Silvano Fausti. Una barca piccola per non essere schiacciati dalla folla


Le crisi sono un momento di crescita. Dopo la decisione di
uccidere Gesù nasce la Chiesa: è una piccola barca, dove il
Signore non è schiacciato, ma accolto.

. Gesù annuncia che
il tempo è finito perché questo è il momento decisivo del Regno di
Dio nella nostra vita e poi mostra cos’è il Regno di Dio: esattamente
il Signore che viene incontro alla nostra lebbra, che ci guarisce dalle
nostre paralisi, che ci fa camminare, che mangia con noi, che
celebra le nozze con noi, che ci dona di vivere del sabato, di vivere
di Lui e ci guarisce la mano per accogliere il dono.
E questo gli costerà la vita. Dopo di che sembra tutto finito
perché decidono di farlo morire - l’abbiamo visto la volta scorsa -
invece qui nasce qualcosa di grande: come dal chicco di frumento
che muore nasce la spiga, così dalla decisione di uccidere il Signore,
che si è fatto fratello di tutti perché Figlio del Padre, nasce la
comunità. Quindi, nasce la chiesa e il capitolo 3 sarà sulla chiesa,
mentre il capitolo 4 sarà sulla parola che fonda la chiesa, quello 5 sul
battesimo, poi quello sesto sull’eucarestia.

Questo brano non fa un racconto specifico come i brani
precedenti che abbiamo fatto finora; è un brano redazionale, cioè
cuce insieme i vari elementi e serve per passare dalla sezione che
abbiamo appena finito sulla polemica contro la legge alla sezione
successiva. Questi brani redazionali sono importanti perché come
nei giornali la colonna di redazione è quella che dà il tono a tutto il
resto, così l’evangelista, quando deve fare un brano redazionale non
deve raccontare un fatto specifico; racconta tanti fatti, allora
l’importante è il perché racconta tanti fatti e il perché li mette lì.
Cioè praticamente questi episodi sono un po’ come la chiave
interpretativa del redattore che ci fa capire cosa pensava lui, ed è
interessantissimo sapere qual era la fede dell’evangelista e lui lo
dice apposta per suggerirci come leggere il testo. Quindi questo
brano redazionale è proprio il punto dove l’evangelista gioca a carte
scoperte sulla sua teologia, sulla sua fede, si manifesta.
Di fatti questo brano vuol significare molte cose e il
significato del brano redazionale lo si capisce soprattutto da quel
che precede e da quel che segue. Precede questo brano la decisione
di uccidere Gesù, cioè la sua morte. Segue subito dopo la
costituzione dei dodici, della chiesa, allora questo brano segna il
passaggio tra Gesù e la chiesa, tra lui e noi. E come è stato lui, siamo
anche noi e allora si tirano fuori le caratteristiche fondamentali della
chiesa attraverso dei piccoli episodi che qui vengono narrati. E in
concreto i versetti 7 e 8 ci fanno vedere l’inizio della chiesa, tutta
questa gente che viene addosso a Gesù. Al versetto 9  cos’è la
chiesa: è una piccola barca per non essere schiacciato. Al versetto
10 chi c’è all’interno della chiesa? Tutta questa moltitudine che vuol
toccarlo per essere guarita, la chiesa è fatta di gente ferita, nei suoi
limiti, che vuol toccare, entrare in comunione.
E dall’altra parte ci sono i demoni che sanno tutto e
vorrebbero annunciare chi è Gesù, ma Gesù lo proibisce perché il
problema non è saper tutto, il problema è toccarlo.
Vediamo per ordine i vari elementi.


