede la loro fede, è uno sguardo che va nel profondo 
ed è interessante che, prima ancora di vedere il paralitico, Gesù vede 
la fede di queste quattro persone e grazie a questa loro fede Gesù 
dice qualcosa al paralitico, avvia questo dialogo con queste parole 
“Figliolo, sono rimessi a te i peccati”. 

C’è qui il più grande dei miracoli di Gesù ma viene da chiedere 
“Quei quattro, perché hanno portato quel paralitico da Gesù?” Cosa 
si aspettavano di ricevere da Gesù portandogli il paralitico?
Gesù avvia una relazione con questa persona, con quel 
termine “figliolo”. Quando Gesù fa qualcosa lo fa sempre all’interno 
di una relazione con le persone e chiamandole così, come quando 
una madre chiama un figlio. C’è qualcuno che sta per essere 
rigenerato alla vita. Questo è il punto da cui Gesù guarda.
E quello che gli dice sembra forse sorprendere lui e gli uditori. 
Non era venuto per quello! 
Delusione della folla!
Rimettere il peccato. Oggi “peccato” è una parola scomoda, 
perché noi viviamo dei sensi di colpa enormi, viviamo nelle colpe e 
pensiamo che siamo fatti così e al massimo impariamo a gestirle con 
lo psicologo.
Il peccato non è la colpa. La colpa è il mio super IO che non è 
soddisfatto di sé. Il peccato, invece è la relazione con l’altro che ho 
rotto.
Se una donna annaffia un vaso di fiori e lo muove sul 
davanzale e cade in testa a un passante la donna direbbe “Cosa ho 
fatto!” si sente in colpa. Se per caso c’era sotto suo figlio cosa dice? 
Cosa ho fatto oppure cosa si è fatto? Dirà cosa si è fatto, perché le
interessa il figlio. La differenza tra il senso di colpa e il senso del 
peccato è che il senso di colpa è per te, per il tuo super IO e non ne 
esci mai, mentre il peccato è la relazione con l’altro, l’altro mi vuol 
bene ed io gli ho fatto del male e adesso vediamo cosa si può fare.
Il peccato conosce perdono, la colpa solo espiazione.
Come se il senso di colpa ci tenesse sempre legati a noi stessi, 
a quello che siamo stati e in genere non abbiamo corrisposto 
all’immagine che magari c’eravamo fatti e ci tiene sempre verso il

passato ma non ci apre all’altro, cosa che invece il perdono può fare.
È la diversa prospettiva, addirittura si usano dire alcune cose in 
nome del perdono. 
Siamo chiamati a perdonarci le colpe. La colpa ci chiude 
sempre nel nostro passato e vedremo che gli incontri che Gesù fa 
con le persone aprono al futuro; a Gesù interessa il futuro delle 
persone, non il passato perché lo conoscono anche loro, quante 
volte non si conosce la possibilità di futuro che uno può avere e che è 
presente qui in queste parole di Gesù.
E il perdono può venire solo dall’alto, sempre. Io mi posso 
solo punire o giustificare, che è peggio. Mentre  il perdono -
l’amore è dono - vorrebbe dire super-dono, cioè, anche se sbaglio o 
faccio del male a qualcuno, mi vuole bene ancora di più perché dice 
“Non hai capito che ti volevo bene, non hai ancora capito il bene”.
Ed è davanti al perdono, davanti all’amore che uno riconosce 
l’errore e ne può uscire. Addirittura nel perdono conosco chi è Dio. 
Dio è amore gratuito e non è il giudice, e non è la legge, è uno che 
perdona, al contrario della legge. 
E conosco anche me. Io non sono suddito della legge, schiavo, 
io sono Suo figlio, amato. E allora posso sempre riscattarmi.  È
l’amore che ci riscatta e non la legge che punisce. Questo anche 
nell’educazione è importantissimo.
Questo mi sembra il punto fondamentale: il peccato diventa il 
luogo in cui io conosco chiaramente chi è il Signore, perché se 
guardiamo questo paralitico diciamo che ha tutti i motivi per essere 
portato da Gesù, per andare da Gesù. Se lo guardiamo con l’ottica 
del peccato potremmo dire “Eh no!” Il peccato apparentemente 
sembra qualcosa che mi allontana da Gesù e invece no. Proprio 
quello diventa il motivo di un mio avvicinamento a Gesù, lì conosco 
realmente chi è il Signore, come diceva un po’ anche il salmo.

