Venerdì della IV settimana del Tempo di Pasqua



Anche oggi, probabilmente, ci siamo svegliati con un peso sul “cuore”, come quando a scuola avevi un’interrogazione, o un’esame all’università; qualunque cosa facessi quel brusio di fondo gracchiava e sporcava le note dei giorni. Siamo "turbati", e il nostro cuore non riesce proprio a riposare, con la precarietà che ci avvolge come una cappa di smog. E, da qualunque parte la si guardi, la precarietà è sempre quella di non avere “un posto” dove "essere" noi stessi, in modo unico e inequivocabile. Per questo spendiamo la vita per trovare e conquistarci “un posto” nel cuore degli altri, nella società, a scuola, sul lavoro, nella Chiesa; un posto sicuro che ci definisca e ci strappi all'anonimato che spegne gioie e speranze. Ma, non trovandolo, abbassiamo sempre di più l’asticella, spegniamo i desideri alti per rintanarci in “beni rifugio”, che sembrano oro ma sono volgare paglia che, alla luce effimera delle concupiscenze, appare dorata. Ma in fondo fuggiamo sempre la "verità", perché di fronte ad essa il “cuore” è preda del “turbamento” e non possiamo stare laddove la storia ci depone; la minaccia della delusione, della morte, della solitudine, tutto quello che Gesù aveva appena annunciato ai discepoli, ci fa paura e così non possiamo stare nella volontà di Dio. Quando la vita si rivela come un Getsemani dischiuso sulla Croce, ci scandalizziamo perché l’esperienza del peccato ci ha fatto conoscere la morte, e ora non c’è nulla da fare, dobbiamo sfuggire tutto quello che porta con sé il suo odore acre. Non c’è “via” di scampo; l’unica “verità” che conosciamo è che nella Croce c’è la morte e non la “vita”. Ma all’origine di questo c’è una serie di fraintendimenti ed equivoci. Sul “cuore” innanzitutto. Siamo “turbati nel cuore”, e pensiamo che si tratti di ansie e sofferenze legate agli affetti, passioni, sentimenti. Il “cuore”, invece, nella Scrittura, è la “mente”, il centro della vita personale, l’io per intenderci, laddove alberga la coscienza, la sede della volontà; nel “cuore” decidiamo cosa fare, se scegliere il bene o il male. Nel cuore siamo noi e noi soltanto, liberi per aprirci alla volontà di Dio oppure no. Il “cuore” è sì l’origine delle relazioni, ma non nel senso moderno al quale siamo abituati: ciò significa che nel “cuore” decidiamo in tutta libertà come metterci in rapporto con gli altri e le situazioni della vita. C’è anche il sentimento, ma non è fondante, piuttosto è autentico solo se non fagocita l’intelligenza illuminata dalla “fede”. Per questo Gesù dice agli apostoli e a tutti noi di “non essere turbati nel cuore, ma di avere fede in Dio e in Lui”. Non permettere, ci dice, che laddove tu sei unico e libero, laddove tu sei la persona che sei, con la tua intelligenza, la tua volontà e i tuoi sentimenti, che nel tuo “cuore” si insinui il “turbamento”, ovvero il “dubbio”. Abbi piuttosto “fede”, che in ebraico si dice “emunah”, da cui deriva la parola “amen”; significa “essere stabili”, “appoggiarsi stabilmente”. La “fede”, dunque, è l’antidoto al “turbamento”, ed è qualcosa di profondamente esistenziale e