San Tommaso d'Aquino. Sulla Redenzione


Sembra che la passione di Cristo non abbia agito sotto forma di sacrificio.
Rispondo: Il sacrificio propriamente è un'opera compiuta per rendere a Dio l'onore a lui esclusivamente dovuto al fine di placarlo. […] Cristo “nella passione sacrificò se stesso per noi”: e tale azione, cioè l'accettazione volontaria della passione, fu sommamente gradita a Dio, procedendo essa dalla carità. Perciò è evidente che la passione di Cristo fu un vero sacrificio 

Per la redenzione della natura umana, caduta a causa del peccato, si richiedeva soltanto che l'uomo soddisfacesse per il peccato. Dio infatti non deve esigere dall’uomo l’impossibile; ed essendo più incline a compatire che a punire, come imputò all’uomo l’atto del peccato, gli dovrebbe ascrivere a distruzione del peccato l’atto contrario. Non era dunque necessaria, per redimere la natura umana, l’incarnazione del Verbo di Dio.

In tal senso non poteva essere sufficiente la soddisfazione d’un puro uomo, perché tutta la natura umana era stata corrotta dal peccato, né il merito di una o più persone poteva compensare alla pari il danno di tutta la natura. Inoltre, poiché il peccato commesso contro Dio acquista una certa infinità dalla infinità della maestà divina: l’offesa infatti è tanto più grande, quanto più grande è la persona verso cui si manca; era necessario per una soddisfazione adeguata che l’azione del riparatore avesse un’efficacia infinita, quale è appunto l’azione di un uomo-Dio.

Può dirsi sufficiente una soddisfazione in maniera imperfetta, ossia relativamente all’accettazione da parte di chi se ne contenta, anche se non è adeguata. In tal senso può essere sufficiente la soddisfazione d’un puro uomo. Tuttavia, poiché ogni cosa imperfetta presuppone la perfezione corrispondente su cui si regge, è dalla soddisfazione di Cristo che prende efficacia la soddisfazione d’ogni puro uomo.

Sembra che la passione di Cristo non abbia causato la nostra salvezza sotto forma di soddisfazione.
Rispondo: Soddisfa pienamente per l’offesa colui che offre all’offeso quanto egli ama in maniera uguale o superiore all’odio che ha per l’offesa subita. Ebbene, Cristo accettando la passione per carità e per obbedienza offrì a Dio un bene superiore a quello richiesto per compensare tutte le offese del genere umano. Primo, per la grandezza della carità con la quale volle soffrire. Secondo, per la nobiltà della sua vita, che era la vita dell’Uomo-Dio, e che egli offriva come soddisfazione. Terzo, per l’universalità delle sue sofferenze e per la grandezza dei dolori accettati, di cui sopra abbiamo parlato. Perciò la passione di Cristo non solo fu sufficiente per i peccati del genere umano, ma addirittura sovrabbondante, secondo le parole di S. Giovanni: «Egli è propiziazione per i nostri peccati, e non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo» (1 Gv. 2, 2) 

La redenzione dell’uomo mediante la passione di Cristo era consona sia alla misericordia che alla giustizia di Dio. Alla giustizia, perché Cristo con la sua passione riparò il peccato del genere umano: e quindi l’uomo fu liberato dalla giustizia di Cristo. Alla misericordia, perché non essendo l’uomo, di per sé, in grado di soddisfare per il peccato di tutta la natura umana, come sopra abbiamo visto [III, q. 1, a. 2, ad 2], Dio gli concesse quale riparatore il proprio Figlio, secondo l’insegnamento paolino: “(Tutti) sono giustificati gratuitamente per la grazia di lui mediante la redenzione in Cristo Gesù, che Dio ha prestabilito quale propiziatore, per via della fede in lui” [Rm. 3, 24]. E ciò fu un atto di maggiore misericordia che il condono dei peccati senza nessuna soddisfazione. Di qui le parole di S. Paolo [Ef. 2, 4-5]]: “Dio, che è ricco di misericordia, per il grande amore che ci portava, mentre eravamo morti per i peccati, in Cristo ci richiamò alla vita” 


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