Solennità dell'Epifania. Testi patristici



Leonardo, L'adorazione dei Magi, dettaglio


S. Cromazio di Aquileia
Narra, quindi, l’evangelista: Essendo nato Gesù a Betlemme di Giuda [e ciò che segue fino a] e siamo venuti ad adorarlo. Che ciò sarebbe accaduto, lo aveva predetto anche Isaia, dicendo: Verranno da Saba offrendo al re oro, incenso e pietre preziose e annunceranno la salvezza del Signore (Is 60, 6). Si trattava, certamente, di lui, che i Magi, dopo avere visto l’apparizione della stella, annunziarono quale re dei Giudei, ormai nato, Cristo Signore. Pertanto, nella nascita del Signore concorrono tutti fatti nuovi e tali da suscitare negli uomini uno stupore che supera ogni misura: un angelo nel tempio parla a Zaccaria; promette che Elisabetta avrà un figlio; non credendo all’angelo, il sacerdote diventa muto; una donna sterile concepisce; una vergine partorisce; Giovanni, per azione dello Spirito esulta nel grembo materno; da un angelo è annunciata la nascita di Cristo Signore ed è proclamata ai pastori perché sia la salvezza del mondo; gioiscono gli angeli, esultano i pastori. Questa mirabile nascita suscita in cielo e in terra una grande gioia. Si mostra ai Magi, dal cielo, l’inattesa apparizione di una stella, per mezzo della quale si conosce che è nato il Signore del cielo e della terra, il re dei Giudei, quello appunto di cui è stato scritto: Sorgerà una stella da Giacobbe e si leverà un uomo da Israele (Nm 24, 17), affinché con l’indicazione di una stella e di un uomo si conoscesse nel Figlio di Dio l’unione della natura divina e della natura umana. Perciò, anche nell’Apocalisse, così il Signore stesso afferma di sé: Io sono la radice di Iesse e la stirpe di Davide e la fulgida stella del mattino (Ap 22, 16), perché mediante l’avvento della sua nascita, dispersa la notte dell’ignoranza, brillò quale fulgida stella per la salvezza del mondo. Lo splendore di questa fiamma, penetrando anche nel cuore dei Magi, lo riempì di luce spirituale, così che dall’apparizione della nuova stella nascente conobbero il Re dei Giudei, creatore del cielo. Infatti, i Magi, maestri di una falsa religione, non avrebbero potuto conoscere Cristo nostro Signore se non fossero stati illuminati dalla grazia della degnazione divina.
Ancora una volta, dunque, la misericordia sovrabbondò con la venuta di Cristo, cosicché la conoscenza della sua verità si estese a tutte le genti. Questa prima illuminò i Magi, perché fosse nota in modo manifesto la bontà di Dio e nessuno disperasse di ottenere, credendo, la salvezza, poiché vedeva che già era stata concessa ai Magi. Perciò i Magi furono i primi tra i pagani ad essere chiamati alla salvezza, affinché per loro mezzo si spalancasse a tutte le genti la porta della salvezza.
Ma qualcuno potrebbe chiedersi con meraviglia come i Magi poterono conoscere la nascita del Salvatore dall’apparizione della stella. Anzitutto, diciamo che questo fu un dono della benignità divina. In secondo luogo, leggiamo nei libri di Mosè che vi fu, per così dire, un profeta pagano, Balaam, che aveva preannunciato con discorsi precisi la venuta di Cristo e la sua incarnazione da una vergine. Dice, infatti, tra l’altro, come abbiamo ricordato più sopra, nel testo della sua profezia: Sorgerà una stella da Giacobbe e si leverà un uomo da Israele. Questi Magi, dunque, che videro in Oriente una nuova stella, si dice che discendessero dalla stirpe di quel Balaam profeta pagano, che aveva detto: Sorgerà una stella da Giacobbe e si leverà un uomo da Israele. E per questo, visto l’insolito segno della stella, credettero, perché avevano riconosciuto che si era adempiuta la profezia del loro capostipite, mostrando che essi erano non solo suoi discendenti nella stirpe, ma anche suoi eredi nella fede. Il profeta Balaam vide la loro stella in ispirito, essi la videro con i loro occhi e credettero. Egli preannunciò profeticamente che Cristo sarebbe venuto, essi con gli occhi illuminati dalla fede riconobbero che era venuto.
