Lunedì della XX settimana del Tempo Ordinario. Approfondimenti







APPROFONDIMENTI


Benedetto XVI. Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?



La vita e la felicità secondo Dio. San Francesco




La vita e la felicità secondo il demonio. Il Professor Keating






Il professor Keating e la differenza tra sogno e memoria
Don Giussani


Proponiamo le parole di don Luigi Giussani, tratte da "Realtà e giovinezza, la sfida" a proposito del professor
Keating, il personaggio interpretato da Robin Williams ne "L'attimo fuggente" di Peter Weir (1989).

"L'insegnante nel film comunicava per pressione osmotica. Ma non c'era un'esperienza che comunicava, tanto è
vero che non ne dava le ragioni. È la ragione infatti che fonda la dignità dell'esperienza e ne dà l'ossatura. Il cuore
dell'esperienza è affettivo ma la struttura dell'esperienza è data dalla ragione. Quell'insegnante non ha dato una
sola ragione, tutti erano commossi e tutti erano furibondi contro i genitori che avevano provocato indirettamente
il suicidio del giovane mentre l'assassino era stato l'insegnante. I genitori sbagliavano ma erano molto più
scusabili perché difendevano un dato, una memoria mentre quell'individuo propalava un sogno. Dico questo
perché da qualche tempo continua a ritornarmi in mente la differenza fra sogno e memoria. Il sogno è come un
impeto di energia che in modo affascinante si pone e velocemente si riassorbe e si dissolve. Invece la memoria è
tutta costituita di fatti del passato che come tasselli si uniscono in un organismo che crea il presente. Il presente è
costituito di tutti i fatti del passato?"

