Joseph Ratzinger. Sulla Redenzione. Da Introduzione al Cristianesimo

Come abbiamo rilevato poc’anzi, in questo campo la coscienza cristiana è in genere ancora largamente improntata ad una grossolana e irrozzita idea della teologia d’espiazione risalente ad Anselmo di Canterbury, della quale abbiamo esposto le grandi linee in un contesto precedente. Per molti cristiani, e specialmente per quelli che conoscono la fede solo piuttosto da lontano, le cose stanno come se la croce andasse vista inserita in un meccanismo, costituito dal diritto offeso e riparato. Sarebbe la forma in cui la giustizia di Dio infinitamente lesa verrebbe nuovamente placata da un’infinita espiazione.  Sicché la vicenda della croce appare all’uomo come l’espressione di un atteggiamento, che poggia su un esatto conguaglio tra dare e avere; ma nello stesso tempo, si ha la sensazione che questo conguaglio si basi peraltro su un piedistallo fittizio. Di conseguenza, si dà segretamente con la mano sinistra, ciò che poi si toglie solennemente con la destra. Col risultato che la ‘infinita espiazione’ su cui Dio sembra reggersi, si presenta in una luce doppiamente sinistra. Da molti libri di devozione, s’infiltra così nella coscienza proprio l’idea che la fede cristiana nella croce immagini un Dio, la cui spietata giustizia abbia preteso un sacrificio umano, l’immolazione del suo stesso Figlio. Per cui si volgono con terrore le spalle ad una giustizia, la cui tenebrosa ira rende inattendibile il messaggio dell’amore.

Quanto diffusa è un’immagine del genere, altrettanto è sbagliata e falsa. Nella Bibbia, la croce non si presenta affatto come ingranaggio d’un meccanismo di diritto leso; la croce vi compare invece proprio come espressione indicante la radicalità dell’amore che si dona interamente, come un processo in cui uno è ciò che fa, e fa esattamente ciò che è: come palese simbolo di una vita vissuta integralmente per gli altri. Agli occhi di chi osserva attentamente, nella teologia della croce sviluppata dalla Scrittura, si esprime un’autentica rivoluzione rispetto alle idee di espiazione e di redenzione riscontrabili nelle religioni non cristiane della storia; non si può peraltro negare che, nella coscienza cristiana dei tempi successivi, tale rivoluzione si sia di nuovo largamente neutralizzata, e si sia ben di rado riconosciuta in tutta la sua portata. Nelle religioni mondiali, espiazione significa normalmente riparazione e ripristino dei rapporti perturbati esistenti con la divinità, ottenuti tramite azioni propiziatrici degli uomini. Quasi tutte le religioni ruotano attorno al problema dell’espiazione; nascono dalla consapevolezza che l’uomo ha della propria colpa di fronte a Dio, e denotano il tentativo di eliminare questo sentimento di colpa, cancellando il peccato mediante opere d’espiazione offerte a Dio. L’azione espiatrice con la quale gli uomini mirano a conciliarsi e a propiziarsi la divinità, sta al centro della storia delle religioni .


Nel nuovo testamento invece, la situazione è quasi esattamente l’inversa. Non è l’uomo che si accosta a Dio tributandogli un dono compensatore, ma è Dio che si avvicina all’uomo per accordarglielo.
Per iniziativa stessa della sua potenza amorosa egli restaura il diritto leso, giustificando l’uomo colpevole mediante la sua misericordia creatrice e richiamando alla vita la creatura morta. La sua giustizia è grazia: è giustizia attiva, che raddrizza l’uomo distorto, riportandolo allo stato lineare, giustificandolo. Qui ci troviamo davvero di fronte alla svolta portata dal cristianesimo nella storia delle religioni: il Nuovo Testamento non dice che gli uomini si riconcilino con Dio, come del resto dovremmo attenderci, perché sono essi che hanno sbagliato, non Dio. Ci dice invece che «Dio in Cristo ha riconciliato con sé il mondo» (2 Cor. 5, 19). Ora, ciò è qualcosa di veramente inaudito, qualcosa di assolutamente nuovo: è la base di lancio dell’esistenza cristiana e il centro focale della teologia della croce, sviluppata dal Nuovo Testamento. Dio non aspetta che i colpevoli si facciano avanti, riconciliandosi con lui, ma va loro incontro per primo riabilitandoli. In questo grande evento si vede delinearsi il vero indirizzo orientativo dell’incarnazione, della croce.


