«Ebraismo e spiritualità cristiana». Le festività autunnali e il ciclo di Natale-Epifania

Se per il cristiano la domenica è - come abbiamo detto - «una pasqua ebdomadaria», nella quale cioè si vive in modo particolare il grande mistero cristiano, è anche vero che tale mistero, data la sua ricchezza e complessità, viene presentato ai fedeli nei suoi vari aspetti, in occasione delle feste che si susseguono nell'anno liturgico. Quello che serve a mettere in risalto il diverso carattere dei tempi che lo costituiscono sono in particolare le letture scritturistiche, che variano di giorno in giorno. Ma a questo proposito dobbiamo ricordare che anche la Sinagoga ha un suo anno liturgico, e che fra esso e quello cristiano esistono punti di contatto e assomiglianze notevoli.

Attualmente l'inizio dell'anno nella Chiesa ricorre nel tardo autunno, cioè la prima domenica di avvento, il periodo che prepara al natale, perché, come diceva il Cabrol « con la venuta di Cristo tutto comincia nella Chiesa ». Non fu però sempre così, e restano ancora chiare tracce di un altro inizio dell'anno, legato invece al ciclo pasquale; il più antico lezionario della Chiesa romana suppone un ciclo di letture che cominci la notte di pasqua e si concluda il sabato santo, e anche Ambrogio parla della pasqua come del principio dell'anno. Ancor oggi del resto l'Ufficio divino comincia a leggere il primo libro biblico, la Genesi, all'inizio del periodo preparatorio alla pasqua, e cioè a settuagesima.

Questa duplicità d'inizio dell'anno affonda le sue radici non solo nel mondo ebraico, ma addirittura in quello semitico in genere. Sembra che gli antichi popoli semiti come i fenici, i moabiti egli edomiti, iniziassero l'anno in autunno, mentre presso i babilonesi e assiri pare che il capo d'anno autunnale sia stato messo nell'ombra - forse al tempo di Hammurabi - da una festa simile in primavera. Parecchi fatti fanno pensare che in una certa misura anche nella Bibbia abbiano coesistito due inizi di anno: uno in autunno nel mese di tishrì (settembre-ottobre), e uno in primavera nel mese di nisan (marzo-aprile). Nei testi rabbinici post-biblici si parla addirittura di quattro inizi dell'anno, di cui due però sono di maggior importanza, e cioè quello primaverile nel mese di nisan, in base al quale si computano le feste religiose, e quello autunnale nel mese di tishrì, in base al quale si calcola il numero degli anni.

Nella tradizione giudaica, l'inizio dell'anno è collegato alla creazione del mondo, quasi ne fosse una ripetizione, e fra gli antichi Rabbini c'era chi diceva che il mondo era stato creato a primavera, nel mese di nisan (Rabbi Giosuè, I sec.), e chi sosteneva invece una creazione in autunno, nel mese di tishrì (Rabbi Eliezer, I sec.).

Comunque stessero le cose, sia l'anno liturgico ebraico che quello cristiano comprendono due grandi cicli festivi, uno autunnale e uno primaverile quello ebraico, e uno legato alla festa di natale e uno alla festa di pasqua quello cristiano.

Il ciclo autunnale ebraico è assai complesso e comprende tre festività: il capo d'anno, il giorno d'espiazione, la festa delle capanne. Pur formando un ciclo unico, ciascuna di queste feste presenta un carattere particolare. A capo d'anno si ritiene che il Signore giudichi gli uomini e ne fissi i destini per l'anno che comincia; è il giorno in cui - secondo alcuni - il mondo è stato concepito e nel quale si attende la venuta del Messia, mentre al suono della «grande buccina» tutti i dispersi d'Israele si raduneranno e verranno a prostrarsi sul Monte santo di Gerusalemme. Ma già il giorno d'espiazione, e quindi la consapevolezza della peccaminosità umana, proietta la sua ombra, e alla vigilia di capo d'anno, prima dell'alba, Israele comincia a invocare da Dio il perdono dei peccati. Capo d'anno è quindi essenzialmente la festa del rinnovamento: tra i due grandi momenti della storia del mondo, quello primordiale e quello che si attende alla fine dei tempi, si pone il rinnovamento morale attraverso il perdono dei peccati. Ma anche il natale segna un nuovo principio per il mondo, e già Girolamo lo accosta al capo d'anno ebraico, perché ambedue feste del rinnovamento.