© Il Sussidiario



Ucciso da un "vuoto" cattivo che imita lo sguardo dell'amore

Mauro Leonardi


È morto Mork. Se non eri ragazzino negli anni 70 quando la tv dei ragazzi era solo il pomeriggio, non mi capisci.
È morto Mork di "Mork § Mindy". È morto Robin Williams. Wikipedia è già aggiornata con i verbi al passato e
dice suicidio molto probabile. La riga sopra capisci quali sarebbero i motivi, perché negli ultimi anni il suo
successo era molto diminuito e andava in televisione per soldi: come pagare Messi per farlo palleggiare a Porta a
Porta. Il mio cuore però è più duro di Wikipedia e fa un po' più di fatica ad aggiornarsi. Tempo fa Robin aveva
detto che da morto voleva essere ricordato per le risate che ci aveva fatto fare. Ma perché quelle risate non le hai
ricordate anche tu Mork? Perché l'affetto della gente di tutto il mondo, non ti ha fatto sorridere e non ti ha
fermato?
All'ora del cappuccino Francesca, la barista, ha detto: "Sembra che hanno tutto e poi finiscono così. Perché avere
tutto non è tutto". E io, oggi, con quelle parole ho cercato di aggiornarmi il cuore e di stare vicino a Robin
Williams perché se n'era andato e non potevo richiamarlo con un tiro di dadi come in Jumanji. Mi sembrava
impossibile averlo sentito di famiglia per tutta la vita e adesso che moriva in quel modo, che non mi dicesse
niente. Cos'hai da dirmi "capitano, mio capitano"? Perché Robin Williams era vicino, non era l'attore sogno,
quello coi pettorali impossibili, il fisico da urlo e lo sguardo assassino che o ci nasci o non lo diventerai mai. Per le
mie coetanee Robin Williams non era da poster in camera ma aveva conquistato il cuore di molte, anche il mio.
Aveva scelto di cimentarsi in film molto diversi, da Popeye a L'attimo fuggente come solo un vero attore sa fare. I
suoi occhi, il suo viso, era espressivo pure sotto le maschere da donna indossate in Mrs Doubtfire. "Avere tutto
non è tutto" dice la barista, ma non so cosa c'è di vero perché tu, Robin, avevi tutto ma non sei morto per quello.
Se "tutto" c'entra col conto in banca, la barca o le belle donne, non sei stato un tipo così. Da rotocalco e da gossip.
Se "tutto" sono tutti i soldi che servono per godersi la vita, secondo me non c'entra con la tua morte.
Se invece "tutto" è il successo dell'attore di successo, allora sì, ci siamo: ma il problema non è il successo. È il
vuoto di successo. È quando il successo manca, è il vuoto dopo il successo, che ci ammazza. Io non so Robin cos'è
accaduto, non voglio parlare del tuo suicidio che manco è sicuro. Nessuno, se non parente o medico, potrebbe dire
qualcosa. E forse neanche loro. Forse neanche tu, perché i suicidi sono dei potenti e distruttivi punti di domanda
senza risposta. Il mio problema è come, in questa cosa della tua morte, riesci a starmi vicino.
Tu che mi sei stato vicino sempre, perché proprio ora mi lasci? Ma se è così, Robin, se è vero che ti ha ucciso il
vuoto dopo che è passato il successo, allora il mio cuore riparte perché ti ritrovo. Ti scopro ancora che sei come
me, perché abbiamo tutti la nostra asticella da saltare, la nostra tacca al muro da superare, e quando ci manca,
ecco lì il vuoto. È il lavoro, il successo professionale, il giro di parco in più di corsa la mattina. È mio figlio, che ha
15 anni e già da due l'ho mandato in America a farsi le ossa, e il prossimo ce lo mando ad 11, e un altro ce lo
spedisco dalla sala parto. Perché "stare sotto i riflettori" non è una metafora, è proprio "luce" e lo capiamo tutti
perché ognuno di noi ha il suo quarto d'ora di gloria nella vita, e non è una metafora. Anch'io Robin sono capace
di raccontare e raccontarmi mille volte il mio momento di gloria. Cosa deve essere, rispetto alla mia, una vita da
Oscar, da attore amato? Una vita da uomo di successo?
Mi è difficile capirlo, ma capisco che dipendiamo dagli altri, dallo sguardo degli altri e che siamo tutti da
riabilitare come te che eri appena uscito da una clinica. Diciamo che vogliamo il cuore di qualcuno ma poi forse ci
accontentiamo solo dello sguardo di questo qualcuno, e non è la stessa cosa. Ma è facile sbagliarsi, è capitato a te,
Robin, capita a tutti, a me tantissimo. Perché la fama, il successo, imitano lo sguardo dell'amore, ma non sono
l'amore. Sono solo lo sguardo. Nel successo non c'è il cuore, ma solo lo sguardo della fama. E se si spegne questa,
se si chiude lo sguardo, può sembrare che manchi anche il cuore, l'amore. E se manca l'amore, manca la vita.

