Martedì della XXVI settimana del Tempo Ordinario. Approfondimenti












L'ANNUNCIO
Mentre stavano compiendosi i giorni in cui Gesù sarebbe stato tolto dal mondo, si diresse decisamente verso Gerusalemme e mandò avanti dei messaggeri. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per fare i preparativi per lui. Ma essi non vollero riceverlo, perché era diretto verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Ma Gesù si voltò e li rimproverò. E si avviarono verso un altro villaggio.
 (Dal Vangelo secondo Luca 9,51-56)





La vera libertà implica l'accettare di non essere accettati. Il rimprovero di Gesù è oggi diretto a ciascuno di noi. Siamo così presi dalle nostre cose, dai progetti e dai programmi da non tollerare inciampi, fastidi e trappole. Il rifiuto poi è il boccone più indigeribile. Il Vangelo di oggi ci aiuta, attraverso le dure parole del Signore, a guardare bene alla nostra vita e alla nostra vocazione. Da essa dipendono il cammino e la meta. Chiamati a seguire il Signore non possiamo non condividerne le sorti. La vita di Gesù era orientata decisamente a Gerusalemme. L'urgenza dell'amore lo spingeva al compimento della missione. Non aveva tempo per guardarsi indietro, per compiangersi, per ripensare e dubitare.

Gerusalemme è la Città santa, ma è anche quella che uccide i profeti. La Città della Pace è anche quella del rifiuto. Tre volte all'anno ogni israelita doveva presentarsi davanti a Yahwè facendo di Gerusalemme la Città del pellegrinaggio. Città del culto segnata spesso da ministri del culto corrotti, nella sua storia si è assistito tante volte alla profanazione delle cose sante da parte di quanti erano stati scelti, in campo religioso e politico, ad esserne guardiani e amministratori. La Santa diviene la Prostituta. Gerusalemme è immagine della contraddizione inestricabile che, a causa del peccato originale, caratterizza ogni uomo: "Da una parte ogni uomo sa che deve fare il bene e intimamente lo vuole anche fare. Ma, nello stesso tempo, sente anche l'altro impulso di fare il contrario, di seguire la strada dell'egoismo, della violenza, di fare solo quanto gli piace anche sapendo di agire così contro il bene, contro Dio e contro il prossimo: "C'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio" (Rom. 7, 18-19). Come conseguenza di questo potere del male nelle nostre anime, si è sviluppato nella storia un fiume sporco, che avvelena la geografia della storia umana. Il grande pensatore francese Blaise Pascal ha parlato di una "seconda natura" che si sovrappone alla nostra natura originaria, buona. Questa seconda natura fa apparire il male come normale per l'uomo. Questa contraddizione dell'essere umano, della nostra storia deve provocare, e provoca anche oggi, il desiderio di redenzione. Come si spiega questo male? La fede ci dice: esistono due misteri di luce e un mistero di notte, che è però avvolto dai misteri di luce. Il primo mistero di luce è questo: la fede ci dice che non ci sono due principi, uno buono e uno cattivo, ma c'è un solo principio, il Dio creatore, e questo principio è buono, solo buono, senza ombra di male. E perciò anche l'essere non è un misto di bene e male; l'essere come tale è buono e perciò è bene essere, è bene vivereQuesto è il lieto annuncio della fede: c'è solo una fonte buona, il Creatore. E perciò vivere è un bene, è buona cosa essere un uomo, una donna, è buona la vita. Poi segue un mistero di buio, di notte. Il male non viene dalla fonte dell'essere stesso, non è ugualmente originario. Il male viene da una libertà creata, da una libertà abusata. Il male non è logico. Solo Dio e il bene sono logici, sono luce. Il male rimane misterioso... neppure possiamo raccontarlo come un fatto accanto all'altro, perché è una realtà più profonda. Rimane un mistero di buio, di notte. Ma si aggiunge subito un mistero di luce. Il male viene da una fonte subordinata. Dio con la sua luce è più forte. E perciò il male può essere superato. Perciò la creatura, l'uomo, è sanabile. Se il male viene solo da una fonte subordinata, rimane vero che l'uomo è sanabile. E il libro della Sapienza dice: “Hai creato sanabili le nazioni” (1, 14 nella Vulgata). E finalmente, ultimo punto, l’uomo non è solo sanabile, è sanato di fattoDio ha introdotto la guarigione. È entrato in persona nella storia. Alla permanente fonte del male ha opposto una fonte di puro bene. Cristo crocifisso e risorto, nuovo Adamo, oppone al fiume sporco del male un fiume di luce. E questo fiume è presente nelle storia: vediamo i santi, i grandi santi ma anche gli umili santi, i semplici fedeli. Vediamo che il fiume di luce che viene da Cristo è presente, è forte" (Benedetto XVI). 

