14 Maggio. San Mattia Apostolo



Non è vero che non potremo mai essere felici. Non è vero che ci sarà sempre e solo da soffrire. Siamo nati per una gioia piena, qui ed ora. Eppure qualcosa in noi protesta dinanzi a questa affermazione. La realtà delle nostre esistenze ci fa ripiombare nel pessimismo, in quella sottile accidia che invelenisce le nostre ore, come quelle di questa società, dove non c'è spazio per la gioia. Siamo tutti in servizio permanente dell’ira; sempre di corvée alle pentole dell’indignazione. Il piacere a tutti i costi è l'unica forma di gioia consentita, condita da quel sarcasmo ironico e dissacrante che irride tutto e tutti. Ma di "gioia piena" nessuna traccia. Dov'è la gioia nel tuo matrimonio? E nel tuo lavoro, nello studio, nell'amicizia, nel ministero, nell'essere madre, padre, figlio? Dov'è la gioia nella tua malattia, nella precarietà, nella persecuzione? Se non c'è, significa che non ami, perché la gioia piena è l'abito più bello dell'amore, il suo frutto più squisito, l'anello nuziale che lega lo Sposo alla sposa. Non c'è amore autentico senza gioia piena. E se non ami è perché non hai ancora conosciuto l'amore di Cristo. Solo chi ha sperimentato nella sua vita l' "amore più grande" di Cristo che "ha dato la sua vita per i propri amici", è "ricolmo di gioia, anche se ora deve essere, per un po’ di tempo, afflitto da varie prove" (1 Pt. 1,6). Non può essere gioioso chi non si sente "amico" di Cristo! Chi si sente suo estraneo, infatti, sentirà estranei anche tutti quelli che gli sono vicini, e vivrà come estranea la storia che Dio ha preparato per lui. Non si donerà a nessuno, non entrerà negli eventi con amore. Continuerà ad essere un "servo che non sa quello che fa il suo padrone” e vivrà tutto come un obbligo, a volte con più trasporto e voglia, più spesso con disinteresse e superficialità. Guarda che è per questo che tuo figlio non studia, che il lavoro ti è pesante, che il matrimonio pare soffocarti, che un altro figlio ti sembra una pazzia. Non così è stato per Chiara Corbella, ad esempio, che ha offerto la sua vita per dare alla luce il figlio che portava in grembo. Malata di tumore non si è curata per non compromettere la gravidanza e la salute di suo figlio. Proprio a lui aveva scritto: "Se starai amando veramente te ne accorgerai dal fatto che nulla ti appartiene veramente perché tutto è un dono. Noi abbiamo amato i tuoi fratelli, Maria e Davide, ed abbiamo amato te sapendo che non eravate nostri, che non eravate per noi. E così dev'essere tutto nella vita, tutto ciò che hai non ti appartiene perché è un dono che Dio ti fa perché tu possa farlo fruttare". Ecco, per Chiara quel figlio apparso nel suo seno, era l'amico per il quale dare la propria vita. Così lo ha amato, avendo cura del dono che era quella vita, e così la sua, avviata verso la morte, "ha portato un frutto che rimane", quella vita destinata al Cielo, e la testimonianza nel cuore di tantissimi. E oggi Gesù viene per ridestarci al dono che ci "costituisce", spandendo su ciascuno di noi lo stesso "olio di letizia" con il quale è stato "unto" Lui, "a preferenza dei suoi eguali". Viene a ancora a rinnovare l'elezione del Padre, gratuitamente, come accadde chiaramente all'apostolo Mattia, chiamato dopo la Pasqua come "frutto" squisito della sua risurrezione, immagine dell'apostolo  rinato nella misericordia, che ha preso il posto di Giuda "in questo ministero", immagine di quelli che, come noi, hanno "accolto" e seguito un altro pastore, disprezzando, rinnegando e "abbandonando" la primogenitura, "per andare al luogo che - guarda un po' - si è scelto". Con amore infinito il Signore viene a "sceglierci" di nuovo, nonostante noi "non abbiamo scelto Lui". Viene a farci "cristiani", a riversare in noi il suo Spirito, l'olio della gioia, l'amore con il quale "il Padre ama Lui". In esso siamo stati creati, e non c'è altra gioia piena che sperimentare questo amore e spanderlo a nostra volta, perché "questa è la nostra missione", secondo il significato originale del termine "comandamento": "che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati". Come ci ha amati? "Come il Padre ha amato Lui", ovvero donandosi completamente, offrendoci la sua vita, il suo cuore, il suo pensiero, le sue attitudini, i suoi sentimenti, le sue parole, i suoi segreti: "tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi". Ci ha amati aprendoci il suo cuore, perché potessimo conoscere la Verità, e in essa vedere la storia, discernere la volontà d'amore del Padre, e il suo giudizio di misericordia su ogni uomo. Per questo ci chiama a "rimanere nel suo amore", dove ogni evento, ogni istante della nostra vita, ogni relazione risplende nell'amore di Dio; dove siamo unti della stessa sua unzione, ovvero "costituiti perché andiamo" nel mondo, da chi ci è vicino, “amici” di Gesù e nostri, "e portiamo frutto e il nostro frutto rimanga”. Lo stesso "frutto" dell'olivo, l'olio profumato che "scendeva sulla barba di Aronne" - immagine di Cristo - sino al lembo della sua veste" - immagine della comunità dei suoi "amici", unita al suo capo dalla fragranza, dalla bellezza e dalla gioia della comunione e dell'amore fraterno. I frutti che "rimarranno" nella vita di chi incontreremo: l'amore e la gioia che nascono sui rami della Croce, perché solo da lì si entra nella Vita eterna e si è davvero fecondi. E, dalla Croce, intercedere per ogni uomo, in qualunque situazione si trovi, nella certezza che "tutto quello che chiederemo crocifissi con Lui, ovvero nel suo nome, il Padre lo concederà", perché non potrà negarlo agli "amici" di suo Figlio.  