concreto: infatti Gesù dice di “avere fede in Dio e in Lui”: appoggiati saldamente, sino ad unirsi a loro. Oggi, di fronte alle situazioni difficili, quando ti sentirai senza “un posto” dove essere, “non turbarti”, cioè non scappare, ma “appoggiati in me”, resta in me, e vedrai che scoprirai il tuo “posto” proprio in quello che pensavi che ti togliesse la vita e l’essere. Accostati alla Parola, nutriti con i sacramenti, non allontanarti dalla comunità e dal tuo movimento, dal gruppo e dalla parrocchia, non chiuderti in te stesso ma chiedi aiuto ai pastori e ai catechisti e responsabili della tua iniziazione cristiana e del tuo percorso spirituale, perché nella Chiesa tu possa essere gestato alla "fede" adulta. La “fede”, infatti, è l’esperienza che possiamo fare “nel cuore”, consegnando la nostra volontà a Cristo, “leggendo” così oltre la buccia degli avvenimenti la volontà di Dio, per gustare anche con i sentimenti la pienezza della gioia. Gesù è risorto! E’ “andato” sulla Croce, è sceso nel sepolcro, ed entrando nel Paradiso ci ha "preparato un posto". In Cielo c'è il tuo posto, riservato, nessuno te lo può togliere; hai un abbonamento valido per l'eternità, per godere della beatitudine di chi vede Dio. Ed è “tornato” e oggi è dinanzi a te e me, per “prenderci e portarci dove Lui è”, giorno dopo giorno nelle "tante dimore" che sono "nella casa del Padre"; "tante" quanti sono i tuoi giorni e le loro croci; tante quanto le pene e le sofferenze; "tante" perché ciascuna sarà, in Cristo, trasformata nella cella del vino, la stanza più intima dove gustare la sua intimità. La sua Pasqua ha aperto la “via” alla “vita” che non si esaurisce, facendo di ogni passo che ci attende, doloroso, faticoso, frustrante e senza consolazioni, la “verità”, l’unica, che ci definisce e dà senso a ciascuno di noi. Ciò significa che, proprio perché ci ha “preparato un posto” in Cielo, è “tornato” per farci “essere”, con un'identità unica, insieme a Lui qui sulla terra in ogni “posto” nel quale siamo chiamati a vivere. Così, ogni istante e ogni luogo è il nostro “posto” dove essere nella “verità”, ossia in Cristo, amando in Lui, perdonando in Lui, offrendoci in Lui. Il “turbamento” è sempre figlio della superbia che ci incatena alla paura di morire, e ci impedisce di "conoscere" nel cuore, "dove Gesù dimori e la via per andarci". Ma Cristo è risorto, allora possiamo dire “Amen”, che è proprio “avere fede” in Lui; Cristo è “tornato”, è vivo, la morte è stata vinta, ed è l’unica “verità”, Cristo risorto, vivo in te e in me oggi, che ci fa camminare sulla “via” della storia, salendo sulla Croce che ci aspetta, la crisi di tua moglie per esempio, per passare alla “vita” piena, che è l’intimità della “casa del Padre”. Gli atri del Paradiso, infatti, non sono lontani, ma vicinissimi: hanno il colore degli occhi di tua moglie, le pareti ruvide dell’adolescenza di tuo figlio, vi si odono le voci di chi ti è accanto, sono bagnati dalle lacrime della malattia. Sono “il posto” di Cristo qui sulla terra, la tua vita e la tua storia, cammino vero per entrare nella vita eterna, la vita divina della Trinità.