Perciò, si recarono subito da Erode, dicendo: Dov’è il re dei Giudei che è nato [e ciò che segue fino a] ad adorarlo. Cercarono il re dei Giudei, il nato Cristo Signore presso quelli alla cui stirpe sapevano si riferiva questa profezia di Baalam. Ma tale fede dei Magi è condanna dei Giudei. Quelli credettero a un unico loro profeta, questi non vollero credere a tanti profeti. Quelli compresero che in seguito alla venuta di Cristo era venuto meno il compito dell’arte magica, questi non vollero comprendere i misteri della legge divina. Quelli confessano uno straniero, questi non riconoscono uno del loro popolo. Venne tra la sua gente, dice il Vangelo, ma i suoi non l’hanno accolto (Gv 1, 11). Eppure questa stella era vista da tutti, ma non da tutti era compresa. Come il Signore e Salvatore nostro è nato bensì per tutti, lui solo è nato per tutti, ma non da tutti fu accolto, non da tutti fu compreso. Fu compreso dai gentili, non fu compreso dai Giudei. Fu riconosciuto dalla Chiesa, non fu riconosciuto dalla Sinagoga.
Essendo, dunque, i Magi, dopo la gloriosa fatica del lungo viaggio, giunti a Gerusalemme per cercare il re dei Giudei, subito il re Erode e l’intera Gerusalemme furono sconvolti dalla devota fede dei Magi; sono convocati i principi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si chiede loro dove dovesse nascere il Cristo. Risposero: A Betlemme di Giuda, secondo l’annuncio del profeta. Così, infatti, sta scritto: E tu, Betlemme di Giuda, non sei il più piccolo tra i capoluoghi di Giuda: da te infatti uscirà un capo che governerà il mio popolo, Israele. Ma Erode e gli abitanti di Gerusalemme, pur non ignorando Cristo nostro Signore, ma sapendo di lui, lo disprezzarono. Infatti, e s’informano della testimonianza del profeta e apprendono che Cristo doveva nascere a Betlemme. Ma questa località di Betlemme, dove nacque il Signore, aveva ricevuto un nome dal significato profetico. Betlemme, infatti, dall’ebraico si traduce in latino come «casa del pane», perché lì doveva nascere il Figlio di Dio che è il pane della vita, secondo quello che egli stesso dice nel Vangelo: Io sono il pane vivo disceso dal cielo (Gv 6, 4l).
(Dal Commento a Matteo 4, 1-3)

S. Giovanni Crisostomo
Quale necessità – voi mi chiederete – essi [i Magi] avevano della guida di questa stella, dato che ormai conoscevano il luogo della nascita di Gesù Cristo? Ma non si trattava soltanto di sapere il nome della città, era necessario riconoscere anche il bambino. Difatti non c’era niente che potesse indicarlo. La casa ove era nato non era affatto appariscente e sua madre non era illustre, né aveva qualche particolare distinzione. Era perciò necessario che la stella si arrestasse e li facesse fermare proprio nel luogo esatto. Perciò essi tornano a vederla uscendo da Gerusalemme; perciò essa non si arresta più finché non è giunta sulla stalla, fino a quando non ha aggiunto miracolo a miracolo: il miracolo dell’adorazione dei Magi al miracolo della stella che guida i Magi. ...
Quando la stella giunse sopra il bambino, si fermò: e ciò poteva farlo soltanto una potenza che gli astri non hanno: prima, cioè, nascondersi e apparire di nuovo e infine arrestarsi. A questa vista è certo che i Magi sentirono crescere la loro fede. Essi si rallegrarono di avere finalmente trovato colui che avevano tanto cercato, di essere stati, cioè, messaggeri di verità e di non aver intrapreso inutilmente un così lungo viaggio. Questa gioia nasceva dall’amore per Gesù Cristo, di cui ardevano. La stella si arrestò sulla testa del bambino, per fare intendere che egli era il Figlio di Dio. E, fermandosi, essa condusse ad adorarlo non dei semplici stranieri, ma quelli che erano i più sapienti tra loro. ... Che Dio si sia incarnato, lo dimostrano le fasce e la mangiatoia. D’altra parte i Magi manifestarono di non adorarlo come semplice uomo, offrendogli, mentre è ancora neonato, doni che è giusto offrire soltanto a Dio.