L'ANNUNCIO
Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri.  (Dal Vangelo secondo Giovanni 15, 9-17)





    

Non è vero che non potremo mai essere felici. Non è vero che ci sarà sempre e solo da soffrire. Non è vero quello che scriveva Saffo: "Ermes, io lungamente ti ho invocato. In me è solitudine: tu aiutami, despota, ché niente da sé non viene; nulla m’allieta tanto che consoli". Siamo nati per una "gioia piena", qui ed ora, che sarà poi misteriosamente e infinitamente colmata in Cielo: "Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena". Eppure qualcosa in noi protesta dinanzi a questa affermazione. Il dolore, le angosce, le pene, le malattie, l'orrore per la violenza, le cronache che ci mostrano un mondo sporcato sin dentro al divertimento, lo sport, lo svago; tutto ci accerchia, e le parole di Gesù sembrano stonare. Inizialmente forse le accogliamo con gratitudine ed entusiasmo, ma poi, la realtà delle nostre esistenze ci fa ripiombare nel pessimismo, in quella sottile accidia che invelenisce le nostre ore. In questa società non c'è spazio per la gioia; siamo tutti adirati, costantemente. Il piacere a tutti i costi è l'unica forma di felicità, di gioia consentita: canne e sesso sono a buon mercato; gadget tecnologici che solleticano istinti primordiali, "device" che sembrano connetterci con ogni piacere sognato. Ma anche questi, una volta sfiorati, mostrano il loro sorriso satanico. Spesso, e forse mai come in questa epoca, esso appare in quel sarcasmo ironico e dissacrante che irride tutto e tutti. La satira che graffia il cuore, che sporca il pensiero, quello strano meccanismo per cui tutto deve essere oggetto di una goffa comicità che relativizza e anestetizza la serietà della vita. E' l'impossibilità di prendere sul serio la vita, la paura di entrare nella realtà che si cerca di esorcizzare con battute e ironie di bassa lega. I giovani ne sono intrappolati, gli adulti e gli anziani si sbellicano dalle risate davanti alla televisione. Ma di "gioia piena" nessuna traccia. Dov'è la gioia nel tuo matrimonio? Dov'è la gioia nel tuo lavoro, nello studio, nell'amicizia, nel ministero, nell'essere madre, padre, figlio? Dov'è la gioia nella tua malattia, nella precarietà, nella persecuzione? Se non c'è, significa che non ami, perché la gioia piena è l'abito più bello dell'amore, il suo frutto più squisito, l'anello nuziale che lega lo Sposo alla sposa. Non c'è amore autentico senza gioia piena. E se non ami è perché non hai ancora conosciuto l'amore di Cristo. Attenzione allora, perché quando si perde la gioia del cuore, significa che siamo ammalati; è un segnale che il nostro cuore è rimasto a secco d'amore, e si è chiuso nell'egoismo. Non si può aver conosciuto Cristo e non essere pienamente gioiosi: "Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la mèta della vostra fede: la salvezza delle anime" (1 Pt. 1,8-9). Ecco perché non c'è gioia nella nostra vita: siamo in pericolo, camminiamo su un burrone, abbiamo paura di caderci. Non siamo salvi! Non abbiamo sperimentato che, "nella sua grande misericordia, Dio ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per un’eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce" (1 Pt. 1,5). Solo chi ha sperimentato nella sua vita l' "amore più grande" di Cristo che "ha dato la sua vita per i propri amici", è "ricolmo di gioia, anche se ora deve essere, per un po’ di tempo, afflitto da varie prove" (1 Pt. 1,6). Non può essere gioioso chi non si sente "amico" di Cristo! Chi si sente suo estraneo, infatti, sentirà estranei anche tutti quelli che gli sono vicini, fossero anche il coniuge o i figli; vivrà come estranea la storia che Dio ha preparato per lui, il lavoro e la malattia non diventeranno mai carne della sua carne e sangue del suo sangue. Non si donerà per nessuno, non