© Il Sussidiario



Ecco perché Peter Pan e il prof. Keating non lo hanno salvato

Gianluca Zappa


Quando muore una star, specialmente poi se in modo tragico, come Robin Williams, si corre il rischio di fermarsi
al sentimento, reagendo in modo epidermico. Se poi è una star del cinema, il rischio è anche un altro: quello di
sovrapporre l’uomo col suo vissuto ai personaggi che ha interpretato. Sappiamo che non si può fare: per restare
in tema di attori comici (e spostarci in casa nostra) il nobiluomo Antonio De Curtis era molto diverso, nella vita
quotidiana, dal personaggio di Totò; era molto più chiuso e poco divertente. E Alberto Sordi non era certo quel
figlio di buona donna di molti suoi indimenticabili personaggi.
Con Robin Williams non si deve fare eccezione. Si potrà ricordarlo nei panni di Peter Pan, del prof. Keating, di
Mrs. Doubtfire, di Patch Adams, sempre però tenendo presente che lui, Robin, era un’altra cosa, un’altra persona.
Questo ci aiuta anche ad affrontare il contraccolpo del suo suicidio: era un uomo come tanti, non il personaggio di
una commedia costruito sulla base di una precisa sceneggiatura. Non possiamo scambiare la realtà con la
finzione.
Detto questo, va però aggiunto che nel caso specifico l’uomo e il personaggio si avvicinano molto, almeno nel
desiderio. Robin Williams viene descritto da tutti come un filantropo, un umanitario, e dobbiamo dire che molti
dei suoi personaggi dimostrano una particolare attenzione ai problemi e ai dolori degli altri. I suoi film (per la
maggior parte) toccano temi importanti e non sono mai banali. Ne L’attimo fuggente si affrontano i desideri
degli adolescenti, il loro difficile rapporto col mondo degli adulti, il bisogno di avere una guida, un maestro (come
bene rilevava Beppe Severgnini sul Corriere); Goodmorning Vietnam si cala nella tragedia della guerra; Mrs.
Doubtfire entra nel dramma delle coppie separate e dei loro figli; Patch Adams si prende carico dei dolori dei
bambini malati; lo stesso Hook è ricco di significati e di spunti che ne fanno qualcosa di più di una rivisitazione
di Peter Pan (non ultimo, ancora una volta, il rapporto genitori-figli). Un film come Al di là dei sogni si confronta
poi con le grandi domande dell’uomo di fronte al mistero della morte.
Difficile credere che l’attore si sia solo limitato a subire dei personaggi che gli venivano imposti. Leggo che
almeno in un caso (quello di Mrs. Doubtfire) si attivò per cambiare il finale del film (che i produttori avrebbero
voluto con una rassicurante restaurazione dell’unità familiare), in quanto secondo lui sarebbe stato irrealistico e
avrebbe ingenerato false speranze nei figli dei divorziati.
Insomma, Robin Williams c’entrava coi suoi personaggi, voleva dire qualcosa alla gente attraverso di essi. La sua
comicità è didattica, contiene un messaggio, una proposta. E allora vale la pena di chiedersi quale sia questa
proposta. Forse non tutti ricordano il nichilismo del prof. Keating, che ripete ai suoi ragazzi “siamo cibo per
vermi”, solo questo e nient’altro.
A partire da un tale nichilismo, la proposta è quella di spendersi per gli altri, di fare qualcosa per essi, per
alleviare la loro sofferenza e anche per cercare di dare un senso al desiderio di felicità che l’uomo si porta dentro.
E’ la religione dell’umanità, quella dei personaggi di Williams, che vivono in una dimensione orizzontale. Lo
stesso invito al carpe diem vuole essere un rimedio a vivere con intensità la vita finché si può farlo, coscienti che
presto questo sarà impossibile.
Quando c’è bisogno di una risposta metafisica, il personaggio di Williams può solo regalare un’illusione, un
sogno, senza ragioni, e il suo sorriso è mesto, se non triste, come se ci fosse dentro la coscienza di uno scacco.
Bisogna accontentarsi: di un padre-mammo che non può più essere padre; di una vita che non può essere piena
come si desidera; di credere nelle fate, anche se le fate non esistono.
Nel momento culminante di Hook, Capitan Uncino profetizza al ritrovato Peter Pan che il giorno dopo si
sveglierà, ritrovandosi alcolizzato e ossessionato dal successo (una frase che fa impressione, se si pensa alla fine di
Williams). Peter reagisce e vince perché ha intorno persone che dicono di credere in lui. Bello. Ma come si fa a
volare con i propri pensieri felici, quando si sta nella depressione?
E di fronte alla morte, qual è la risposta? Cosa c’è di là? L’oltretomba inquietante di Al di là dei sogni, figlio di
una metafisica molto new age? Può essere una risposta alla propria morte e a quella dei propri cari (compreso il
suicidio di una moglie)?
La ricetta dei personaggi di Robin Williams non salva dalla depressione e dalla disperazione. Si può riscoprire il
Peter Pan che c’è dentro di sé e in un momento di euforia gridare che la vita è un’avventura meravigliosa. Ma la
vita, quella vera, con le sue contraddizioni e la sua pesantezza, richiede una speranza molto grande e piena di
ragioni (e non esiste nessuna polverina magica da spargersi addosso). Si può fare il mammo sorprendente e
divertente, ma “divorziare è costoso - sono parole dell’attore – ti svuota il cuore attraverso il portafoglio”.
La religione dell’umanità fallisce, con un sorriso triste. Lo stesso indimenticabile sorriso di Robin e dei suoi
personaggi.

© Il Sussidiario.



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