Gerusalemme riassume in sé questo mistero di luce e tenebre. Il profeta Ezechiele ebbe questa visione: "Vidi che sotto la soglia del tempio usciva acqua verso oriente... che scendeva sotto il lato destro del tempio, dalla parte meridionale dell'altare... Ne misurò altri mille: era un torrente che non potevo attraversare, perché le acque erano cresciute; erano acque navigabili, un torrente che non si poteva passare a guado. Allora egli mi disse: «Hai visto, figlio dell'uomo?». Poi mi fece ritornare sulla sponda del torrente; voltandomi, vidi che sulla sponda del torrente vi era una grandissima quantità di alberi da una parte e dall'altra. Mi disse: «Queste acque scorrono verso la regione orientale, scendono nell'Araba ed entrano nel mare: sfociate nel mare, ne risanano le acque. Ogni essere vivente che si muove dovunque arriva il torrente, vivrà: il pesce vi sarà abbondantissimo, perché dove giungono quelle acque, risanano, e là dove giungerà il torrente tutto rivivrà. Lungo il torrente, su una riva e sull'altra, crescerà ogni sorta di alberi da frutto, le cui foglie non appassiranno: i loro frutti non cesseranno e ogni mese matureranno, perché le loro acque sgorgano dal santuario. I loro frutti serviranno come cibo e le foglie come medicina" (Ez. 47, 1-12). Dal Tempio, da Gerusalemme Dio ha fatto scaturire la guarigione; da quella Gerusalemme che aveva tradito, che aveva pervertito e adulterato, dall'abbondanza del peccato Dio ha fatto realmente sovrabbondare la Grazia. Nella contraddizione ha fatto scaturire la sorgente di puro bene che risolve ogni contraddizione; purificando il cuore dall'idolatria lo ha sanato conferendogli quell'unità, quel principio capace di orientare la vita secondo giustizia e verità. 




Immerso in questa ed altre profezie simili, Israele viveva Gerusalemme come il luogo della Presenza di Dio, della sua fedeltà più forte di ogni peccato. In Gerusalemme si scontravano l'altissima vocazione dell'uomo e la sua reale capacità di distruggersi nel modo più abietto; l'esilio, la lontananza e la nostalgia struggente di Gerusalemme sono immagine di ogni cuore esiliato dalla Verità. Dimenticare Gerusalemme, la presenza di Dio, era peggiore che vedersi seccare la mano, paralizzarsi la lingua: "Se lascio cadere il tuo ricordo, se non metto Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia!" (Sal. 137). La comunione con Dio nella contraddizione dell'esistenza, la speranza di un amore che varchi i confini della carne, tutto questo era, in fondo Gerusalemme. I pellegrinaggi annuali per le grandi feste non erano altro che un rientrare, attraverso la memoria liturgica, in questo fiume di guarigione che scaturiva dalla Città santa. Per questo Gerusalemme era, soprattutto, profezia dell'incarnazione, l'evento più imprevedibile, lo sgorgare improvviso e stupefacente, del fiume di salvezza che avrebbe risolto, per sempre, le contraddizioni: Dio stesso entrava, con una carne simile a quella di ogni uomo, nella storia, sino al fondo delle sue contraddizioni. 

Così in Gerusalemme emerge lo stesso contrasto che provoca la persona di Gesù: vero uomo e vero Dio. L'Altissimo, che nessuno spazio - neanche il Cielo - può contenere, fattosi tanto piccolo da abitare in una Città concreta, nello spazio angusto di un Tempio, e, in esso, in un'Arca di dimensioni ridottissime. Gesù, Tempio nuovo e definitivo, presenza di Dio tra gli uomini, che non cessa d'essere un uomo, capace di segni prodigiosi, ma pur sempre, agli occhi carnali, un semplice uomo, di cui si conoscono le origini e la storia. 

In questa luce si comprende il Vangelo di oggi: il pellegrinaggio di Gesù è già il compimento del disegno di Dio; Gesù ne aveva conversato con Mosè ed Elia nella trasfigurazione, erano i giorni della sua elevazione. Non si tratta solo della Croce e della risurrezione: l'elevazione-esodo di Gesù inizia a compiersi proprio nel viaggio a Gerusalemme, il viaggio del profeta che doveva morire a Gerusalemme. L'elevazione di Gesù, il cuore della sua missione è una profezia, l'ultima, la decisiva e definitiva. Le sue parole e gli avvenimenti che lo attendono sono tutti parte della profezia di Dio sulla storia e sull'uomo, una profezia di misericordia e di amore. Per questo Gesù rende saldo il volto, con lo sguardo puntato irrevocabilmente al compimento dell'opera del Padre, come il profeta ed il servo incamminati sul sentiero dell'obbedienza. Uno sguardo di pietra pronto a ricevere insulti e rifiuti, sputi e bestemmie; uno sguardo colmo di una misericordia illimitata, decisa a salvare ogni uomo.  