entrerà negli eventi con amore e per amore. Continuerà ad essere un "servo che non sa quello che fa il suo padrone". Vivrà tutto come un obbligo, a volte con più trasporto e voglia, più spesso con disinteresse e superficialità. Guarda che è per questo che tuo figlio non studia, che il lavoro ti è pesante, che il matrimonio pare soffocarti, che un altro figlio ti sembra una pazzia. Non così è stato per Chiara Corbella, ad esempio, che ha offerto la sua vita per dare alla luce il figlio che portava in grembo. Malata di tumore non si è curata per non compromettere la gravidanza e la salute di suo figlio. Proprio a lui aveva scritto: "Se starai amando veramente te ne accorgerai dal fatto che nulla ti appartiene veramente perché tutto è un dono. Noi abbiamo amato i tuoi fratelli, Maria e Davide, ed abbiamo amato te sapendo che non eravate nostri, che non eravate per noi. E così dev'essere tutto nella vita, tutto ciò che hai non ti appartiene perché è un dono che Dio ti fa perché tu possa farlo fruttare". Ecco, per Chiara quel figlio apparso nel suo seno, era l'amico per il quale dare la propria vita. Così lo ha amato, avendo cura del dono che era quella vita, e così la sua, avviata verso la morte, "ha portato un frutto che rimane", quella vita destinata al Cielo, e la sua testimonianza nel cuore di tantissimi. Invece noi abbiamo banalizzato l'amore. Su "Il Foglio" Annalena Benini lo descriveva bene: "Lei ormai chiama tutti “amore”, anche le sue amiche, anche la cassiera del bar, anche l’antennista appena salito sul tetto. Al telefono si è sbagliata, e ha chiamato “amore” l’ex marito: lo detesta, ma non è riuscita a mordersi la lingua in tempo. Sono tutti “tesoro” e “amore mio”.E' un modo per stare allegri, dicono in Gran Bretagna, per essere meno rigidi. Anche il bacio con lo schiocco a ogni incontro, a ogni presentazione; e sempre più spesso un abbraccio vigoroso, avvolgente, quello che magari non abbiamo mai dato a nostro padre in tutta la vita adesso è un modo gentile di dirsi ciao. Come nelle mail e nei messaggi, che chiudiamo sempre con: baci, amore, faccette innamorate con gli occhi a cuore, e magari è un sms al commercialista. Ma l’amore ci ha preso la mano, e i saluti non bastano più. Le nostre comunicazioni sono piene di affetto, anche finto: si scrive “ti amo tanto” alla compagna di scuola su Facebook, si urla “ti amo” al telefono in treno a un amico che ha acconsentito a venirci a prendere in stazione. Tutti meritano una dichiarazione d’amore, anche i nemici, e un abbraccio si può velocemente trasformare in una lotta nel fango". E' proprio così, abbiamo verniciato di marmellata o di peperoncino le nostre relazioni, e ci siamo trovati soli, obbligati a "servire" le sensazioni che scambiamo per amore, mentre restiamo estranei gli uni gli altri, anche con le persone più vicine. Non c'è da stupirsi se i legami si sciolgono come neve al sole. E oggi Gesù viene per ridestarci al dono che ci "costituisce", spandendo su ciascuno di noi lo stesso "olio di letizia" con il quale è stato "unto" Lui, "a preferenza dei suoi eguali". Viene a ancora a rinnovare l'elezione del Padre, gratuitamente, come accadde chiaramente all'apostolo Mattia, chiamato dopo la Pasqua come "frutto" squisito della sua risurrezione, immagine dell'apostolo rinato nella misericordia, che ha preso il posto di Giuda "in questo ministero", immagine di quelli che, come noi, hanno "accolto" e seguito un altro pastore, disprezzando, rinnegando e "abbandonando" la primogenitura, "per andare al luogo che - guarda un po' - si è scelto". Con amore infinito il Signore viene a "sceglierci" di nuovo, nonostante noi "non abbiamo scelto Lui". Viene a farci "cristiani", a riversare in noi il suo Spirito, l'olio della gioia, l'amore con il quale "il Padre ama Lui". In esso siamo stati