Arrossiscano i Giudei, vedendo che questi barbari astrologhi li precedono, mentre essi non vogliono seguirli. Ma, in realtà, tutto quanto accadeva allora era soltanto una prefigurazione dell’avvenire: infatti, stava a indicare, fin dall’inizio, che i gentili avrebbero sopravanzato i Giudei nella fede. Perché allora – mi chiederete – Gesù Cristo non ha detto subito ai suoi apostoli: Andate, dunque, ammaestrate tutte le genti(Mt 28, 19) ma dà questo comando solo alla fine della sua vita? È perché ciò che accadde ai Magi era, come ho appena detto, una figura e una predizione dell’avvenire. Era secondo un piano preordinato che i Giudei fossero i primi a ricevere e ad abbracciare la fede in Gesù Cristo; ma, avendo essi volontariamente respinto la grazia che era stata loro offerta, Dio mutò l’ordine delle cose. Senza dubbio non era logico che i Magi adorassero Gesù Cristo prima dei Giudei, che uomini che venivano tanto da lontano precedessero coloro che abitavano nei pressi della città dove era nato il bambino, e che degli stranieri, ignari dei misteri messianici, prevenissero coloro che erano stati nutriti da tante e tali profezie. Ma siccome i Giudei non ebbero riconosciuto i beni sovrabbondanti che avevano in casa, i Magi, che venivano dalla Persia, precedettero gli stessi abitanti di Gerusalemme nel ricevere quei beni. E Paolo rimprovera proprio questo ai Giudei, quando dice: A voi per primi era necessario che fosse annunziato il regno di Dio; ma poiché ve ne giudicate da voi stessi indegni, ecco che noi ci volgiamo ai gentili (At 13, 46). Anche se fino a quel momento erano stati increduli, essi dovevano, quanto meno, dopo aver ascoltato i Magi, accorrere presso Gesù Cristo. Ma non vollero: perciò mentre essi restano assopiti nel loro torpore, i Magi li precedono in grande fretta.
Seguiamo dunque i Magi. Allontanandoci dalle nostre barbare abitudini, faremo anche noi questo lungo viaggio per vedere Cristo. I Magi, se non si fossero alquanto allontanati dalla loro terra non avrebbero potuto vederlo. Distacchiamoci, quindi, da tutte le preoccupazioni terrene. Finché i Magi se ne stavano in Persia non vedevano che una stella, ma quando ebbero lasciato la loro patria, videro il Sole stesso della giustizia. E si può dire che non avrebbero certo continuato a vedere per molto tempo quella stella, se non si fossero affrettati a uscire dal loro paese. Affrettiamoci pure noi e, anche se tutti si turbassero, noi accorriamo alla dimora di questo bambino. Quand’anche i re, i tiranni, i popoli, ci impedissero il cammino, non lasciamo spegnere il nostro ardente desiderio per colpa di questi ostacoli: è, infatti, con tale ardore che potremo superare tutte le opposizioni che incontreremo. Se i Magi non fossero stati costanti nella fede sino all’ultimo e non fossero giunti a vedere il bambino, non avrebbero certo evitato le sciagure, di cui Erode li minacciava. Prima di giungere ad adorare il bambino, essi sono circondati da timori, da pericoli e turbamenti; ma dopo che l’hanno adorato, si ritrovano nella pace e nella tranquillità. Non è più la stella che li guida, ma è un angelo che li accoglie e parla con loro, poiché di fatto, adorando Gesù Cristo e offrendogli i loro doni, si sono trasformati in sacerdoti. Abbandonate anche voi il popolo giudeo, abbandonate questa città piena di torbidi, questo tiranno assetato di sangue, tutte queste vanità mondane, per accorrere a Betlemme, dove è la casa del pane spirituale. Anche se siete soltanto dei pastori, se vi affrettate a venire, vedrete il bambino. Ma se foste anche dei re, se non vi affrettate, la vostra porpora non vi servirà a nulla. Anche se siete stranieri e barbari come i Magi, niente potrà impedirvi di vedere il bambino, sempre che veniate qui per adorare il Figlio di Dio, non per calpestarlo come dice Paolo, ma per presentarvi dinanzi a lui con gioia e con timore.
(Dalle Omelie sul vangelo di Matteo, VII, 4-5)

Leone Magno, papa (440-461), Quarto discorso tenuto nella solennità dell'Epifania

1. Dilettissimi, è giusto e ragionevole, ed è ossequio di una sincera pietà godere con tutto il cuore nei giorni che magnificano le opere della divina misericordia; ed è giusto celebrare con onore quei fatti che sono stati compiuti per la nostra salvezza. A questa devozione ci invita lo stesso corso del tempo che, dopo la festa in cui il Figlio di Dio, coeterno al Padre, è nato dalla Vergine, a breve intervallo, ci porta la festa dell'Epifania, consacrata alle manifestazioni del Signore.
In questa festa la divina provvidenza ha dato un grande aiuto alla nostra fede. Infatti, mentre si ricorda con solenne venerazione come il Salvatore, da bambino, fu adorato, dai fatti stessi della sua nascita è provato che in lui è nata la natura di vero uomo. Questo è ciò che giustifica gli empi, è quello che trasforma in santi i peccatori, se, cioè, si crede che nell'unico e identico Gesù Cristo, nostro Signore, è la vera divinità e la vera umanità: la divinità per cui è nella condizione di Dio prima di tutti i secoli ed è uguale al Padre; l'umanità per cui negli ultimi tempi si è unito all'uomo nella condizione di schiavo.
