Benedetto XVI. Sull'unzione di Betania


L'insegnamento di Benedetto XVI

Fin dalla prima ora della sua bimillenaria esistenza, la Chiesa ha conosciuto il tradimento al suo interno. Gesù era inviso alla maggioranza della classe dirigente ebraica del suo tempo, ma se essa trova infine il modo di catturarlo e mandarlo a morte è grazie al tradimento di uno della cerchia degli Apostoli. E’ Giuda Iscariota che consegna Cristo ai suoi nemici. E Giuda, scrivono i Vangeli, era “uno dei Dodici”. All’udienza generale del 18 ottobre 2006, concludendo la sua personale galleria di ritratti degli Apostoli, Benedetto XVI affronta la storia dell’uomo il cui nome, osserva all’inizio, “suscita tra i cristiani un’istintiva reazione di riprovazione e di condanna”. In quell’udienza, il Papa si pone le due domande che, quando si parla di Giuda, tutti si pongono: perché Gesù lo chiamò con sé? E perché decise di tradire chi lo aveva scelto? Il “mistero della scelta rimane”, afferma Benedetto XVI. E pur avanzando “ipotesi”, anche le ragioni contingenti del tradimento – delusione verso un leader non politico, pura e semplice avidità di denaro – non sono più chiare:
“In realtà, i testi evangelici insistono su un altro aspetto: Giovanni dice espressamente che ‘il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo’ (…) In questo modo, si va oltre le motivazioni storiche e si spiega la vicenda in base alla responsabilità personale di Giuda, il quale cedette miseramente ad una tentazione del Maligno”.

Ciò non vuol dire che Giuda abbia semplicemente ceduto a una forza soprannaturale che, per quanto malefica, era preponderante rispetto alla sua volontà. Vuol dire esattamente il contrario. Il punto nevralgico il Papa lo tocca sei mesi prima, il 13 aprile, all’omelia della Messa del Giovedì Santo: Giuda, dice, rompe gli indugi mentre si trova nel Cenacolo, poco dopo che Gesù, in un atto di suprema umiltà, gli ha lavato i piedi pur sapendo che, in quell’uomo, la vera sporcizia è annidata altrove:

“È la superbia che non vuole confessare e riconoscere che abbiamo bisogno di purificazione. In Giuda vediamo la natura di questo rifiuto ancora più chiaramente. Egli valuta Gesù secondo le categorie del potere e del successo (…) l'amore non conta. Ed egli è avido: il denaro è più importante della comunione con Gesù, più importante di Dio e del suo amore. E così diventa anche un bugiardo, che fa il doppio gioco e rompe con la verità; uno che vive nella menzogna e perde così il senso per la verità suprema, per Dio”.
Se Pietro, il primo degli Apostoli, che baratta inizialmente la propria incolumità con lo strazio inflitto al suo Maestro, sa trovare lacrime amare di vergogna e di pentimento per la sua debolezza, Giuda – prosegue Benedetto XVI – è l’evidenza di un uomo che “si indurisce”, che pur pentendosi non sa tornare sui suoi passi, e “butta via la vita distrutta”. La sua è la disperazione che degenera in “autodistruzione”:

“E’ per noi un invito a tener sempre presente quanto dice san Benedetto alla fine del fondamentale capitolo V della sua ‘Regola’: ‘Non disperare mai della misericordia divina’. In realtà Dio ‘è più grande del nostro cuore’, come dice san Giovanni. Teniamo quindi presenti due cose. La prima: Gesù rispetta la nostra libertà. La seconda: Gesù aspetta la nostra disponibilità al pentimento ed alla conversione; è ricco di misericordia e di perdono”.
Su un “gesto inescusabile” come quello di Giuda Dio poi costruisce un passaggio-chiave del suo progetto di redenzione del mondo. Nella sua “superiore conduzione degli eventi”, chiarisce il Papa, il tradimento conduce alla morte di Gesù, che “trasforma” un “tremendo supplizio in spazio di amore salvifico e in consegna di sé al Padre”.

I minuti restanti di quell’udienza generale del 2006 Benedetto XVI li dedica a Mattia, l’uomo che “fu associato agli undici Apostoli” al posto di Giuda. Di lui, riferisce il Papa, “non sappiamo altro, se non che anch’egli era stato testimone di tutta la vicenda terrena di Gesù, rimanendo a Lui fedele fino in fondo”. Una fedeltà culminata in una nomina a discepolo, che lo ricompensa per la sua lealtà e compensa il tradimento di Giuda. Conclusione che vale un inequivocabile insegnamento per le vicende della Chiesa di oggi:

“Ricaviamo da qui un’ultima lezione: anche se nella Chiesa non mancano cristiani indegni e traditori, spetta a ciascuno di noi controbilanciare il male da essi compiuto con la nostra limpida testimonianza a Gesù Cristo, nostro Signore e Salvatore”.

