Renato De Zan. L’incontro che purifica. Gesù e il lebbroso


Le norme bibliche, che regolano i comportamenti del popolo di Dio in caso di lebbra, si trovano in Lv 12-13. Si tratta di testi postesilici (successivi al sec. VI a.C.) che raccolgono norme antiche e riti purificatori di tipo popolare. 

Tutto il sistema diagnostico è affidato ai sacerdoti e riguarda svariate malattie della pelle che, oggi, la scienza non identifica, se non in piccola parte, con la lebbra vera e propria. Lo statuto del lebbroso è durissimo. Deve portare le vesti strappate, avere il capo scoperto e coperta, invece, la barba. Deve gridare, inoltre: «Immondo, immondo». Per di più deve stare solo e abitare fuori dal luogo abitato (Lv 13,45-46).

Il lebbroso, dovendo identificarsi con il termine «immondo/impuro», indicava se stesso come persona dove abita la morte (i rabbini dell’epoca di Gesù chiamavano il lebbroso con l’appellativo il morto che respira). Se il lebbroso fosse guarito (poteva guarire da alcune malattie della pelle, ma dalla lebbra vera e propria, no), doveva sottoporsi a un rituale di purificazione complicatissimo. Un uccello era immolato in un vaso contenente acqua di torrente; all’acqua si aggiungeva legno di cedro, rosso di cocciniglia e issopo. Un secondo uccello era immerso e, poi, lasciato libero. Seguiva l’aspersione e la dichiarazione che il lebbroso era puro. Sette giorni dopo l’ex-lebbroso doveva radersi tutti i peli, lavarsi e lavare gli abiti. Il giorno successivo doveva offrire tre sacrifici: uno di riparazione, uno per il peccato e un olocausto. Con il sangue del primo sacrificio il sacerdote toccava l’orecchio, il pollice e l’alluce destri e ungeva con olio le stesse parti. L’olio avanzato era versato sul capo dell’ex-lebbroso.

La purificazione / guarigione

Se per l’uomo è difficile da «immondo/impuro» diventare «mondo/puro», per Dio non è affatto difficile. Se si ricorda il testo che tutti chiamano la vocazione di Isaia (Is 6,1-13), si scopre che le labbra impure del futuro profeta sono rese pure dall’intervento di un serafino che, toccandole con un carbone ardente, gli dichiara scomparsa la sua iniquità ed espiato il peccato.


I Vangeli dicono che Gesù ha guarito diversi lebbrosi. Uno di questi è Simone, il lebbroso (cfr. Mt 26,6-13 // Mc 14,3-9), presso la cui casa avviene l’unzione di Betania. Più interessante è la guarigione del lebbroso di Mt 8,1-4 // Mc 1,40-45 // Lc 5,12-14 e la guarigione di dieci lebbrosi in Lc 17,11-19.

I tre sinottici, presentando il racconto della guarigione del lebbroso, concordano nel sottolineare che un lebbroso (Mt/Mc) o un uomo pieno di lebbra (Lc) fece una preghiera a Gesù.


Il testo greco dice che il lebbroso chiede di essere mondato/purificato. Gesù tende la mano e lo tocca (Mt/Lc). Marco dice che Gesù lo fa «con compassione». L’azione di Gesù è accompagnata dalla parola del Maestro: «Lo voglio, sii purificato». Nella narrazione si rileva che immediatamente la lebbra scomparve da lui. Dopo avergli intimato il silenzio sull’accaduto, Gesù lo invia dai sacerdoti perché si comporti come la Legge di Mosè prescrive. Non sappiamo se il lebbroso guarito obbedì al comando di presentarsi ai sacerdoti. Probabilmente lo fece.
Siamo, però, sicuri che non obbedì al comando del silenzio. Marco dice con chiarezza che il guarito cominciò a divulgare il fatto e ciò provocò un accorrere delle folle a Gesù, al punto che «Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori» (Mc 1,45).

Se vuoi, puoi purificarmi!

Sono da rilevare, in questo racconto, almeno tre cose: la consapevolezza del lebbroso, il gesto di Gesù, l’immediatezza della guarigione e il comando di obbedire alla legge di Mosè.

• Il lebbroso sembra essere un praticante della Legge. Ha piena consapevolezza di essere immondo. Per questo la sua preghiera a Gesù si esprime nella domanda di essere mondato/ purificato. Egli, infatti, è una persona immonda/impura, senza vita. La sua domanda, però, implica un profondo rispetto per Gesù: «Se vuoi…».
Il lebbroso ha rispetto per Gesù, come Gesù lo ha avuto per il giovane ricco: «Se vuoi essere perfetto…» (Mt 19,21).
La sofferenza del lebbroso e il suo rispetto fanno scattare in Gesù la compassione, in greco splanxnisthèis (avente le viscere che fremono, avente compassione, avente tenerezza e misericordia). Si tratta della tenerezza e della misericordia di Dio: «Grazie alla tenerezza e misericordia [= in greco viscere di misericordia = splànkna eléus] del nostro Dio…» (cfr. Lc 1,78); «Chi vede Gesù, vede il Padre» (Gv 14,8-11).

• Il gesto di Gesù è contro la Legge. La persona sana non può toccare il lebbroso, altrimenti diventa temporaneamente impura anche lei. I Vangeli sinottici concordano sul fatto che Gesù lo toccò. Il gesto non ha prodotto l’impurità di Gesù, ma viceversa – come nella vocazione di Isaia – ciò che era impuro/immondo divenne puro/mondo. Il lebbroso fu guarito.

• I tre i sinottici considerano la guarigione subitanea, improvvisa. Adoperano un avverbio che non ammette sfumature: euthèos (Mt- Lc) o euthùs (Mc). Ancora oggi la Chiesa, tra i parametri che adopera per definire una guarigione straordinaria come miracolo, usa il criterio della immediatezza e della definitività.

• Gesù, però, non intende andare contro la Legge. Egli, infatti, nel discorso della montagna, disse di non essere venuto per abolire la Legge, ma per dare pieno compimento (cfr. Mt 5,17). Il comando che Gesù dà al lebbroso guarito rispetta i dettami di Lv 13. Non si tratta di una presa di posizione eccezionale. Gesù ripeterà la stessa cosa anche con i lebbrosi in Lc 17,11-19: «Andate a presentarvi ai sacerdoti».



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