Per rafforzare questa fede e perché fosse, così, premunita contro tutti gli errori, è avvenuto per grande misericordia del divino beneplacito che gente dimorante nella lontana regione dell'Oriente, esperta nell'osservare il corso delle stelle, ricevesse il segno del fanciullo, nato per regnare su tutto Israele. Ai Magi, infatti, apparve la nuova luce di una stella più lucente che, mentre la guardavano, riempì i loro animi di ammirazione per il suo splendore, per cui credettero che non si doveva trascurare ciò che era annunciato con un segno tanto grande. La grazia di Dio era già preceduta — il fatto stesso lo rivela — a questo miracolo; e mentre non ancora tutta Betlemme aveva appreso la nascita di Cristo, la grazia già l'annunciava alle genti, perché la credessero. Ciò che non poteva essere esposto con le parole umane, lo faceva conoscere con l'annuncio del cielo.
2. Ma benché fosse un dono della divina bontà il far conoscere alle genti la nascita del Salvatore, i Magi per comprendere il prodigioso segno poterono essere istruiti anche dall'antico oracolo di Balaam sapendo che una volta era stata detta e con memoranda celebrità diffusa la profezia: «Un astro spunterà da Giacobbe, uno scettro sorgerà da Israele» [Nm 24, 17].
Dunque i tre uomini, spinti divinamente dal fulgore della insolita stella, seguono il viaggio della fulgida luce che li precede, stimando di trovare nella città di Gerusalemme il fanciullo indicato. Ma questa congettura li ingannò; tuttavia appresero dagli scribi e dai dottori giudei quel che la sacra Scrittura aveva preannunciato della nascita di Cristo. Così, confortati da ambedue le testimonianze, cercarono con fede più ardente colui che era manifestato dallo splendore della stella e dall'autorità della profezia. L'oracolo divino fu presentato dalla risposta dei pontefici e così venne proclamata la parola dello Spirito che dice: «E tu Betlem Efrata, tu sei piccola fra le migliaia di Giuda; ma da te uscirà colui che deve regnare in Israele» [Mic 5, 2; Mt 2, 6]. Quanto sarebbe stato facile e consequenziale che i capi degli Ebrei credessero quel che insegnavano! Invece è chiaro che essi, insieme a Erode, ebbero pensieri carnali e stimarono il regno di Cristo alla stessa stregua della potestà di questo mondo; cosicché gli uni sperarono un duce temporale e l'altro temette un competitore terreno. O Erode, sei turbato da un vano timore; inutilmente pensi di perseguitare il fanciullo, a te sospetto. La tua regione non può restringere il potere di Cristo, né il Signore si accontenta del minuscolo tuo regno. Colui che tu non vuoi far regnare in Giudea, regna dovunque; e tu stesso regneresti più felicemente, se ti sottomettessi al suo comando. Perché non fai con animo sincero ciò che prometti con dolosa falsità? Va con i Magi e venera con supplice adorazione il vero Re. Ma tu, fedele seguace dei ciechi Giudei, non imiti la fede delle genti e pieghi il tuo cuore a insidie crudeli: però non ucciderai colui che temi, né nuocerai a coloro che uccidi.
3. Dilettissimi, i Magi furono condotti in Betlemme dalla stella che li precedeva e, come narra l'evangelista, «furono ripieni di una grande gioia; ed entrati nella casa, videro il Bambino con Maria, sua madre e, prostratisi, lo adorarono; aperti poi i loro tesori gli offrirono in dono oro, incenso e mirra» [Mt 2, 10-11]. O mirabile fede, perfettamente istruita, che non fu edotta dalla sapienza terrena, ma infusa dallo Spirito santo! Come mai questi uomini che non avevano ancora visto Gesù, né alcuna cosa che lo riguardava, hanno avuto tale ispirazione che rese la loro venerazione regola in modo da osservare un simbolismo nei doni portati? Certamente, oltre la luce di quella stella che eccitò la loro vista corporea, un raggio più fulgente della verità ammaestrò i loro cuori, affinché, prima di intraprendere il faticoso viaggio, comprendessero che era indicato loro colui al quale si doveva onore regale nell'oro, la venerazione divina nell'incenso, la confessione della mortalità nella mirra. Tutto questo, creduto e compreso, per quel che era necessario a una fede illuminata, poteva loro bastare; non occorreva che ricercassero con la vista corporea colui che avevano ammirato con profondo intuito della mente. Ma la diligenza e la sagacità dell'ardore che essi misero nell'adempimento del loro dovere, perseverando fino a vedere il fanciullo, era in servizio ai popoli del tempo futuro e agli uomini del nostro secolo. Come a tutti noi giovò che, dopo la risurrezione del Signore, Tommaso abbia toccato con la mano le cicatrici delle ferite nella carne di Cristo; così ridondò a nostra utilità che la vista dei Magi abbia provato la sua infanzia.
