David Donnini. Le città di Cristo [il significato reale del termine "Nazareno"]


Il termine nazareno è inteso comunemente con l’accezione abitante della città di Nazareth e l’espressione Gesù il nazareno significa, in modo automatico, Gesù proveniente dalla città di Nazareth o, in breve, Gesù di Nazareth. Purtroppo, ben pochi sono consapevoli dell’esistenza di un serio problema relativo a questa attribuzione, e del fatto che l’aggettivo aveva in origine, e dovrebbe avere tuttora, un significato completamente diverso.
Nelle versioni greche dei Vangeli canonici leggiamo IhsouV o NazoraioV (Iesous o Nazoraios), che è la traslitterazione in greco dell’ebraico antico Yehoshua ha notzrì, o dell’aramaico Yeshu nazorai. Il fatto è che, in passato, nessuna di queste espressioni aveva alcun legame con la città di Nazareth, e non voleva indicare in alcun modo la cittadinanza o la provenienza da quella località.

Ne abbiamo una prima antica testimonianza in uno scritto apocrifo, il Vangelo di Filippo, un testo gnostico, la cui redazione primitiva risale con tutta probabilità al II sec. d.C., che è stato rinvenuto nel secolo scorso a Naj Hammadi, in Egitto: "Gli apostoli che sono stati prima di noi l'hanno chiamato così: Gesù Nazareno Cristo... ‘Nazara’ è la ‘Verità’. Perciò ‘Nazareno’ è ‘Quello della verità’..." (Vang. di Filippo, capoverso 47). Ci sono state discussioni sul fatto che la radice NZR possa significare verità, ma è comunque un dato di fatto che la frase attribuisca al termine un senso che non ha nulla a che fare con la città di Nazareth.