Quello che mi sembra essere ciò che più mi allontana dal 
Signore può diventare il luogo di conoscenza vera della misericordia 
del Signore.
Addirittura certamente nessun giusto conosce il Signore. 
Prima di tutto perché nessuno è giusto, quindi è uno che si 
autogiustifica, secondo non conosco il Signore nella mia giustizia, 
nella mia giustizia conosco la mia bravura (“Quanto sono bravino, gli 
altri invece non valgono niente”). Nelle mie buone qualità divento 
tremendo, quando io sbaglio  capisco che Dio non è tremendo. Ha 
solo una qualità, un vizio tremendo: Dio perdona e ama sempre ed è 
l’unico potere che ha Dio e che salva da ogni male. Lo stesso male 
diventa luogo di un amore maggiore perché ce n’è più bisogno.
La miseria è oggetto di misericordia infinita, e più abbonda il 
male, e non dobbiamo sforzarci di farlo abbondare, più abbonda 
l’amore necessario per riscattarlo e non a caso i santi si sentono 
normalmente peccatori, non perché ne hanno fatto più di noi, ma 
perché han più coscienza dell’amore. Senza  la  coscienza del male, 
del peccato non conosci Dio, perché Dio è amore gratuito: il giusto 
pensa “Me lo sono meritato”, ma l’amore meritato non è amore, 
non è Dio. È un po’ come il senso di colpa quel tipo di amore del 
giusto, è capovolto, è presunzione.
La nostra paralisi, i nostri blocchi diventano il luogo più 
profondo, vengono allontanati da noi e conosciamo Dio come 
libertà e come amore che ci libera.



Ora c’erano alcuni degli scribi lì seduti a ragionare nei loro cuori:
Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può rimettere peccati se 
non il solo Dio?
E subito, conosciuto Gesù nel suo spirito che così 
ragionavano in se stessi, dice loro:
Perché così ragionate nei vostri 
cuori? Che cosa è più facile: dire al paralitico: Sono rimessi a te i 
peccati o dire: Risvegliati, solleva il tuo lettino e cammina?


Sembra che questa immagine degli scribi faccia vedere l’altra 
paralisi, forse quella più pericolosa perché non è arrivata alla 
consapevolezza. Paralizzati nella Legge, paralizzati nella presunta 
giustizia. Questa paralisi sembra arrivare da persone che sono nel 
giusto, in realtà sono nell’errore e non si accorgono di esserlo, tanto 
che dice “Ragionano nei loro cuori...”, non c’è l’apertura, non c’è 
nessun tipo di dialogo da parte loro, c’è un giudizio. Uno dei 
campanelli di allarme che forse non siamo sulla via giusta è quando 
scatta il giudizio nei confronti di altri, perché ci si sente nel giusto. E 
si chiedono gli scribi “Perché costui parla così?”
Gli scribi non parlano. La parola serve per comunicare agli 
altri, invece parlano per sé, parlano dentro ma non tra gli altri, si 
parlano addosso, cioè la parola che non serve come comunicazione 
con l’altro, ma solo come critica dell’altro, la tieni per te per trovare 
poi l’occasione per tirarla fuori come freccia. Ogni ragionamento 
contorto che ti tieni dentro per te è sempre contro l’altro. Prova a 
pensarci, non osi comunicarlo, se non quando sei sicuro di poter 
azzerare l’altro, di poterlo uccidere.
Tra questi pensieri emerge anche l’accusa grande nei 
confronti di Gesù “bestemmia”. Allora la parola del perdono 
pronunciata da Gesù diventa per queste persone, nei loro pensieri, la 
bestemmia. Sarà la stessa accusa che porterà Gesù sulla croce 
“Costui bestemmia!”. Sembra che la parola di Gesù vada contro Dio, 
è impossibile perdonare: “Chi può rimettere i peccati se non il solo 
Dio?”.
Si tratta allora di rendersi coscienti di quello che sta 
avvenendo. Cosa c’è però in questo giudizio, il fatto di dire 
“Sappiamo noi chi è”, ed essere paralizzati dalla Legge, impedisce a 
queste persone di accorgersi di quello che sta avvenendo. È una 
forma di paralisi, di blocco che ci impedisce di vedere anche quello 
che era il senso della Legge. Nessuna meraviglia qui, solamente il 
giudizio.