Dunque, i Magi videro e adorarono il fanciullo della tribù di Giuda, «nato, come uomo, dalla stirpe e di David [Rm 1, 3], «nato da donna e nato sotto la legge» [Gal 4, 4], che era venuto non ad abolire, ma a completare [cfr. Mt 5, 17]. Videro e adorarono il fanciullo, piccolo di statura, bisognoso dell'altrui aiuto, impotente a parlare e in nulla diverso dalla generalità della umana infanzia. Infatti, come erano valide quelle testimonianze che attestavano in lui la maestà dell'invisibile divinità, così doveva essere cosa provatissima che il Verbo si è fatto carne e la sempiterna essenza del Figlio di Dio aveva preso vera natura di uomo. Questo era necessario, perché né i miracoli e le opere ineffabili che sarebbero seguite, né i supplizi della passione che bisognava sopportare, turbassero il mistero della fede per l'apparente contraddizione dei fatti. In realtà non può essere in nessun modo giustificato se non chi crede che Gesù, Signore, è vero Dio e vero uomo.
Sermone XXXIV, nn. 1-3, PL 54; tr. it. Il mistero del Natale, a cura di Andrea Valeriani, Paoline, Roma 1983, pp. 141-144.

San Leone Magno *
San Leone fu eletto papa nel 440 e morì nel 461. Sotto il suo pontificato, si manifestarono delle divergenze fra Oriente e Occidente, ma egli seppe far riconoscere da tutti l'autorità della Sede I Romana. L'opera letteraria di S. Leone si compone di lettere e , di una serie di sermoni, in cui questo pastore insegna, con rara' efficacia di espressione, la dottrina cristologica tradizionale.
La Provvidenza misericordiosa di Dio dispose di venire in aiuto, in questi ultimi tempi, al mondo che stava per perdersi: stabilì perciò in Cristo la salvezza di tutti i popoli... Questi costituiscono la discendenza innumerevole, promessa un tempo al santo patriarca Abramo. Essa infatti doveva essere generata non dalla carne, ma dalla fede; per questo fu paragonata alla moltitudine delle stelle, perché il padre di tutte le genti ponesse tutta la sua speranza in una progenie non terrena, ma celeste... Entri dunque nella famiglia dei patriarchi la totalità dei gentili e, come figli della promessa, ricevano - nella stirpe di Abramo - la benedizione alla quale rinunciano i figli secondo la carne. Nella persona dei 1re Magi, tutti i popoli adorino l'autore dell'universo e Dio sia conosciuto non solo in Giudea, ma in tutto il mondo, perché ovunque, in Israele sia grande il suo nome (Si. 75, 2)...
Istruiti perciò da questi misteri della grazia divina, celebriamo con gioia spirituale il giorno delle nostre primizie e la prima chiamata delle genti. Rendiamo grazie al Dio delle misericordie che, come dice l'Apostolo, ci ha resi capaci di partecipare all'eredità dei santi nella luce, sottraendoci al potere delle tenebre, e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo Amore (Coi. 1, 12-13). Infatti, secondo la profezia di Isaia: Il popolo che camminava nelle tenebre vide una gran luce su quelli che abitavano nella terra dell'ombra di morte, la luce è spuntata (Is. 9, 2). Di questi ancora, il profeta dice ali Signore: Ecco, tu chiamerai le genti che non conoscevi, quelle che non ti conoscevano correrannote (Is. 55, 5). Abramo ha visto questo giorno e si è rallegrato (cfr. Gv. 8, 56), quando ha saputo che i figli della sua fede sarebbero stati benedetti nella sua discendenza, che è il Cristo, e ha visto che, per la fede, sarebbe divenuto padre di tutte le genti. Diede gloria al Signore, pienamente convinto che ciò che Egli promette è anche in grado di attuarlo (Rom. 4, 20-21).
Davide celebrava questo giorno nei salmi, dicendo: Tutte le genti che tu creasti verranno si prostreranno davanti Te, Signore, daranno gloria al tuo nome (SI. 85, 9); e ancora: Il Signore ha manifestato la sua salvezza; agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia (SI. 97, 2). Noi sappiamo che questo si è attuato da quando una stella chiamò dalla terra lontana i tre Magi e li guidò verso il Re del cielo e della terra per conoscerlo e adorarlo. La prontezza di ques1a stella ci invita ad imitarla, perché, nella misura delle nostre possibilità, serviamo alla grazia che chiama tutti a Cristo. Chiunque infatti, nella Chiesa, vive nella pietà e nella purezza, chi gusta le cose celesti e non le terrene, somig'lia in qualche modo ad una stella del cielo (cfr. Col. 3, 1); mentre conserva il candore di una vita santa,come una stella indica a molti la via verso il Signore. Tendendo a questo, carissimi, voi tutti dovete aiutarvi reciprocamente, perché possiate risplendere come figli della luce nel regno di Dio, a cui si giunge con la fede pura e con le opere buone (cfr. Ef. 5, 8).