creati, e non c'è altra gioia piena che sperimentare questo amore e spanderlo a nostra volta, perché "questa è la nostra missione", secondo il significato originale del termine "comandamento": "che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati". Come ci ha amati? "Come il Padre ha amato Lui", ovvero donandosi completamente, offrendoci la sua vita, consegnandoci tutto se stesso, la sua vita, il suo cuore, il suo pensiero, le sue attitudini, i suoi sentimenti, le sue parole, i suoi segreti: "tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi". Ci ha amati aprendoci il suo cuore, perché potessimo conoscere la Verità, e in essa vedere la storia, discernere la volontà d'amore del Padre, e il suo giudizio di misericordia su ogni uomo. Per questo ci chiama a "rimanere nel suo amore", dove ogni evento, ogni istante della nostra vita, ogni relazione risplende nell'amore di Dio; dove siamo unti della stessa sua unzione, ovvero "costituiti perché andiamo" nel mondo, "e portiamo frutto e il nostro frutto rimanga". Lo stesso "frutto" dell'olivo, l'olio profumato che "scendeva sulla barba di Aronne" - immagine di Cristo - sino al lembo della sua veste" - immagine della comunità dei suoi "amici", unita al suo capo dalla fragranza, dalla bellezza e dalla gioia della comunione e dell'amore fraterno. Questo stesso olio è quello che ci fa "andare" sino ai confini della terra, che spesso sono il carattere e i difetti dell'altro, "amico" di Gesù e nostro: "Lo spirito del Signore è su di me; perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati” (Is 61,1). Così, se "rimaniamo nell'amore del Signore" porteremo frutti che "rimarranno" nella vita di chi ci è accanto: l'amore e la gioia che nascono sui rami della Croce, perché solo da lì si entra nella Vita eterna e si è davvero fecondi. La "perfetta letizia" che gustava San Francesco nell'amore a Cristo, sovrabbondanza dell'amore di Cristo per Francesco: "Ecco, io torno da Perugia e, a notte profonda, giungo qui, ed è un inverno fangoso e così rigido che, alI'estremità della tonaca, si formano dei ghiacciuoli d'acqua congelata, che mi percuotono continuamente le gambe fino a far uscire il sangue da siffatte ferite. E io tutto nel fango, nel freddo e nel ghiaccio, giungo alla porta e, dopo aver a lungo picchiato e chiamato, viene un frate e chiede: "Chi è?". Io rispondo: "Frate Francesco". E quegli dice: "Vattene, non è ora decente questa, di andare in giro, non entrerai". E poiché io insisto ancora, I'altro risponde: "Vattene, tu sei un semplice ed un idiota, qui non ci puoi venire ormai; noi siamo tanti e tali che non abbiamo bisogno di te". E io sempre resto davanti alla porta e dico: "Per amor di Dio, accoglietemi per questa notte". E quegli risponde: "Non lo farò. Vattene al luogo dei Crociferi e chiedi là". Ebbene, se io avrò avuto pazienza e non mi sarò conturbato, io ti dico che qui è la vera letizia e qui è la vera virtù e la salvezza dell'anima" (Fonti Francescane). Francesco aveva scoperto il segreto della gioia: essere crocifisso, per amore, con Cristo. E, dalla Croce, intercedere per ogni uomo, in qualunque situazione si trovi, nella certezza che "tutto quello che chiederemo crocifissi con Lui, ovvero nel suo nome, il Padre lo concederà", perché non potrà negarlo agli "amici" di suo Figlio. 




APPROFONDIMENTI













αποφθεγμα Apoftegma


 "La massa degli uomini è stata costretta ad essere allegra per le piccole cose, triste per le grandi. Nondimeno […] ciò non è nella natura dell’uomo. L’uomo è più se stesso, è più umano, quando in lui la gioia è fondamentale e il dolore superficiale. […] Il pessimismo è tutt’al più una mezzafesta della commozione; la gioia è il lavoro tumultuario per cui vivono tutte le cose" (G.K. Chesterton)


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