Nel XVIII sec. Elia Benamozegh (1823/1900), filosofo ebreo, membro del collegio rabbinico di Livorno, scriveva: "Neppure è improbabile che i primi cristiani siano stati detti Nazareni nel senso di Nazirei, piuttosto che in quello di originari della città di Nazareth, etimologia davvero poco credibile e che probabilmente ha sostituito la prima solo quando l'antica origine dall'essenato cominciava ad essere dimenticata" (Gli Esseni e la Cabbala, 1979). Questa interpretazione crea un collegamento fra l’aggettivo in questione e il termine nazireo, che nella Bibbia si riferisce ad una condizione in cui si assumono voti temporanei o permanenti: non bere bevande inebrianti, non tagliarsi i capelli, non avere contatto con impurità, fra cui il sangue, cibarsi di alimenti vegetariani. Celebri nazirei furono Sansone e il profeta Samuele che celebrò l’unzione regale di Davide.
Ovviamente i cristiani hanno ignorato nella maniera più assoluta questa osservazione, almeno fintantoché Alfred Loisy (1857/1940), sacerdote cattolico, professore di ebraico e di sacra scrittura dell'Istituto Cattolico di Parigi, ha osato scrivere: "La stessa tradizione ha fissato il domicilio della famiglia di Gesù a Nazareth allo scopo di spiegare così il soprannome di Nazoreo, originariamente unito al nome di Gesù e che rimase il nome dei cristiani nella letteratura rabbinica e nei paesi d'oriente. Nazoreo è certamente un nome di setta, senza rapporto con la città di Nazareth..." (La Naissance du Christianisme). Esprimendo così idee che gli sono costate la rimozione dall’incarico. Ma quanto egli dice è vero, nazorei o nazareni sono termini con cui i cristiani erano chiamati anticamente dagli ebrei, considerati nomi di setta e non indicazioni geografiche.
All’incirca nello stesso periodo quelle opinioni furono espresse anche dallo studioso laico Charles Guignebert (1867/1939), professore di Storia del Cristianesimo presso l'Università Sorbona di Parigi, che scrisse: "La piccola città che porta questo nome [Nazareth], dove ingenui pellegrini possono visitare l'officina di Giuseppe, fu identificata come la città di Cristo solamente nel medio evo..." (Manuel d'Histoire Ancienne du Christianisme).
Oggi questo concetto è diventato certezza, soprattutto per una folta schiera di studiosi laici, italiani e stranieri. Ne citiamo solo un paio: "É stato Matteo per primo a generare l'equivoco secondo cui l'espressione 'Gesù il Nazoreo' dovesse avere qualche relazione con Nazareth, citando la profezia "sarà chiamato Nazareno (Nazoraios)" che, a conclusione del suo racconto sulla natività, egli associa col passo "ritirandosi in Galilea e andando a vivere in una città chiamata Nazareth". Questa non può essere la derivazione del termine, poiché anche in greco le ortografie di Nazareth e nazoreo differiscono sostanzialmente" (R.H.Eisenman, Giacomo il fratello di Gesù, Casale Monferrato, 2007).
E ancora: "…nessun testo pagano o giudaico fa menzione di Nazareth: questo nome non compare né nella Bibbia, né nella vasta letteratura talmudica, né nelle opere dettagliate di Giuseppe Flavio; solo Eusebio ne parla citando Giulio Africano (tra il 170 e il 240), buon conoscitore dei luoghi. Le perplessità tuttavia restano e sono alimentate dalla difficoltà di collegare nella lingua aramaica Nazareno, Nazoreo, Nazoreno, tre forme considerate nei Vangeli intercambiabili, con Nazareth. Qualche studioso ha suggerito che l’originale significato aramaico dell’attributo Nazareno, di difficile comprensione per seguaci cristiani ellenizzanti, sia andato perduto e sostituito con una più semplice e immediata indicazione geografica. Considerazioni linguistiche e filologiche hanno spinto all’ipotesi che Nazareno potesse voler dire Santo di Dio, anche alla luce del fatto che i fedeli di Gesù, che continuarono nella terra d’origine a chiamarsi nazareni, in terra greca inizialmente furono chiamati i santi e solo successivamente prevalse il nome cristiani dato loro dai pagani di Antiochia. Nazarenos e Nazoraios sono dunque forse nomi legati a una radice linguistica ebraica natzìr (in aramaico natzirà) che li collegava ai nazirei "separati" o i "consacrati", un gruppo che aveva fatto a Dio uno speciale voto di consacrazione e che costituiva una setta a sé stante…" (R. Calimani, Gesù Ebreo, Milano, 1990).
Al di là delle molte altre citazioni che potremmo riportare, che cosa possiamo dire su questo argomento? Ci sono senz’altro da fare importanti considerazioni storiche, letterarie, archeologiche e geografiche. La prima riguarda il fatto che il nome della città di Nazareth, compare per la prima volta solamente nella letteratura neotestamentaria, dal momento che né il Vecchio Testamento, né gli storici ebrei contemporanei di Gesù (come Filone Alessandrino e Giuseppe Flavio), né il Talmud, né gli storici romani hanno mai nominato questa città. Non la conoscono affatto! Eppure Giuseppe Flavio è stato comandante generale delle truppe ebraiche in Galilea, durante la drammatica guerra degli anni 66/70, e nei suoi scritti ha fornito dettagliati resoconti di ogni centro abitato di quella regione. Possiamo dunque parlare di una totale assenza letteraria, al di fuori delle fonti religiose che già fanno parte del Nuovo Testamento cristiano.
Per quanto riguarda l’aspetto archeologico, Nazareth appare come una città bizantina, non ci sono resti di mura, case, strade, sinagoghe, vasellame, monete… che possano essere fatte risalire al periodo del secondo tempio. Mi ha confermato personalmente il dott. Danny Syon (Israel Antiquities Authority): "...ci sono pochissimi resti giudei che risalgono al periodo del secondo tempio a Nazareth, soltanto qualche cripta [cavità tombale] scavata nella roccia, sebbene noi non possiamo sapere quale fosse il nome del sito a quel tempo...". Eppure oggi possiamo ammirare abbondanti resti, risalenti al periodo in questione, di altre città galilee: Sefforis, Iotapata, Cafarnao, Korazim, Beth Zayda, Gamala… Che cosa è successo a Nazareth? Perché la città sarebbe fisicamente scomparsa?
Leggendo i Vangeli canonici ci rendiamo conto che il nome Nazareth compare talvolta nei titoli dei paragrafi, che non esistono nei testi originali, ma che sono stati aggiunti successivamente. Il primo dei Vangeli, quello secondo Marco, conosce il nome di questa città solo nelle primissime righe: "In quei giorni Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni" (Mc I, 9). Altrove preferisce definirla in questo modo: "Partito quindi di là, andò nella sua patria e i discepoli lo seguirono. Venuto il sabato, incominciò a insegnare nella sinagoga" (Mc VI, 1-2). Per quattro volte Marco parla di "Gesù nazareno", ma abbiamo già detto che quell’aggettivo non si riferisce alla città.