Omelia del 29 marzo 2010

Il Vangelo poc’anzi proclamato ci conduce a Betania, dove, come annota l’Evangelista, Lazzaro, Marta e Maria offrirono una cena al Maestro (Gv 12,1). Questo banchetto in casa dei tre amici di Gesù è caratterizzato dai presentimenti della morte imminente: i sei giorni prima di Pasqua, il suggerimento del traditore Giuda, la risposta di Gesù che richiama uno degli atti pietosi della sepoltura anticipato da Maria, l’accenno che non sempre lo avrebbero avuto con loro, il proposito di eliminare Lazzaro in cui si riflette la volontà di uccidere Gesù. In questo racconto evangelico, c’è un gesto sul quale vorrei attirare l’attenzione: Maria di Betania "prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli" (12,3). Il gesto di Maria è l’espressione di fede e di amore grandi verso il Signore: per lei non è sufficiente lavare i piedi del Maestro con l’acqua, ma li cosparge con una grande quantità di profumo prezioso, che – come contesterà Giuda – si sarebbe potuto vendere per trecento denari; non unge, poi, il capo, come era usanza, ma i piedi: Maria offre a Gesù quanto ha di più prezioso e con un gesto di devozione profonda. L’amore non calcola, non misura, non bada a spese, non pone barriere, ma sa donare con gioia, cerca solo il bene dell’altro, vince la meschinità, la grettezza, i risentimenti, le chiusure che l’uomo porta a volte nel suo cuore.
Maria si pone ai piedi di Gesù in umile atteggiamento di servizio, come farà lo stesso Maestro nell’Ultima Cena, quando – ci dice il quarto Vangelo – "si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli" (Gv 13,4-5), perché – disse – "anche voi facciate come io ho fatto a voi" (v. 15): la regola della comunità di Gesù è quella dell’amore che sa servire fino al dono della vita. E il profumo si spande: "tutta la casa – annota l’Evangelista – si riempì dell’aroma di quel profumo" (Gv 12,3). Il significato del gesto di Maria, che è risposta all’Amore infinito di Dio, si diffonde tra tutti i convitati; ogni gesto di carità e di devozione autentica a Cristo non rimane un fatto personale, non riguarda solo il rapporto tra l’individuo e il Signore, ma riguarda l’intero corpo della Chiesa, è contagioso: infonde amore, gioia, luce.
"Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto" (Gv 1,11): all’atto di Maria si contrappongono l’atteggiamento e le parole di Giuda, che, sotto il pretesto dell’aiuto da recare ai poveri, nasconde l’egoismo e la falsità dell’uomo chiuso in se stesso, incatenato dall’avidità del possesso, che non si lascia avvolgere dal buon profumo dell’amore divino. Giuda calcola là dove non si può calcolare, entra con animo meschino dove lo spazio è quello dell’amore, del dono, della dedizione totale. E Gesù, che fino a quel momento era rimasto in silenzio, interviene a favore del gesto di Maria: "Lasciala fare, perché ella lo conservi per il giorno della mia sepoltura" (Gv12,7). Gesù comprende che Maria ha intuito l’amore di Dio ed indica che ormai la sua "ora" si avvicina, l’"ora" in cui l’Amore troverà la sua espressione suprema sul legno della Croce: il Figlio di Dio dona se stesso perché l’uomo abbia la vita, scende negli abissi della morte per portare l’uomo alle altezze di Dio, non ha paura di umiliarsi "facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce" (Fil 2,8). Sant’Agostino, nel Sermone in cui commenta tale brano evangelico, rivolge a ciascuno di noi, con parole incalzanti, l’invito ad entrare in questo circuito d’amore, imitando il gesto di Maria e ponendosi concretamente alla sequela di Gesù. Scrive Agostino: "Ogni anima che voglia essere fedele, si unisce a Maria per ungere con prezioso profumo i piedi del Signore… Ungi i piedi di Gesù: segui le orme del Signore conducendo una vita degna. Asciugagli i piedi con i capelli: se hai del superfluo dallo ai poveri, e avrai asciugato i piedi del Signore" (In Ioh. evang., 50, 6).

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