Luigi Giussani. Il cristianesimo non è una religiosità solita


Anzi, io mi sono corretto mentre parlavo, volevo dire che il cristianesimo non è una "religione" (ma non è del tutto giusto questo, è troppo complicato difenderlo). Il cristianesimo non si presenta come una religiosità di cui non si sentono influssi, pretese, aiuti, delusioni, nella vita quotidiana ("nella vita quotidiana": ma già questo è un debordare nella pretesa che una religione deve avere). Cristo, comunque, non è un profeta, un parlatore che richiami la gente a qualcosa che a lui prema. Meglio, la religiosità propria del cristianesimo svela che il problema dell'uomo non è tanto ciò che, rendendosi ostile alla sua vita, viene indicato come tale, perciò odiato, eluso o escluso, o che, se è interessante per la sua vita, viene adottato come alternativa ad altre cose (così che si ha, da una parte, il "problema religioso" e, dall'altra, la vita). Io vorrei, insomma, sottolineare che la cosa che mi ha fatto più colpo di ciò che si è detto è che il problema della vocazione è il problema della vita, non del rapporto con Dio, con Cristo; immediatamente è il problema della vita. E Cristo interessa noi più di tutti gli altri innanzitutto perché tutto quel che dice, tutto quel che fa è espressione di una volontà di risposta alla vita. Questa è la prima cosa che, così come l'ha detta Carrón, rende quasi passabili le frasi che ho detto prima: che il cristianesimo non è una religione e che Cristo non è un profeta. Cristo è un uomo, è un uomo che non si può sentire o che non si può incontrare, con cui non si può stare, se non in una febbre di vita, in una volontà di vita, in un gusto della vita, nella passione per la vita. Perciò c'entri tu con lui, tu. Sei tu che c'entri con Cristo. Ma tutto tu. Dico che questa è la prima cosa per cui il cristiano è qualificato; squalificato nel mondo, ma qualificato (uno si "qualifica", via!) da chi lo conosce, da chi si interessa.

LUIGI GIUSSANI, settembre 1999

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