E Gesù con i suoi discepoli si ritirò verso il mare; e una grande 
moltitudine lo seguì dalla Galilea

Gesù con i suoi discepoli.
Questa frase l’abbiamo sentita infinite volte nel Vangelo, è
una della frasi più usuali: è Gesù con i suoi discepoli. Ecco, in realtà
questa frase molto usuale è densa di significati. Chi è Gesù? È quello
che sta “con” i suoi discepoli, questo “con” è il complemento di
compagnia: è uno che sta in compagnia. In compagnia di chi? Di
quelli che imparano da lui a vivere da figli e da fratelli. Questa è già
la chiesa. Che cos’è la chiesa? È la comunità di quelli che stanno con
Gesù, Gesù è Dio con noi. Essere in compagnia di Gesù è il senso
della vita. Lui è Dio, è il Signore, essere con lui vuol dire aver
raggiunto il senso della vita.
È la prima qualifica della chiesa e la chiesa nasce stranamente
da Gesù che si ritira, la parola “ritirarsi” in greco vuol dire
anacoreta, è il ritiro definitivo. D’ora in poi Gesù non apparirà più in
pubblico, cioè apparirà ma di traverso. Praticamente ormai tutta la
sua vita sarà un nascondersi; fino a metà Vangelo lui si ritira, fino a
Cesarea di Filippi che è all’estero, molto lontano; lì si manifesta ai
suoi discepoli poi comincia il cammino verso Gerusalemme dove si
manifesta sei giorni e al sesto lo uccidono. Quindi la sua vita è tutta
un ritirarsi.
Ora questa strategia di Gesù che si ritira coi suoi discepoli è
interessante: perché si ritira? Hanno deciso di ucciderlo; quindi è una
misura anche prudenziale, non è bene star lì se ti vogliono
ammazzare. Però sotto c’è qualcosa di interessante: cioè il fatto che
lui si ritiri non è il fallimento di tutto, come il fatto che lo vogliano
ammazzare non è il fallimento. Cioè quando uno fa il bene
sperimenta le difficoltà ma non è il fallimento; è nel fare il bene che
hai difficoltà, nel fare il male non ce ne sono poi tante. Così anche
Gesù, come abbiamo visto, ha voluto dare la libertà all’uomo.  È
perché vuole dare la libertà che lo vogliono uccidere. Non è che la

sua uccisione, il suo doversi ritirare per non essere ucciso sia un
fallimento, no. Di fatti la chiesa nasce da questo ritiro, in pratica
tutti accorrono a lui.
Il mare ricorda sempre il passaggio del Mare Rosso, il mare
per eccellenza, cioè il mare del passaggio verso la libertà. Ora, se
ricordate, anche Mosè cercò di liberare il suo popolo uccidendo
l’egiziano che si era azzuffato con un suo fratello ebreo; questo però
fu un fallimento, questa non era la strada e allora dovette passare
molto tempo e poi Mosè liberò il popolo sulla parola del Signore e
con  la fede in questa parola. Anche Gesù ci vuole ricordare che lui
minacciato di morte non si è messo ad organizzare degli attentati
per poterla spuntare, ma ecco che si allontana e viene a lui tutta
questa gente.
Ed è ancora interessante il fatto che il suo sembrare
sconfitto, il suo dover ritirarsi, in realtà è una vittoria. Mentre Lui si
ritira, tutti vanno da Lui. Quindi quello che sembra il suo fallimento
è il grande successo. E mentre era lì, aveva fatto qualcosa; adesso
che va via, tutti vanno da Lui.
Questo vuol dire che l’efficacia del bene è un’efficacia
strana. Il bene vince proprio quando sembra che perda, anche
quando sembra che sia sconfitto. Anzi il bene passa attraverso
forme di sconfitta, si scontra con il male e non usa le stesse armi,
ma questo anche all’interno di noi. Cioè il bene ci sembra spesso
perdente; in me la cattiveria vince subito, è il bene che è perdente.
Eppure questo bene pur essendo perdente sotto molti aspetti, in
realtà è qualcosa di grande, perché non perde mai. È efficacissimo,
anche quando perde, tutti accorrono da Lui, ha vinto.
È un grande mistero da capire nella vita.
È la stessa presenza del bene che sembra suscitare la reazione
malvagia che è questa lotta tra qualcosa che si vorrebbe ma non si
riesce a raggiungere e si ricade nel negativo, come vediamo con gli

indemoniati che quando Gesù appare, accorrono da Lui, si gettano
ai suoi piedi, gridando di non tormentarli.

e dalla Giudea e da Gerusalemme e dall’Idumea e da oltre il 
Giordano e dai dintorni di Tiro e Sidone; una moltitudine grande,
ascoltato quanto faceva, venne a lui.