QUI IL COMMENTO COMPLETO E GLI APPROFONDIMENTI







L'ANNUNCIO
«Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l'avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io. E del luogo dove io vado, voi conoscete la via». Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. (Dal Vangelo secondo Giovanni 14, 1-6)





Che cosa oggi "turba il nostro cuore"? Perché sei infelice e non trovi pace in nulla? Ti sei sposato, hai superato un esame, ti hanno riconosciuto un aumento di stipendio, hai fatto l’amore con tuo marito ed è stato bellissimo, Dio come lo ami; le analisi di tuo padre hanno dato esito negativo, è nato il tuo primo figlio, sei appena uscito da una splendida celebrazione; e sì, sì che sei contento, ma l’esperienza che se ne sta acquattata nel tuo intimo, ti sfiora la spalla e ti sussurra che dura poco lo spettacolo; e non fa altro che ricordarti quello che hai vissuto tante volte. E pian piano si inerpicano nella mente preoccupazioni solo accantonate in fretta dietro all’emozione dei momenti belli. E la gioia, il sapore felice che s’era deposto su questa giornata, si dissolve come rugiada del mattino. Siamo “turbati”, un peso sul “cuore”, come quando a scuola avevi un’interrogazione, o un’esame all’università; qualunque cosa facessi quel brusio di fondo gracchiava e sporcava le note dei giorni. Il nostro cuore non riesce proprio a riposare; normale, se la precarietà ci avvolge come una cappa di smog. E, da qualunque parte la si guardi, la precarietà è sempre quella di non avere “un posto” dove "essere" noi stessi, in modo unico e inequivocabile. Per questo spendiamo la vita per trovare e conquistarci “un posto” nel cuore degli altri, nella società, a scuola, sul lavoro, nella Chiesa; un posto sicuro che ci definisca e ci strappi all'anonimato che spegne gioie e speranze. Ma, non trovandolo, abbassiamo sempre di più l’asticella, spegniamo i desideri alti per rintanarci in “beni rifugio”, che sembrano oro ma sono volgare paglia che, alla luce effimera delle concupiscenze, appare dorata. Lo studio, gli amori, le amicizie, tutto è spinto e mosso dal desiderio di trovare e abbrancare una ragione per vivere, una meta da raggiungere, “un posto” nel mondo. ma sbagliamo direzione, e ci stabiliamo in luoghi inadeguati, che non ci si addicono. Vediamo, dove dimori oggi? A casa mia risponderai. Ma è davvero quello il tuo “posto”? Allora perché sei sempre irrequieto, e ogni giorno ti tuffi nella rete cercando una vacanza da sogno? Perché sgonfi il portafoglio con i mille “gratta e vinci” che ti seducono vestendo di illusioni edicole e tabaccherie? Perché spendi tanto tempo sui Social Networks, chat e post a gogò, scappando dallo studio, dal lavoro, dai bimbi che piangono, dal bucato da fare, da tua nonna ammalata che non visiti mai? Fuggiamo perché il “cuore” è preda del “turbamento” e non possiamo stare laddove la storia ci depone: la minaccia della delusione, della morte, della solitudine, tutto quello che Gesù aveva appena annunciato ai discepoli, ci fa paura e così non possiamo stare nella volontà di Dio. Quando la vita si rivela come un Getsemani dischiuso sulla Croce, ci scandalizziamo perché l’esperienza del peccato ci ha fatto conoscere la morte, e ora non c’è nulla da fare, dobbiamo sfuggire tutto quello che porta con sé il suo odore acre. Non c’è “via” di scampo; l’unica “verità” che conosciamo è che nella Croce c’è la morte e non la “vita”. Ma all’origine di questo c’è una serie di fraintendimenti ed equivoci. Sul “cuore” innanzitutto. Siamo “turbati nel cuore”, e pensiamo che si tratti di ansie e sofferenze legate agli affetti, passioni, sentimenti. Ma non è così. Non perdiamo la pace per le delusioni patite nella sfera affettiva; questo è quello che il mondo vorrebbe far credere. Il “cuore” al quale si riferisce Gesù è quello del linguaggio biblico: innanzitutto la sede dell’intelligenza: dal