Anche i periodi di preparazione al capo d'anno e al natale presentano delle assomiglianze. Presso gli ebrei, dopo il giorno 9 del mese di av (luglio-agosto) nel quale si ricorda la distruzione del Tempio, seguono i così detti sette «sabati di consolazione». Gli studiosi ritengono però che in origine si dovesse piuttosto parlare di un sabato di consolazione che seguiva il 9 di av - come un sabato di lutto lo precede - e di sei sabati di preparazione al capo d'anno; in quest' ultimo caso troveremmo una coincidenza con l'antica prassi della Chiesa, perché da documenti anteriori a Gregorio Magno risulta che il periodo di preparazione al natale, l'avvento, durava sei settimane (com'è tutt'ora nel rito ambrosiano).

Già nei « sabati di consolazione » possiamo riscontrare il duplice carattere, penitenziale e messianico nello stesso tempo, che informa il ciclo autunnale nel suo assieme. Per quattro settimane - numero che corrisponde alla durata odierna dell'avvento romano - sono prescritte speciali preghiere, dette «Perdoni», che si intrecciano con le letture tutte pervase di speranza messianica. Fra esse ricordiamo Isaia (40, 1-26): «Consolate, consolate il mio popolo», il testo in cui il profeta invita ad appianare e a raddrizzare le strade per facilitare l' avvento del Messia; e Isaia (60, 1-22): «Sorgi e risplendi Gerusalemme», passo in cui il profeta vede già brillare lo splendore del Signore sopra la Città santa.

Nella Chiesa, il solo nome di « avvento » aveva un particolare significato messianico; infatti in origine non significava un periodo di preparazione alla nascita di Gesù sulla terra, ma l'attesa della sua parusìa alla fine dei tempi. Tale carattere si riscontra in alcune letture, letture che corrispondono a quelle sinagogali a cui abbiamo accennato. Il sabato della III settimana di avvento si legge ad esempio Isaia, che dice:

« Su un alto monte sali, annunciatrice di Sion;
alza potentemente la tua voce, annunciatrice di Gerusalemme...
dì alle città di Giuda: 'Ecco il vostro Dio' » ecc. (Is. 40, 9ss.).
E il giorno dell'epifania si legge lo stesso capitolo e gli stessi versetti del profeta Isaia (60, 1-6), che gli ebrei hanno ascoltato nel penultimo «sabato di consolazione» prima di capo d'anno.
Il carattere penitenziale è diffuso in tutto il tempo di avvento; precisi elementi liturgici sinagogali di questo carattere non si ritrovano però esattamente in avvento, quanto piuttosto nelle «tempora» di settembre o addirittura spostati in quaresima; e ciò probabilmente in conseguenza del fatto che l'avvento non ebbe carattere penitenziale fin dal principio. Tuttavia il Salmo 85 (84) ad esempio, di contenuto penitenziale, viene recitato sette volte in avvento, tanto che può essere definito il salmo proprio di questo tempo, perché ne interpreta assai bene lo spirito:
« Sei stato benevolo, o Signore, con la Tua terra,
hai fatto tornare i prigionieri di Giacobbe.
Hai cancellato il peccato del Tuo popolo,
hai coperto ogni loro mancanza ».
Dalle antiche omelie ebraiche risulta che esso faceva parte della liturgia del sabatoshuba, cioè del sabato che segue immediatamente il capo d'anno e precede il giorno di espiazione, ed è quindi il sabato della penitenza (come è indicato dal nome:shubh, tornare, pentirsi, convertirsi). Altri elementi della liturgia dello stesso sabato - e precisamente le letture profetiche di Osea (14, 2-10) e Michea (7, 18-20) - si ritrovano invece nel venerdì e nel sabato delle «tempora» di settembre.

Notiamo infine un ultimo elemento comune: la Chiesa, il giorno dopo natale, celebra la morte del primo martire, Stefano; gli ebrei, il giorno dopo capo d'anno, digiunano a ricordo dell'uccisione di Gedaljah, che la Sinagoga venera come uno dei suoi principali martiri, perché, lasciato in Giudea da Nabucodonosor in qualità di governatore, fu vittima del re ammonita, Baalis.