Gesù comincia molto bene, mentre gli scribi dicono 
“Bestemmia!” La prima definizione di quello che riteniamo essere 
Dio è che è un bestemmiatore, data da persone competenti! Perché 
perdona! Dio perdonerà sì, ma l’uomo non può perdonare. Invece 
qui c’è qualcosa di nuovo.
È interessante che Gesù rivolga loro la parola, cioè che questo 
dialogo sia avviato da Gesù. Gesù cerca di non lasciarli soli con loro 
stessi e dice “Perché ragionate così nei vostri cuori?” Perché 
giudicate?
Gli scribi sono i veri paralitici, Gesù vuole convertire gli scribi, 
non il paralitico perché con i loro giudizi, con la loro legge, con le 
loro norme persuadono gli altri di peccato, creano i sensi di colpa, 
creano le paralisi e non si muovono più. 
Gli scribi sono coloro che devono essere guariti in profondità. 
Al paralitico bastava tirarlo su e camminava, ma con gli scribi 
riesce solo morendo in croce. Difatti questa parola “Costui 
bestemmia” verrà fuori alla fine, come motivo della condanna.
E anche la domanda che fa “Che cosa è più facile? Dire al 
paralitico: sono rimessi a te i peccati o dire: Risvegliati, solleva il tuo 
lettino e cammina?…” sono due cose che Gesù propone impossibili 
agli uomini. Guarire la paralisi, perdonare il peccato: Gesù li 
provoca, vuole che prendano posizione, vuole che si sblocchino 
anche gli scribi. Questa è la domanda di Gesù.


Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha potere di rimettere 
i peccati sulla terra,
dice al paralitico: Io ti dico: Risvegliati, solleva 
il tuo lettino e va alla tua casa!
E fu risvegliato e subito, sollevato il 
lettino, uscì davanti a tutti, sì che rimasero  meravigliati tutti e 
glorificavano Dio dicendo: Così non abbiamo mai visto!


Qui è la prima ed unica volta che Gesù dice il motivo del 
miracolo ed ogni miracolo ha solo questo senso:  perché sappiate

questa cosa, “che il Figlio dell’uomo ha potere di rimettere i peccati 
sulla terra”.
È la prima volta che troviamo “il Figlio dell’uomo” nel Vangelo 
ed è l’unico nome che Gesù dà di sé, si chiama Figlio dell’uomo, che 
vuol dire tante cose: vuol dire profeta ("parla o figlio dell’uomo") o il 
figlio dell’uomo di Daniele che è l’antichissimo dei giorni, è il simile a 
figlio di uomo, è in fondo l’immagine di Dio stesso.
Gesù prende questa figura ambigua anche per un altro 
motivo: Figlio dell’uomo è ogni uomo e ogni uomo ha il potere di 
Dio, perché ogni uomo è Figlio di Dio e Gesù è il primo che ne ha 
piena coscienza e vuol comunicare all’uomo questo potere di Dio. 
Siamo Figli e quindi fratelli.
Ed è questa la coscienza che ti dà la tua identità di uomo, che 
ti fa tornare a casa. Adamo era fuggito da casa. La casa è il Padre 
che tutti ama. Il motivo è proprio questo potere del Figlio dell’uomo 
e l’espressione Figlio dell’uomo è bella perché è il massimo comune 
divisore dell’uomo: anche l’ultimo degli uomini è compreso qui ed è 
il potere di Dio. 
È la grande bestemmia che Dio sia Figlio dell’uomo e che il 
Figlio dell’uomo sia Dio ed è l’essenza del cristianesimo e della 
dignità dell’uomo, ed è l’essenza della dignità di Dio, altrimenti 
l’altro Dio è meglio ucciderlo se ci fosse!
Il Dio che è giudice, che condanna, che Dio è: è un 
delinquente! Invece Dio è come l’ultimo degli uomini e si fa 
addirittura maledizione e peccato perché tutti noi possiamo essere 
liberi dal male, si mette con i malfattori in croce e va anche 
all’inferno dopo morto per incontrare tutti, perché dice che 
veramente la salvezza è per tutti.
Allora comprendiamo chi è Dio in questo Vangelo, e 
comprendiamo chi siamo noi. Allora finalmente guariamo dalle 
nostre paralisi, anche se siamo scribi.