latino sappiamo che essa deriva dall’avverbio “intus”, che significa “dentro”, e dal verbo “legere”, che significa “leggere”. Quindi, l'intelligenza è la facoltà di leggere la realtà a di là della superficiale, cogliendone gli aspetti profondi, nascosti, e per questo, come per una casa, fondamentali. Il “cuore” è, dunque, la “mente”, il centro della vita personale, l’io per intenderci, laddove alberga la coscienza, la sede della volontà; nel “cuore” decidiamo cosa fare, se scegliere il bene o il male. Nel cuore siamo noi e noi soltanto, liberi per aprirci alla volontà di Dio oppure no. Il “cuore” è sì l’origine delle relazioni, ma non nel senso moderno al quale siamo abituati: ciò significa che nel “cuore” decidiamo in tutta libertà come metterci in rapporto con gli altri e le situazioni della vita. C’è anche il sentimento, ma non è fondante, piuttosto è autentico solo se non fagocita l’intelligenza illuminata dalla “fede”. Per questo Gesù dice agli apostoli e a tutti noi di “non essere turbati nel cuore, ma di avere fede in Dio e in Lui”. Non permettere, ci dice, che laddove tu sei unico e libero, laddove tu sei la persona che sei, con la tua intelligenza, la tua volontà e i tuoi sentimenti, che nel tuo “cuore” si insinui il “turbamento”, ovvero il “dubbio”. Abbi piuttosto “fede”; ma come, dirai, la fede non è un dono, una virtù teologale? Come faccio ad “averla”, non è mica il frutto di un mio impegno, no? Hai ragione, ma la “fede”, in ebraico, si dice “emunah”, da cui deriva la parola “amen”; significa “essere stabili”, “appoggiarsi stabilmente”. La “fede”, dunque, è l’antidoto al “turbamento”, ed è qualcosa di profondamente esistenziale e concreto: infatti Gesù dice di “avere fede in Dio e in Lui”: appoggiati saldamente, sino ad unirsi a loro - ed è quello che in molti altri passi ha ripetuto: “rimanete in me”, “io in voi e voi in me, come io sono nel Padre e il Padre è in me”. Oggi, di fronte alle situazioni difficili, quando ti sentirai senza “un posto” dove essere, perché qualcuno ti ha rifiutato, o ti senti inadeguato, o quello che sia, “non turbarti”, cioè non scappare, ma “appoggiati in me”, resta in me, e vedrai che scoprirai il tuo “posto” proprio in quello che pensavi che ti togliesse la vita e l’essere. Accostati alla Parola, nutriti con i sacramenti, non allontanarti dalla comunità e dal tuo movimento, dal gruppo e dalla parrocchia, non chiuderti in te stesso ma chiedi aiuto ai pastori e ai catechisti e responsabili della tua iniziazione cristiana e del tuo percorso spirituale, perché nella Chiesa tu possa essere gestato alla "fede" adulta. La “fede”, infatti, è l’esperienza che possiamo fare “nel cuore”, consegnando la nostra volontà a Cristo, “leggendo” così oltre la buccia degli avvenimenti la volontà di Dio, per gustare anche con i sentimenti la pienezza della gioia. Gesù è risorto! E’ “andato” sulla Croce, è sceso nel sepolcro, ed entrando nel Paradiso ci ha "preparato un posto". In Cielo c'è il tuo posto, riservato, nessuno te lo può togliere; hai un abbonamento valido per l'eternità, per godere della beatitudine di chi vede Dio. Ed è “tornato” e oggi è dinanzi a te e me, per “prenderci e portarci dove Lui è”, giorno dopo giorno nelle "tante dimore" che sono "nella casa del Padre"; "tante" quanti sono i tuoi giorni e le loro croci; tante quanto le pene e le sofferenze; "tante" perché ciascuna sarà, in Cristo, trasformata nella cella del vino, la stanza più intima dove gustare la sua intimità. La sua Pasqua ha aperto la “via” alla “vita” che non si esaurisce, facendo di ogni passo che ci attende, doloroso, faticoso, frustrante e senza consolazioni, la “verità”, l’unica, che ci definisce e dà senso a ciascuno di noi. Ciò significa che, proprio perché ci ha “preparato un posto” in Cielo, è “tornato” per farci “essere”, con un'identità unica, insieme a Lui qui sulla terra in ogni “posto” nel quale