Qui esce una grande moltitudine che viene dai quattro punti
cardinali, questa moltitudine che accorre a Lui che si ritira,
rappresenta la chiesa. La chiesa è fatta da quella moltitudine dai
quattro punti cardinali che sono tutti i popoli, stranieri e pagani, che
accorrono a Lui che si è ritirato. Gesù si è ormai ritirato dalla
mentalità di questo mondo, perché usa una mentalità diversa, la
mentalità della libertà, dell’amore. Tutti accorrono a Lui, la chiesa è
fatta da quelle persone che seguono il Gesù di quel tipo lì, uscendo.
È un nuovo esodo. Perché lo seguono? Perché hanno ascoltato
quanto faceva. Anche noi abbiamo ascoltato e siamo invitati ad
accorre a Lui.
Praticamente questi due versetti ci danno l’immagine della
chiesa, di Gesù che sta con i discepoli,  sta facendo un altro
cammino rispetto a quello del mondo. Si ritira dai criteri mondani e
tutti accorrono a Lui e lo seguono, ascoltano e questo modo di fare
interessa anche a loro.
Quindi, il suo fallimento, il suo doversi ritirare, in realtà è la
vittoria, tutti vanno a Lui e così va bene; questa è la prima
caratteristica.
È bello vedere come è feconda la sua sconfitta. Cioè mentre si
deve ritirare, guarda cosa capita! Sperimenterete tante volte nella
vita quanto siano feconde anche le sconfitte, se sono giuste, se no
saranno feconde in altro modo, se le prenderemo bene e le
renderemo feconde; ma non c’è mai una parola definitiva di male
che vinca. Addirittura come vedete, la chiesa nasce dal male, cioè
dalla sconfitta di Cristo. Così probabilmente le cose più profonde in
noi escono da quelle che noi chiamiamo le nostre sconfitte, dai
limiti, dalle difficoltà, non c’è nulla da scartare in noi.

E disse ai suoi discepoli di mantenergli una barchetta a causa 
della folla, perché non lo schiacciassero.
Infatti aveva curato 
molti, così che gli cadevano addosso per toccarlo quanti avevano 
piaghe.
E gli spiriti immondi, quando lo vedevano, gli cadevano 
davanti e gridavano dicendo: Tu sei il Figlio di Dio.
E li minacciava 
molto, perché non lo facessero manifesto.

Ecco, la barca diventerà d’ora in poi simbolo della chiesa. La
barca è un piccolo pezzo di legno che è sospeso tra abisso e cielo,
che galleggia sopra l’abisso, cioè non è travolto dall’abisso e dalla
morte e che serve  per compiere la traversata. Ecco la chiesa in
fondo è questa comunità in esodo, in cammino, sospesa tra cielo e
abisso, non siamo ancora nè su, nè giù, col pericolo sempre
d’andare giù, però si sta su. È di legno come la Croce di Cristo. Sulla
barca si sta insieme, nessuno va fuori a passeggio, se non ogni tanto
Uno risorto. È il segno della comunità. È il segno della comunità ed
ha una caratteristica: è piccola; ha le caratteristiche della piccolezza.
Anche se nella chiesa siamo un miliardo o due o tre, la chiesa è
sempre piccola; è sempre la persona che ti è vicina ed è tuo fratello,
non è mai qualcosa di grande anche se è universale. L’universale
vive nel concreto, nel piccolo, nel familiare, nel domestico, nella
relazione.
Su questa barca i suoi discepoli vivranno due momenti in cui
dimostreranno la loro incapacità di capire la presenza del Signore.
Addirittura, in questa barca, che pur è così piccola, sembrerà che Lui
non ci sia. Vuol dire che si fa fatica a concepire la piccolezza di
questa comunità, di questa chiesa, si vorrebbe che ci fosse una
visibilità, un riconoscimento, una capacità di incidere con mezzi
umani. Allora ogni volta che si fa così di fronte alle difficoltà e alle
tempeste, agli spiriti contrari, siccome non si vorrebbe accettare la
piccolezza e nemmeno il nascondimento, Gesù sparisce, non c’è più
perché non è questo il suo stile.