Per quanto riguarda il Vangelo di Luca dobbiamo osservare che può essere diviso in due parti ben distinte, la natività e il ministero della vita adulta di Gesù. Si tratta di due parti assai incoerenti l’una con l’altra ed è facile mostrare che la natività appartiene ad una tradizione senz’altro posteriore a quella cui fanno riferimento i ministeri della vita adulta di tutti e quattro i Vangeli. La città di Nazareth è nominata ampiamente da Luca solo nella natività, sebbene egli vi faccia abitare Giuseppe e Maria sin dall’epoca del loro fidanzamento, mentre Matteo li fa abitare a Betlemme e li fa trasferire a Nazareth dopo il ritorno dall’esilio in Egitto.

Nel ministero di Luca viene usata più volte l’espressione anonima "sua patria" e una volta sola è nominata Nazareth, in un episodio che solleva numerosi problemi: "Si recò a Nàzaret, dove era stato allevato; ed entrò, secondo il suo solito, di sabato nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; apertolo trovò il passo dove era scritto: ‘Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore.’ Poi arrotolò il volume, lo consegnò all'inserviente e sedette. Gli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi sopra di lui. Allora cominciò a dire: "Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi". Tutti gli rendevano testimonianza ed erano meravigliati […] All'udire queste cose, tutti nella sinagoga furono pieni di sdegno; si levarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale la loro città era situata, per gettarlo giù dal precipizio. Ma egli, passando in mezzo a loro, se ne andò" (Lc IV, 16-30).
Innanzitutto viene ancora confermato che a Nazareth ci sarebbe stata una sinagoga, della quale oggi non esiste traccia, poi si fa capire chiaramente che Nazareth avrebbe dovuto trovarsi in cima ad un monte, in prossimità di un precipizio. Ma la città odierna non ha queste caratteristiche, è adagiata nell’avvallamento tra i morbidi colli della Galilea centrale e non c’è alcun precipizio nei suoi dintorni. In realtà leggendo questo brano non può non venire in mente la città di Gamala, che era situata sulla gobba sommitale di un’erta collina, con un baratro a fianco, e una sinagoga i cui bellissimi resti possono essere ammirati ancora oggi:

In effetti nei Vangeli si parla insistentemente di un monte e di una città sul monte: "non può restare nascosta una città collocata sopra un monte" (Mt V, 14). Si noti, a questo proposito, una passo del Vangelo copto di Tomaso: "...Gesù disse: "Nessun profeta è benvenuto nel proprio circondario; i dottori non curano i loro conoscenti... una città costruita su un'alta collina e fortificata non può essere presa, né nascosta..."" (Vang. copto di Tomaso, 31-32). Qualcosa di simile lo possiamo trovare anche nei Vangeli canonici, per esempio in Matteo: "Ma Gesù disse loro: "Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua"" (Mt XIII, 57), con la differenza che questa frase è stata allontanata dal passo in cui si dice che la città sul monte non può restare nascosta, quasi a non lasciar intendere che si trattava proprio della città di Gesù. Non solo, ma è anche stato tolto il dettaglio contenuto nell’aggettivo "fortificata". Ora, Gamala era "una città costruita su un'alta collina e fortificata", come ho avuto modo di constatare quando, nel 1997, la ho visitata sulle alture del Golan, a breve distanza dal lago di Tiberiade. Ai tempi di Gesù Gamala aveva un’economia fondata sulla produzione di olio di oliva, che veniva esportato ovunque. Senz’altro gli orci di terracotta venivano portati, attraverso una valle solcata da un torrente, lungo un precorso di circa 8 km, sino a Betsaida, che sorgeva sulle rive nord orientali del lago. Betsaida e Gamala erano strettamente legate dal fatto che una fungeva da scalo commerciale dell’altra. Il tempo necessario per spostarsi dall’una all’altra era molto breve e il dislivello modesto.