Di conseguenza, nel Nuovo Testamento la croce si presenta primariamente come un movimento discendente, dall’alto in basso. Essa non ha affatto l’aspetto d’una prestazione propiziatrice che l’umanità offre allo sdegnato Iddio, bensì quello d’un’espressione di quel folle amore di Dio, che s’abbandona senza riserve all’umiliazione pur di redimere l’uomo; è un suo accostamento a noi, non viceversa. Con questa inversione di rotta nell’idea dell’espiazione, che viene a spostare addirittura l’asse dell’impostazione religiosa in genere, nel cristianesimo anche il culto e l’intera esistenza ricevono un nuovo indirizzo. Nella sfera cristiana, l’adorazione si estrinseca in primo luogo nel ricevere con animo grato l’azione salvifica di Dio. La forma essenziale del culto cristiano si chiama quindi a ragion veduta Eucarestia, cioè rendimento di grazie. In questa cerimonia cultuale, non si offrono a Dio tributi umani, ma si porta invece l’uomo a lasciarsi inondare di doni; noi non glorifichiamo Iddio offrendogli qualcosa di presumibilmente nostro – quasi che ciò non fosse già per principio suo! – bensì facendoci regalare qualcosa di Suo e riconoscendolo così come l’unico Signore.


Con i rilievi sin qui fatti, non abbiamo però detto ancora tutto. Quando si legga il Nuovo Testamento dal principio alla fine, non è possibile soffocare la domanda se esso non ci presenti l’azione espiativa di Gesù come l’offerta d’un sacrificio al Padre, additandoci la croce come l’olocausto che Cristo in tutta obbedienza esibisce al Padre. In una lunga serie di testi, l’azione di Cristo ci viene indicata nonostante tutto come un movimento ascendente intrapreso dall’umanità verso Dio; sicché sembra proprio tornare alla ribalta tutto quanto abbiamo testé spazzato via dalla scena. Enucleando la sola linea discendente, per altro, non è possibile cogliere integralmente il senso del Nuovo Testamento. E allora, come dobbiamo spiegarci il rapporto intercorrente tra le due linee? Dobbiamo forse escludere l’una a beneficio dell’altra? E qualora lo volessimo davvero fare, quale scala di valori ci autorizzerebbe ad intraprendere tale selezione? E quindi chiaro che in questa direzione non possiamo procedere: finiremmo inevitabilmente per elevare il puro e semplice arbitrio della nostra opinione a parametro per commisurare la fede.

Per riuscire ad andare avanti su questo terreno, dobbiamo ampliare la nostra domanda, cercando di appurare dove sia situato il punto d’avvio dell’interpretazione neotestamentaria della croce 

Siccome però tutto il culto pre-cristiano poggia sull’idea della sostituzione, della rappresentanza, tentando di sostituire l’insostituibile [l’uomo stesso], (…) Essa [l’Epistola agli Ebrei] ha il coraggio di affermare senza riserve questo completo fallimento delle religioni, perché sa come in Cristo l’idea della sostituzione, della supplenza, abbia acquisito un senso integralmente nuovo. (…) Egli [Gesù] (…) attraversando l’atrio della morte è penetrato nell’autentico tempio, ossia alla presenza di Dio stesso, e per sacrificargli non delle cose, sangue di animali o altro, bensì addirittura se stesso (Eb. 9, 11 ss.). (…) donando e sacrificando se stesso. Egli strappò di mano agli uomini le offerte sacrificali, sostituendovi la sua personalità, il suo stesso ‘io’ donato in olocausto

Se tuttavia nel nostro testo si afferma ancora che Gesù ha operato la redenzione col suo sangue (Eb. 9, 12), questo sangue non va inteso come un dono materiale, come un mezzo espiativo da misurarsi quantitativamente, bensì come la pura concretizzazione di quell’amore che ci viene additato come spinto fino all’estremo (Gv. 13, 1)

Stando così le cose, l’essenza del culto cristiano non sta nell’offerta di cose, e nemmeno in una certa qual loro distruzione, come dal secolo XVI in poi si può leggere sempre più insistentemente nei trattati teorici concernenti il sacrificio della messa, ove si afferma che proprio in questo modo bisogna riconoscere la suprema autorità di Dio sull’universo. Tutti gli sforzi fatti dal pensiero in questo senso sono ormai stati decisamente superati dall’avvento di Cristo, e dall’interpretazione che ce ne dà la Bibbia. Il culto cristiano si concretizza nell’assoluta dedizione dell’amore, quale poteva estrinsecarsi unicamente in colui, nel quale l’amore stesso di Dio si era fatto amore umano; e si esplica nella nuova forma di funzione vicaria [sostituzione] inclusa in questo amore: nel fatto che egli si è incaricato di rappresentarci e noi ci lasciamo impersonare da lui. Esso comporta pure che noi ci decidiamo una buona volta ad accantonare i nostri conati di auto-giustificazione 



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