In Epiphaniae solemnitate sermo 111, 1, 2, 3, 5: "Sources Chrétiennes» 22 - Le Cerf, Parigi 1947, pp. 202-210.


San Teofilo di Antiochia *
Originario delle rive dell'Eufrate, Teofilo diventò cristiano ad età avanzata e nel 169 fu nominato vescovo di Antiochia. Apologista della fede cristiana, è più letterato che filosofo. Nei suoi scritti, si trova per la prima volta la parola «Trinità». In questo brano, egli esamina le predisposizioni dell'uomo alla contemplazione di Dio e indica l'azione purificatrice della grazia, che illumina il cuore di chi crede.
Se tu dici: «Mostrami il tuo Dio», io ti risponderò: «Fammi vedere l'uomo che tu sei ed io ti mostrerò il mio Dio». Fammi dunque vedere se gli occhi della tua anima vedono, se le orecchie del tuo cuore sentono. Chi vede, percepisce con gli occhi ciò che si muove sulla terra e, nello stesso tempo, coglie le diversità, cioè la luce e il buio, il bianco e il nero, il brutto e il bello, distinguendo ciò che è armonioso e proporzionato da ciò che è irregolare o deforme, ciò che è smisurato da ciò che è mutilo. Così, anche i suoni che giungono all'udito si possono distinguere in acuti, gravi o dolci. Analogamente, anche per le orecchie del cuore e gli occhi dell'anima possiamo affermare la possibilità di vedere Dio. Vede Dio solo chi può vederlo, se tiene cioè spalancati gli occhi dell'anima. Tutti hanno gli occhi, ma alcuni li hanno come annebbiati da cateratte e quindi non possono vedere la luce del sole. E se i ciechi non vedono, non si può affermare per questo che Ila luce del sole non risplende più... E' necessario che l'uomo abbia un'anima trasparente come uno specchio limpido. Ma se lo specchio è arrugginito, non ci si può specchiare: così, se un uomo è macchiato dal peccato, è nell'impossibilità di vedere Dio...
Ma se tu vuoi, puoi guarire. Affidati al medico: egli ti toglierà le cateratte dagli occhi dell'anima e del cuore. Chi è il medico? E' Dio, che dà la vita e la salvezza nel Verbo e nella Sapienza. Dio, nel suo Verbo e nella sua Sapienza, ha creato ogni cosa. Con la sua parola furono creati i cieli, con il suo Spirito tutta la loro potenza (Sl. 32, 6). La sua Sapienza è potentissima. Il Signore con la Sapienza fondò la terra econsolidò i cieli con /'intelligenza. Per la sua scienza gli abissi si spalancarono e e le nubi stillarono rugiada (Prov. 3, 19-20).
Se tu, o uomo, comprendi tutto questo e vivi santamente secondo le leggi divine e umane, puoi vedere Dio. Ma è necessario che nel tuo cuore la fede e il timore di Dio abbiano 'la precedenza su qualsiasi altra cosa: solo allora potrai capire. Quando ti sarai spogliato della tua mortalità e avrai rivestito l'incorruttibilità, allora vedrai Dio secondo i tuoi meriti. Perché il Signore fa risuscitare con la tua anima la tua carne immortale: allora, divenuto immortale, vedrai l'Immortale, se fin da ora ti affidi a lui nella fede.
Pros Autolukos - P.G. 6. 1025-1028; 1036.


San Massimo il confessore *
Nato verso il 580 a Costantinopoli e morto in esilio nel Caucaso, nel 662, Massimo deve il suo titolo di «confessore» alla costanza con cui si oppose alla corrente teologica monotelita, che negava la volontà umana del Cristo. Il vigore e la chiarezza del suo pensiero, ispirato da Gregorio Nazianzeno e da Dionigi l'Areopagita, fanno di lui uno dei teologi più profondi dell'antichità cristiana.
Il mistero del Verbo incarnato sta al centro della sua meditazione. Egli contempla l'armonia della natura divina e di quella umana nella persona del Cristo.
Il Verbo di Dio si è manifestato nella carne una volta per sempre. Ma, in chi lo desidera, egli vuole continuamente rinascere secondo lo spirito, perché ama gli uomini. Così, ridiventa bambino e si forma in loro con il progredire del,le virtù. Il Verbo si manifesta nella misura in cui sa di poter essere ricevuto da chi lo accoglie: non limita la manifestazione della sua grandezza per gelosia, ma misura l'intensità del suo dono secondo il desiderio di chi brama veder,lo. li! Verbo di Dio si manifesta sempre, secondo le disposizioni di chi lo riceve: tuttavia, data l'immensità del mistero, egli rimane ugualmente invisibile per tutti. Per questo motivo l'apostolo, penetrata con acutezza la potenza del mistero, dice: Gesù Cristo è lo stesso, ieri, oggi e nei secoli (Ebr. 13, 8): egli dimostrava così di avere ben compreso la perenne novità del mistero ed intuiva che l'intelligenza non potrà mai possederlo come una cosa invecchiata.