Abbiamo quindi, nel natale e nel capo d'anno, tutto un complesso di elementi comuni, che difficilmente può essere fortuito, e ancora meno ci sembrerà tale quando vedremo che esistono punti di contatto anche fra le altre due festività dello stesso ciclo: epifania e festa delle capanne. I farisei avevano dato grandissima importanza a questa festa, introducendovi - come abbiamo accennato - degli elementi a carattere popolare, severamente criticati dai sadducei. Essa aveva carattere spettacolare e festoso: si facevano processioni, agitando rami di palma e di salice; si suonavano i flauti; si accendevano nel Cortile delle Donne nel Tempio giganteschi candelabri, e tanta era la luce che essi spandevano che - dice laMishnah (3) - non c'era cortile nella città che non ne venisse illuminato. Gli uomini più autorevoli danzavano intorno ai candelabri, mentre i leviti suonavano le cetre e le trombe. Un elemento importantissimo di questa festa era inoltre la libazione d'acqua, che si faceva sull'altare per propiziare la pioggia. Era quindi sostanzialmente una festa dell'acqua e della luce, elementi che ritroviamo nella tradizione liturgica dell'epifania in oriente.

Si usava colà chiamare l' epifania « giorno delle luci » e la pellegrina Egeria (IV sec.), che ci ha lasciato il più antico itinerario di pellegrinaggio in Palestina, ci racconta come si usasse, almeno a Gerusalemme, solennizzare la festa con grande abbondanza di luci; la pellegrina descrive ammirata lo splendore degli arredi e in genere della decorazione delle grandi basiliche costantiniane in quell'occasione, emette in particolare risalto i «luminari» che splendevano oltre misura nella rotonda della Basilica della Resurrezione, dove i pellegrini, provenienti da Betlemme si recavano prima che facesse giorno. Il fulgore delle luci di epifania ha affascinato anche i Padri e ne troviamo il riflesso nelle loro omelie. Gregorio di Nazianzo ad esempio, parlando in questa occasione sul battesimo, traccia una specie di «storia sacra» della luce: comincia dal primo bagliore di essa alla creazione, e menziona poi, lungo il cammino dei secoli, la luce che apparve a Mosè nel roveto, quella che guidava Israele nel deserto, e via via fino ad arrivare a quella fiaccola, che i battezzati recheranno in mano alla fine del rito, e che prefigura «quella processione celeste delle luci, con cui lassù noi andremo incontro allo Sposo».

Oltre l'elemento luce, ritroviamo, nell'epifania in oriente, anche l'elemento acqua. Si usava infatti in questa occasione benedire l'acqua, cerimonia che aveva un'origine palestinese: i cristiani in Palestina si recavano al Giordano, nel luogo tradizionale del battesimo di Gesù, e versati nell'acqua vasi pieni di balsamo, veniva conferito il battesimo ai catecumeni. L' epifania era quindi legata al battesimo; ciò si spiega con il fatto che in tale festività convergono le celebrazioni di varie manifestazioni di Gesù: l'occidente com-memora soprattutto la visita dei Magi, e quindi la manifestazione di Cristo come Signore e Re di tutte le nazioni; l'oriente invece celebrò soprattutto in questa occasione il battesimo di Gesù al Giordano, cioè l'avvenimento in cui si era manifestata la sua divinità, attraverso la testimonianza solenne del Padre. Dalla commemorazione del battesimo di Gesù era facile passare alla celebrazione di quello dei catecumeni, passaggio forse facilitato dall'abitudine dei « luminaria » che induceva ad un accostamento tra la festa detta « giorno delle luci » con il battesimo, che già Paolo chiamava «illuminazione».

È significativo che gli elementi acqua luce - che convergono ambedue nella simbologia battesimale - si trovino nella liturgia orientale dell'epifania, mentre in occidente viene addirittura riprovata l'usanza di conferire il battesimo in questa occasione. È evidente che in oriente l'influsso dei costumi giudaici era più sentito, e forse in quelle luci che Eteria ammirava stupita c'era ancora il ricordo di quella luminaria nel Tempio, che i Rabbini chiamano «la grande innovazione» dei farisei.

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