Ora, dobbiamo notare che il villaggio di Betsaida, anche nella letteratura canonica, ha un’importanza per Gesù che troppo spesso è stata sottovalutata: "Ordinò poi ai discepoli di salire sulla barca e precederlo sull'altra riva, verso Betsaida, mentre egli avrebbe licenziato la folla. Appena li ebbe congedati, salì sul monte a pregare. Venuta la sera, la barca era in mezzo al mare ed egli solo a terra" (Mc VI, 45-46); "Giunsero a Betsaida, dove gli condussero un cieco pregandolo di toccarlo" (Mc VIII, 22); "Allora si mise a rimproverare le cittànelle quali aveva compiuto il maggior numero di miracoli, perché non si erano convertite: "Guai a te, Corazin! Guai a te, Betsida. Perché, se a Tiro e a Sidone fossero stati compiuti i miracoli che sono stati fatti in mezzo a voi, già da tempo avrebbero fatto penitenza, ravvolte nel cilicio e nella cenere" (Mt XI, 20-21); "Allora li prese con sé e si ritirò verso una città chiamata Betsaida. Ma le folle lo seppero e lo seguirono. Egli le accolse e prese a parlar loro del regno di Dio" (Lc IX, 10-11); "Guai a te, Corazin, guai a te, Betasida! Perché se in Tiro e Sidone fossero stati compiuti i miracoli compiuti tra voi, già da tempo si sarebbero convertiti vestendo il sacco e coprendosi di cenere. Perciò nel giudizio Tiro e Sidone saranno trattate meno duramente di voi. E tu, Cafàrnao, sarai innalzata fino al cielo?Fino agli inferi sarai precipitata!" (Lc X, 13-15); "Filippo era di Betsaida, la città di Andrea e di Pietro" (Gv I, 44); "Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa, c'erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsaida di Galilea, e gli chiesero: "Signore, vogliamo vedere Gesù"" (Gv XII, 20-21).


Le tre città, Betsaida, Corazim e Cafarnao, che evidentemente rappresentano luoghi in cui Gesù si trovava spesso, mostrano un’assidua frequentazione del versante nord e nord orientale del lago di Tiberiade. Tanto più che i suoi apostoli (e, tra di loro, alcuni suoi fratelli) erano di Betsaida. È qui che Gesù aveva compiuto "il maggior numero di miracoli". È proprio contro queste città che si è scagliato quando, infervorato dall’ira, lanciava oscure maledizioni. Non ha inveito contro Nazareth, o Cana, Magdala, luoghi comuni della Galilea centrale. Non possiamo non capire che questa zona, a cavallo fra la Galilea settentrionale e il Golan, era l’area dei suoi spostamenti comuni. Invece, l’accesso naturale di Nazareth al lago, pur tenendo conto della distanza non indifferente, è sul versante sud occidentale. Betsaida era il porto di Gamala, e questo ci dimostra che Gesù doveva aver avuto a che fare con la fatidica città fortificata sul monte, che i romani ricordavano come uno dei luoghi maledetti della loro attività politica e militare in Palestina.
Naturalmente ci occorre un valido motivo per comprendere l’esigenza degli evangelisti di nascondere il legame tra Gesù e Gamala, e per localizzare la sua residenza in un luogo fittizio come Nazareth. A questa domanda otteniamo facilmente due risposte: la prima è che l’utilizzo di termini geografici per dissimulare significati indesiderati è comune nella redazione evangelica. Lo vediamo con gli aggettivi cananeo e galileo, che sono generalmente intesi come indicazioni geografiche, quando invece erano espressioni usate (rispettivamente in ebraico e in latino) per indicare gli zeloti, i guerriglieri yahwisti che combattevano contro i romani per ristabilire un degno messia sul trono di Israele e un degno sacerdote alla guida del tempio. La seconda risposta riguarda il fatto che Gamala era ben nota ai romani come la patria degli zeloti, nella quale erano nati personaggi importanti della lotta messianica, come Ezechia (ucciso da Erode in persona), e suo figlio Giuda, detto Giuda il galileo, fondatore della setta zelotica. Durante la guerra degli anni 66/70 Gamala era stata assediata dalle legioni di Vespasiano e, dopo lunghi e difficili mesi, durante i quali lo stesso futuro imperatore aveva partecipato ai combattimenti, era stata espugnata. A questo fatto era seguito il drammatico episodio del suicidio di massa degli abitanti della città (un tipico comportamento zelotico), che si passarono a fil di spada o si gettarono dal precipizio, pur di non finire prigionieri nelle mani degli invasori. I redattori dei Vangeli erano intenzionati a nascondere ogni possibile legame tra Gesù e la setta zelotica, tenendolo rigorosamente estraneo ad ogni ideologia di natura messianica.
La ricerca sulle origini primitive del cristianesimo non può prescindere da considerazioni di questo genere e non può fare a meno, a rischio di continuare a scambiare la storia con la leggenda, di aprirsi all’idea che le due città importanti nella vita di Gesù, quella di nascita e quella di residenza, Betlemme e Nazareth, siano state introdotte artificialmente dagli evangelisti, nel loro proposito di dipingere un Gesù Cristo teologico, molto lontano dal personaggio che, sotto l’impero di Tiberio, passò realmente i suoi giorni nella martoriata terra di Palestina.


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