Quindi, questa barca non è un transatlantico, è una barchetta
che avrà sempre queste caratteristiche di piccolezza, di fragilità, di
debolezza, di non potere, come appunto Cristo da cui nasce. E
quando per caso questa chiesa ha i caratteri di grandezza e di
transatlantico andrà un po’ a fondo, fino a quando diventa piccola,
allora le scialuppe stanno su. Perché ciò che tien su è la piccolezza,
perché Dio è piccolo, perché Dio è amore e l’amore è piccolo, non è
il potere che schiaccia. E la chiesa ha le stesse caratteristiche; i
periodi migliori della chiesa sono sempre quando è piccola, non
quando è forte.
Ricordo a proposito un episodio: in un convegno sulla chiesa in
Asia, un vescovo del Laos raccontava che era stato cacciato e poi
raccontava cosa avevano fatto le comunità dopo che non avevano
avuto più né vescovi, né preti, ma erano solo dei fedeli che si
trovavano a pregare. Non erano affatto diminuiti, anzi erano ancora
di più di quando c’era tutto l’apparato. Un altro vescovo ha
raccontato del Vietnam e così via. A un certo punto un monsignore
italiano disse che anche in Italia ci sarebbe voluta un po’ di
persecuzione, visto il diminuire dei fedeli.
E in questa chiesa c’è una caratteristica: Gesù la vuole perché
le folle non lo schiacciano; esce un tema che poi tornerà di nuovo.
Gesù può essere toccato o schiacciato, come ogni persona. Noi
quando siamo costretti al contatto con gli altri, ci si tocca, siamo
vicini e i modi di esseri vicini sono due: o ci si schiaccia, ci si prende
e ci si possiede, oppure ci tocchiamo, allora è comunione, scambio
di energie, di amore, di dono reciproco. Sono due modi opposti; la
chiesa è il luogo dove Lui è toccato e non schiacciato, verrà fuori al
capitolo 5 dove una donna dice “se lo tocco” e Lui domanda “chi mi
ha toccato?” E gli apostoli “ma ti toccano tutti ...”. “No, tutti mi
schiacciano, una sola mi ha toccato”. È diverso.
Tante volte questo impulso di toccare c’è, perché alla persona
che si vede e si ritiene piena di potenza, piena di forza e di energia, si

vorrebbe prendere un poco di questa forza. Invece il contatto che
sana e che è comunione, avviene a partire dalla debolezza, non in un
desiderio di appropriarsi di una potenza, ma manifestando il proprio
limite. Gesù tocca i malati, la donna quando lo tocca con fede per
essere guarita, avviene una profonda comunione.
Questo toccare, lo vedremo meglio al capitolo 5, è il senso
della fede. La fede è toccare Lui, o  meglio essere toccati. Noi
comprendiamo bene cosa voglia dire toccare ed essere toccati.
Certe cose non mi toccano, certe cose non le tocchiamo. Una cosa è
quando ci tocca, la sentiamo ed è vera per noi, allora l’abbiamo
dentro. Uno può dirmi cose infinite che non mi toccano, uno può
esistere e schiacciarmi, ma non mi tocca, non mi tange. Invece c’è
qualcosa che mi tocca. È questo toccare interiore che è la forma
fondamentale di conoscenza e di amore. Il contrario è schiacciare e
non ci sono molte alternative. Le persone o le schiacciamo o le
tocchiamo e viceversa, ci schiacciano o ci toccano. Su questo tema
usciremo dopo ancora, le prossime volte, comunque la chiesa è una
piccola barca, dove non si è schiacciati, ma toccati.
E adesso si dice che composizione di persone c’è.

Infatti aveva curato molti, così che gli cadevano addosso per 
toccarlo quanti avevano piaghe.