Il Cristo Dio nasce nel tempo e si fa uomo assumendo una carne umana dotata di anima intelligente: nasce nel tempo, lui che fa uscire dal nulla tutto ciò che esiste... Ed ecco che un giorno brilla dall'Oriente una stella e conduce i Magi al luogo dell'incarnazione del Verbo. Una realtà creata indicava così misticamente colui che è al di là di ogni percezione sensibile, colui che supera la parola della legge e dei profeti, colui che guida le genti alla fulgida luce della conoscenza.
Infatti, la parola del;la legge e dei profeti conduce alla conoscenza del Verbo incarnato - come una stella che, piamente compresa, guida i chiamati dalla potenza della grazia, cioè gli eletti secondo il disegno di Dio (Cfr. Rom. 8, 28)...
Così, Dio si fa totalmente uomo ed, assumendo la, non rifiuta nulla di ciò che è proprio alla natura umana, tranne il peccato, che, d'altra parte, non è sua parte essenziale... Dio fa di se stesso il rimedio della natura umana e la riporta - per la divinità che depone in lei - all'intensità della grazia che le era stata data fin dal principio. Il serpente immise il veleno della sua malvagità nell'albero della conoscenza e determinò in tal modo la rovina del genere umano, che ne avrebbe gustato i frutti; allo stesso modo, quando il maligno volle divorare la carne del Signore, per la potenza della divinità che era in lei a sua volta trovò la propria rovina.
Immenso mistero dell'incarnazione di Dio! Eterno mistero!... Come può il Verbo essere sostanzialmente nella carne come persona e, nello stesso tempo, - sempre come persona e sostanzialmente - essere tutto nel Padre? Come può il Verbo essere ad un tempo veramente Dio per natura e farsi, per natura, veramente uomo? E tutto questo senza rifiutare assolutamente né la natura divina, secondo la quale è Dio, né la nostra, secondo la quale si è fatto uomo? Soltanto la fede può abbracciare questi misteri, la fede che è il fondamento di tutto ciò che supera quello che possiamo comprendere e che possiamo dire.
* Capita theologica 1, 8-13 - PG. 90, 1181-118.


San Massimo di Torino *
Vescovo di Torino nel V secolo, San Massimo è, con S. Agostino, uno degli antichi Padri latini che ci hanno lasciato magnifiche collezioni di sermoni. E' noto quasi unicamente per la sua opera letteraria e oratoria, che ce lo rivela vescovo ardente nella lotta per /'integrità della fede e sollecito del progresso spirituale dei suoi fedeli. La sua eloquenza, dotata di forza e, nello stesso tempo, di semplicità, è ispirata da uno zelo pastorale proteso a far ritrovare la presenza del Cristo in tutta la Scrittura.
Il Vangelo ci racconta che il Signore venne al Giordano per essere battezzato e volle che in questo stesso fiume la sua consacrazione fosse confermata da segni celesti. Non dobbiamo meravigliarci che in questo egli abbia preceduto tutti gli altri. Volle compiere per primo quello che comandava di fare, per insegnare - da buon maestro - la sua dottrina non tanto con le parole, quanto piuttosto con gli atti che compiva...
E' significativo che questa festa segua, nello stesso volgere di tempo, quella della nascita del Signore, nonostante siano intercorsi degli anni fra i due avvenimenti, perché credo che tale festività celebri ancora una nascita... Là nasce come uomo e Maria, sua madre, lo riscalda stringendolo al seno; qui nasce secondo il mistero e Dio, suo Padre, lo abbraccia con la carezza della sua voce, dicendo:Questi è il mio Figlio diletto nel quale ho riposto ogni mia compiacenza, ascoltatelo (Mt. 3, 17 17, 5)...
Oggi dunque il Signore Gesù è venuto a ricevere il battesimo e ha voluto che il suo corpo fosse lavato nell'acqua del Giordano. Qualcuno forse dirà: «Perché ha voluto farsi battezzare se è Santo?». Ascoltami dunque: Cristo è battezzato, non per essere santificato dalle acque, ma per santificare lui stesso le acque e per purificare - lui, puro - le acque che tocca. Si tratta dunque più di una consacrazione dell'acqua che di quella del Cristo.
Dal momento in .cui il Salvatore è lavato, tutta l'acqua è resa pura in vista del battesimo di noi tutti é viene purificata la sorgente, perché la grazia del lavacro passi alle generazioni che si succederanno nel tempo. 1'1 Cristo passa per primo attraverso il battesimo, perché i popoli cristiani seguano con fiducia il suo esempio.