La guarigione non è più al centro dell’attenzione, questo 
brano che inizia col paralitico sposta di fatto l’attenzione: la 
guarigione diventa il segnale di un’altra realtà, molto più profonda. 
Il fatto che Gesù dice "Perché sappiate”, diventa la chiave di lettura 
interpretativa degli altri miracoli.
Il potere che ha Gesù, è potere del Figlio dell’uomo, potere che 
dà a ciascuno di noi, non è quello di fare chissà quali miracoli, ma di 
farne uno ancora più grande di quelli che noi possiamo prevedere, 
che è quello del perdono. Questa è la rivelazione.
Sapete che se noi sapessimo perdonare gli uni gli altri i 
nostri errori, diventiamo tutti come Dio che sa perdonare? E l’altro 
ha l’esperienza di Dio attraverso il nostro perdono perché ha 
l’esperienza dell’amore gratuito. Cambia l’esistenza, cessano i sensi 
di colpa, le lotte, le liti, le incomprensioni. Questi sragionamenti 
attraverso gli scribi che servono solo per giudicare e condannare. 
Nasce il mondo divino sulla terra ed è il grande dono che il Vangelo 
vuole farci in fondo: la libertà dell’uomo, di ogni uomo che davvero 
è Figlio di Dio, che esce da quel legame di colpe, di paralisi. Pensate 
se noi guarissimo dalle nostre paralisi, quante ne abbiamo. Le 
guariamo nella misura in cui siamo accettati, perdonati e riusciamo 
anche noi, in nome di Dio, accettarle e perdonarle.
Questo significa “risvegliati”, il perdono come resurrezione. 
Risvegliati è la parola della resurrezione. Viene data la possibilità di 
una vita nuova alla persona, a ciascuno di noi viene data questa 
possibilità. Questo è il potere che ha il Figlio dell’uomo, cioè il potere 
di dare e ridare la vita. Questa è la grande potenza di Dio, quella di 
creare e di ricreare.
Questo è proprio un risveglio da un incubo, cioè la paralisi 
sono i nostri incubi, le nostre paure, i deliri nei quali stiamo dentro: 
“Risvegliati”, è una resurrezione, è un risveglio definitivo, il 
perdono. Finalmente si aprono gli occhi su di noi e sull’altro, siamo 
voluti bene e l’altro mi vuol bene, si ristabilisce la relazione che è la 
vita dell’uomo, senza la quale c’è la morte, la paralisi.

Gesù dice “solleva il lettino e va alla tua casa”.  È
interessante, si comincia con una casa e il paralitico viene, a sua 
volta, rimandato nella sua casa, come il lebbroso. 
Gesù invia, rende davvero la persona capace di camminare e 
non solo, viene rimandato nella sua casa quasi a dire che questo 
principio di vita  nuova che hai ricevuto lo puoi giocare, lo puoi 
mettere in atto dove vivi. Non faccio questo segno per farti vivere 
chissà dove, o perché tu faccia un santuario. No, il frutto di questo 
cambio, lo vedranno quelli di casa tua, non solo la guarigione dalla 
paralisi ma quello che è avvenuto dentro di te.  È come se Gesù ci 
aiutasse a vivere le nostre relazioni quotidiane con questo principio.
La nostra casa, tra l’altro, è il nostro interno o il limbo 
oppure il purgatorio, oppure il paradiso, o un po’ tutto insieme, ma 
è dove viviamo le relazioni più strette e quindi anche le più 
conflittuali. Il paralitico è rimandato a vivere il perdono nella sua 
casa. Finalmente ha una casa dove può vivere.
Il brano termina con questa meraviglia che è di tutti, con 
questa persona che è entrata dal tetto e può uscire dalla porta e la 
meraviglia “Così non abbiamo mai visto”. 
Che cosa non hanno mai visto? La guarigione di un paralitico 
o il perdono dei peccati? Quello che compie Gesù è qualcosa di 
essenziale, che forse altre cose ci possono segnalare, essere come 
indicazioni ma quello che capita, avviene nell’intimo della persona e 
sono i veri cambiamenti. 
Quello che cambia non è la situazione fuori, il cambiamento è 
radicale, è come se questa persona fosse rinata, quel “figliolo” che 
Gesù dice all’inizio è davvero una persona che è stata ricreata da 
Gesù.
Usa la parola genito, da generare, cioè sta per essere 
generato.

In ogni testo la persona che riceve il miracolo non ha mai il 
nome, perché ha il nome del lettore. Gesù fa o dice qualcosa per 
qualcuno e quel qualcuno, se vuoi, sei tu con i tuoi blocchi, le tue 
paralisi, i tuoi fallimenti, il tuo lettuccio, le tue stampelle, tutto quel 
che vuoi e avviene per te questo, è il dono che ti si propone.


Spunti di riflessione

 Qual è il potere di Dio? Perché lo dà all’uomo? Perché la 
casa dell’uomo è l’amore?
 Perché perdonare è miracolo maggiore che risuscitare un 
morto, che poi morirà ancora?


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