siamo chiamati a vivere. Così, ogni “posto” è la “verità”, perché colmo della presenza e dell’amore di Cristo; la casa e la famiglia, la moglie e il marito, i figli e i genitori, il lavoro e la scuola, le persone che ci sono vicine, anche quelle più moleste, la malattia e i fallimenti, la precarietà economica e spirituale, ogni istante e ogni luogo è il nostro “posto” dove essere nella “verità”, ossia in Cristo, amando in Lui, perdonando in Lui, offrendoci in Lui: "Mi sembra che sia qui il segreto della santità, ed è così semplice! E pensare che abbiamo il cielo in noi, quel cielo di cui talvolta provo così pungente la nostalgia! Come sarà bello quando il velo cadrà, finalmente, e godremo l'eterno "faccia a faccia" con colui che unicamente amiamo. Nell'attesa vivo nell'amore, mi ci getto dentro e mi ci perdo. È l'Infinito, quell'Infinito di cui è affamata l'anima mia" (Elisabetta della Trinità). Il Cielo in una stanza, come cantava un celebre cantautore! Il Cielo nella nostra vita quotidiana, in un mistero che abbraccia il suo più piccolo particolare mentre ci lancia sino ai confini della terra, dove annunciare a tutti il Vangelo, la buona notizia che, per tutti, è stata riaperta la via che conduce alla vita e alla verità. Il luogo della Chiesa è dunque l'evangelizzazione: non è un luogo statico, facile a corrompersi nell'installazione che sazia l'uomo vecchio, ma è già questo cammino che conduce al Cielo, come l'ingresso di una casa, e poi il corridoio, per giungere alla sala da pranzo, al salotto e, infine, alla camera da letto, il talamo nuziale dove gusteremo eternamente l'amore di Dio. Il “turbamento” è sempre figlio della superbia che ci incatena alla paura di morire, e ci impedisce di "conoscere" nel cuore, "dove Gesù dimori e la via per andarci". Ma Cristo è risorto, allora possiamo dire “Amen”, che è proprio “avere fede” in Lui. Convertendosi ogni giorno, abbandonandosi con Cristo nel suo Amen alla volontà del Padre, la Chiesa e i suoi figli hanno "un posto" nel mondo, l'annuncio del Vangelo! Tornando a casa, possiamo condurre le generazioni a Dio: "In quei giorni, dieci uomini di tutte le lingue delle genti, afferreranno un Giudeo per il lembo del mantello e gli diranno: Vogliamo venire con voi, perché abbiamo compreso che Dio è con voi" (Zac. 8,20). Cristo è “tornato”, è vivo, la morte è stata vinta, ed è l’unica “verità”, perché la “Verità” è Cristo risorto, vivo in te e in me oggi, che ci "prende con Lui" per "essere presi" per il lembo del mantello dal coniuge e dai figli, dal collega e dall'estraneo, perché tutti sono affamati dell'amore che non si esaurisce, dell’intimità della “casa del Padre”. Gli atri del Paradiso, infatti, non sono lontani, ma vicinissimi: hanno il colore degli occhi di tua moglie, le pareti ruvide dell’adolescenza di tuo figlio, vi si odono le voci di chi ti è accanto, sono bagnati dalle lacrime della malattia. Sono “il posto” di Cristo qui sulla terra, la tua vita e la tua storia, cammino vero per entrare nella vita: “ Ora Gesù, non si trova più in un singolo posto del mondo come prima dell’Ascensione; ora, nel suo potere che supera ogni spazialità, Egli è presente accanto a tutti ed invocabile da parte di tutti – attraverso tutta la storia – e in tutti i luoghi” (Benedetto XVI).


APPROFONDIMENTI




αποφθεγμα Apoftegma



Le mani benedicenti di Cristo sono come un tetto che ci protegge. 
Ma sono al contempo un gesto di apertura 
che squarcia il mondo affinché il cielo penetri in esso 
e possa diventarvi una presenza.

Nel gesto delle mani benedicenti si esprime 
il rapporto duraturo di Gesù con i suoi discepoli, con il mondo. 
Nell’andarsene Egli viene per sollevarci al di sopra di noi stessi 
ed aprire il mondo a Dio. 
Per questo i discepoli poterono gioire, quando da Betània tornarono a casa.



Card. Joseph Ratzinger

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