Così la colonna di fuoco precedette i figli di Israele nel Mar Rosso, perché la seguissero coraggiosamente nel cammino da essa indicato e, ancora per prima, attraversò le acque, per preparare la strada a quanti la seguivano. Quest'avvenimento fu, secondo la parola dell'Apostolo, una figura del battesimo (cfr. I Cor. 10, 1 ss.) e battesimo era veramente quello in cui gli uomini erano coperti da una nube e portati dalle acque. Tutto ciò ha compiuto ;10 stesso Cristo nostro Signore, che, come allora aveva preceduto nella colonna di fuoco i figli d'Israele, così nel Giordano precedette nella colonna del suo corpo i popoli cristiani. La stessa colonna, dico, che illuminava gli occhi degli Ebrei in marcia, dona la luce ai cuori dei credenti. Allora essa tracciò un cammino sicuro tra le onde, ora corrobora la via della fede in questo lavacro: chi procederà intrepido, con fede, come i figli di Israele, non temerà la persecuzione degli Egiziani.
Homilia XXX De Epiphania, PL 57, 291-294.


RINASCERE NELL'ACQUA E NELLO SPIRITO
Pseudo-Ippolito *
Questa omelia greca è giunta fino a noi sotto il nome di S. Ippolito. Molto probabilmente però, non è sua, ma risale al IV secolo e proviene dal vicino Oriente. Rivela molto bene il genere dell'omelia battesimale di questo periodo. Composta per la festa dell'Epifania, «la santa manifestazione di Dio», ci ricorda che, per il battesimo, noi partecipiamo alla filiazione divina manifestata a Gesù Cristo al momento del battesimo nel Giordano.
Il Cristo, creatore di ogni cosa, è disceso dal cielo come pioggia, si è fatto conoscere come una sorgente, ha effuso se s1esso come un fiume, si è fatto battezzare nel Giordano... La sorgente incomprensibile, la sorgente che dà agli uomini la vita e che non si esaurisce mai, si nasconde sotto un po' d'acqua povera e vana. Lui che è onnipresente, mai lontano da nessun luogo, lui che è incomprensibile agli angeli e invisibile agli uomini, si fa battezzare, perché così ha voluto...
Ed ecco che per lui si aprirono i cieli si udì una voce che diceva: «Questi è il mio Figlio diletto, nel quale mi san compiaciuto» (Mt. 3, 16-17). Il diletto genera amore, la luce immateriale genera la luce inaccessibile (I Tim. 6, 16)... Quest'uomo, che è detto figlio di Giuseppe, è anche il mio Unigenito per la sua natura divina. Questi è il mio Figlio diletto: affamato, nutre migliaia ,di esseri; spossato, dà riposo a -chi è prostrato dalla fatica; mentre non ha dove posare il capo, porta ogni cosa nelle sue mani; consumato dalla sofferenza, risana ogni malattia; schiaffeggiato, dà la libertà al mondo; 1rafitto al costato, risana il costato di Adamo.
Ma vi prego, fatemi bene attenzione: vorrei risalire alla sorgente della vita, contemplare la sorgente da cui scaturisce la salvezza. Il Padre dell'immortalità ha mandato ne'I mondo il Figlio, il Verbo immortale. Questi viene tra gli uomini per immergerli nell'acqua e nello Spirito. Volendoci rigenerare all'immortalità dell'anima e del corpo, ha infuso in noi lo Spirito della vita, avvolgendoci interamente come in una armatura incorruttibile. Se dunque l'uomo è stato reso immortale, sarà anche reso partecipe dellanatura divina (II Pt. 1, 4). E se l'uomo è stato fatto Dio per mezzo dell'acqua e dello Spirito Santo con la rigenerazione battesimale, diverrà anche coerede del Cristo (Rom. 8, 17) con la risurrezione dei morti.
Per questo io grido: Venite popoli e genti tutte all'immortalità del battesimo... Questa è l'acqua che partecipa dello Spirito: da essa è irrigato il paradiso, da essa è resa fertile la terra, per essa crescono le piante e gli animali si moltiplicano. In una parola, grazie a quest'acqua in cui il Cristo si fece battezzare e sulla quale discese lo Spirito, simile ad una colomba, l'uomo è rigenerato e richiamato alla vita.
Chi scende con fede nel lavacro della rigenerazione, si spog'liadella sua servitù e riveste la filiazione divina. Riemerge dal battesimo vestito di luce come il sole ed irradia attorno a sé lo splendore della giustizia. Ma, ciò che più importa, ne risale figlio di Dio e coerede del Cristo. A lui e allo Spirito infinitamente santo, buono e vivificante, gloria e potere ora e sempre, per tutti i secoli dei secoli. Amen.
Logos eis ta aghia Theophaneia PG. 10, 853-861.

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