Gesù “aveva curato”, la chiesa è fatta da coloro che lui ha già
curato. È importante la parola “curare”, è la parola “terapeo” vuol
dire  rispettare, venerare; le persone che lui ha rispettato e
venerato. La vera terapia è il rispetto della persona. Uno che si
sente rispettato, venerato, amato è curato dal suo male radicale che
è il disprezzo di sé e, quindi, degli altri, ed è qui il principio di ogni
guarigione. Quella stima che abilita l’altro ad essere se stesso, figlio
di Dio. Facciamo sempre il male per disistima nostra e altrui.
Quello che sperimentavano tutti in Gesù è la stima. Ci ha
stimato tanto da dare la vita per noi quando l’abbiamo messo in
Croce! La cosa difficile da avere è la stima di sé e dell’altro; ed è la
cosa più divina. Dio stima molto l’uomo. Nel primo libro della Bibbia,
la Genesi, al capitolo 1 nella creazione si dice sempre di ogni cosa
che Dio “vide che era buona”. Quand’ero piccolo mi chiedevo
sempre cosa Dio avrebbe detto quando fosse arrivato all’uomo. Per
l’uomo si dice “vide che era molto buono”. C’è questa stima,
nonostante sapesse già cosa avrebbe fatto: l’avrebbe messo in
Croce, eppure “molto buono”.
Deve vedere molto in profondità Dio!
Mentre noi facciamo consistere la nostra stima in tante cose
stupide, per questo ci disprezziamo noi stessi e gli altri, non
rispettando la nostra verità che è sublime: siamo figli di Dio.
Il mistero dell’uomo è grandissimo, è divino. Uno che capisce
questo di sé e degli altri - chi lo capisce di sé lo capisce anche degli
altri - davvero ha stima. Sant’Ignazio dice “se giuri - non bisogna mai
giurare - ma se giuri, non giurare mai per l’uomo perché rischi di
sbagliare perché non hai la stima sufficiente”.
Quindi, molti ne aveva curati e gli altri “gli cadono addosso”. È
interessante, perché noi lo tocchiamo, entriamo in comunione con
lui - “quanti avevano piaghe”- cioè proprio nel nostro limite, nelle
nostre ferite entriamo in comunione con lui, non nella nostra
bravura.
Prima si parlava della stima. Mi viene in mente che
giustamente molte persone vanno dallo psicologo e da  tanti
terapeuti perché ormai si è capito che il punto è quello; ma poi
bisogna scoprire come possa fare uno a stimarsi, perché se proprio
non trova niente di buono in lui, siamo al punto di partenza. Qui
vediamo che addirittura questa ritrovata stima di sé, questa
ritrovata dignità parte proprio dalla debolezza, dal limite. Non è
andare a cercare chissà quale piccolo bagliore se non il fatto che ci
viene offerta la vita stessa di Dio. E questi che lo riconoscono, vanno
per restare in comunione con lui.

È interessante che lo toccavano quanti avevano piaghe. Le
nostre piaghe, le nostre ferite sono un luogo che in genere
nascondiamo, dal quale ci difendiamo, in cui ci induriamo, litighiamo
con gli altri. Normalmente se di una persona qualcosa mi dà fastidio
è perché ce l’ho anch’io e, quindi, mi dà molto fastidio! Se questo
male invece di essere il luogo della divisione, diventa il luogo della
comunione è diverso e per sé è così, perché è nel mio limite che ho
bisogno dell’altro, è lì che entro in contatto con l’altro, è lì dove
l’altro mi può accettare e viceversa.
Quindi i nostri limiti, i nostri peccati, i nostri difetti, non sono
quelle cose che purtroppo ci sono e allora speriamo che Dio chiuda
un occhio e andiamo avanti. No! Ci sono, grazie a Dio. Come
appunto nel moto l’attrito è importante, se non ci fosse attrito non
ci si muoverebbe, si girerebbe a vuoto, così questi attriti, queste
cose che non vanno, sono utilissimi, ci fanno andare avanti e ci
allargano sulla realtà,  creano contatto con gli altri, ci permettono di
vivere la misericordia, l’accettazione, ci permettono di
ridimensionarci, di capire che il nostro vero valore non è l’avere più
o meno una cosa o un’altra. Ma il valore è più profondo: è che
siamo figli e fratelli. Non sono “più bravo” perché faccio “più cose”.
Il mio essere bravo è che sono figlio di Dio e fratello degli altri. I miei
limiti me lo evidenziano di più perché l’altro mi accetta e viceversa.
Solo Dio è senza limite e si è fatto il più piccolo di tutti per essere
accettato e noi nei nostri limiti dobbiamo imparare ad accettarci: il
divino è l’accettazione, per cui il limite mi permette l’accettazione e
ci fa stare insieme.
Per questo allora lo toccano.

E gli spiriti immondi, quando lo vedevano, gli cadevano addosso

Ci sono i malati che gli cadono addosso e lo toccano, mentre
gli spiriti immondi gli cadono davanti, non lo toccano, ma lo
conoscono e dicono “Tu sei il Figlio di Dio”. Mi sembra che molto
spesso siamo così anche noi, non lo tocchiamo, ma lo conosciamo,

sappiamo chi è ma non lo tocchiamo. Invece il problema non è
sapere chi è, ma toccare.
C’è una conoscenza che non è comunione che non fa bene, fa
solo male: è la conoscenza di distacco: “so chi sei e mi difendo da
te”. Quindi c’è tante volte un modo demoniaco di conoscere Dio che
è quello di sapere chi è per difenderci; il problema non è sapere chi
è lui, ma sapere chi siamo noi e, invece di difenderci, toccarlo. Tra
l’altro gli unici a sapere chi sia Gesù nel Vangelo sono i demoni  -
spero che chi spiega la scrittura non rientri tra questi! Me c’è il
pericolo di non toccarlo.
Ed è interessante la risposta che dà Gesù perché ci mette da
un punto di vista nuovo.
Appunto a questo grido Gesù risponde:

E li minacciava molto, perché non lo facessero manifesto.

Gesù non vuole che i demoni gli facciamo propaganda. Lo
conoscono, conoscono che lui è Dio, che lui è grande e proclamano
la sua grandezza. Gesù non vuole che sia riconosciuta la sua
grandezza, la sua divinità. Strano! Ma non è venuto per questo? Sì,
lui è venuto per farsi riconoscere, ma per farsi riconoscere come Dio
e Dio lo si conosce solo dalla Croce, quando lui stesso sarà ferito e
debole come tutti noi. Allora lì ci si rivela come Dio: uno vicino a noi,
allora riconosciamo chi è lui e ogni conoscenza che voglia evitare la
debolezza di Dio, è diabolica perché rifiuta Dio. Perché Dio è debole
perché è amore a l’amore si fa debole.
Quindi non solo noi tocchiamo lui nella nostra debolezza, ma
anche lui ci tocca nella sua debolezza con la Croce. Ed è sulla Croce
che si può dire che è Dio; per la prima volta sarà riconosciuto come
Dio, da un uomo,  sulla Croce; i demoni sempre prima, lo fanno
apposta prima per rivelarne la gloria in modo che non finisca male,
perché prenda il potere come l’avevano tentato, così che diventi un
Dio diabolico; invece lui è Dio vicino alle nostre ferite, vicino a noi in

tutti i modi e la Croce è la vicinanza a tutti i maledetti della terra,
peggio di così non c’è nessuno, ecco che lì si rivela Dio.
Come vedete allora, questo brano molto semplice e
redazionale è ricchissimo di temi teologici: il primo è il tema stesso
della chiesa. La comunità cristiana, la comunità dei fratelli nasce
dalla debolezza di Cristo: hanno deciso di ucciderlo. Però proprio
questo ritirarsi diventa un esodo per tutti, tutti vanno da lui. Questa
è la prima caratteristica della chiesa, della comunità.
La seconda caratteristica che è una piccola barca che ha
sempre le caratteristiche della debolezza, dove, però, è toccato e
non schiacciato. Di questa comunità che lo tocca fanno parte tutti
coloro che hanno avuto la cura, il rispetto di Dio e tutti quanti
desiderano averlo. E ci sono dall’altra parte, invece, i demoni che lo
conoscono, ma non vogliono accettare il limite e la debolezza, né
propria, né sua.










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