Gerusalemme è il luogo dove la profezia troverà il suo compimento. Per questo la Presenza di Dio consiste nella sua stessa opera, le meraviglie compiute nella storia, frammenti divini spalmati sullo scorrere dei giorni; eventi inafferrabili, sempre sfuggenti e profetici, parole vive che chiamano e mettono in cammino verso un altro luogo, misterioso ma reale, come è stato per Abramo, per Mosè, per Elia, per Gesù. La presenza di Dio è deposta nell'esperienza, l'autentico luogo dell'incontro. Gerusalemme è dunque essenzialmente un'esperienza, un avvenimento che si ripete, identico nella sostanza ma diverso nella forma, che muta a seconda delle vicende della storia. Gerusalemme è una porta dischiusa sul Cielo, sulla Gerusalemme celeste patria definitiva di ogni uomo. Secondo la tradizione ebraica erano legati a Gerusalemme la creazione di Adamo e il sacrificio di Isacco al Monte Moria: profezie che si sarebbero compiute nel nuovo Adamo tentato in un giardino e, come Isacco, legato ad un legno. A Gerusalemme la stessa tradizione fissava il luogo del sogno di Giacobbe,  quando, "addormentato sulle pietre riconciliate e riunite" (Gen R 68), aveva visto "la scala dalla terra fino al cielo" (Gen. 28,10-22), la croce che avrebbe dischiuso il Regno al Figlio di Dio.  

La scala che conduce al Cielo affonda le sue radici anche nel villaggio di Samaritani del Vangelo di oggi, ebrei eretici che guardavano Gerusalemme e il suo tempio come lo scandalo più grande. Mistero Pasquale di Cristo non è avvenimento di un istante circoscritto, è un pellegrinaggio, una salita-elevazione verso e attraverso Gerusalemme, ha una storia, passa per villaggi e incontri, relazioni; la Pasqua, come prescritto nella tradizione ebraica, esige dei preparativi, profetizzati anch'essi nella lunga storia di Salvezza inaugurata, non a caso, da un pellegrino, Abramo partito in obbedienza alla parola di Dio. 

Ma la Pasqua di Cristo, affinchè sia un'opera che raggiunga concretamente ogni uomo, esige anche uomini scelti per annunciarla e realizzarne la preparazione. Angeli inviati davanti al volto di Gesù, come recita l'originale greco. "Nell’antica Chiesa – già nell’Apocalisse – i Vescovi venivano qualificati "angeli" della loro Chiesa... Da una parte, l’Angelo è una creatura che sta davanti a Dio, orientata con l’intero suo essere verso Dio. Tutti e tre i nomi degli Arcangeli finiscono con la parola "El", che significa "Dio". Dio è iscritto nei loro nomi, nella loro natura. La loro vera natura è l’esistenza in vista di Lui e per Lui. Proprio così si spiega anche il secondo aspetto che caratterizza gli Angeli: essi sono messaggeri di Dio. Portano Dio agli uomini, aprono il cielo e così aprono la terraProprio perché sono presso Dio, possono essere anche molto vicini all’uomo. Dio, infatti, è più intimo a ciascuno di noi di quanto non lo siamo noi stessi. Gli Angeli parlano all’uomo di ciò che costituisce il suo vero essere, di ciò che nella sua vita tanto spesso è coperto e sepolto. Essi lo chiamano a rientrare in se stesso, toccandolo da parte di Dio. In questo senso anche noi esseri umani dovremmo sempre di nuovo diventare angeli gli uni per gli altri – angeli che ci distolgono da vie sbagliate e ci orientano sempre di nuovo verso Dio... L'amore di Cristo, salito per noi sulla croce, è la forza risanatrice che, in tutte le confusioni, dona la capacità della riconciliazione, purifica l’atmosfera e guarisce le ferite. Come all'Arcangelo Raffaele, al sacerdote è affidato il compito di condurre gli uomini sempre di nuovo incontro alla forza riconciliatrice dell’amore di Cristo. Deve essere "l’angelo" risanatore" (Benedetto XVI).

Non solo i Vescovi e i presbiteri è riservata questa missione. In virtù del battesimo ciascun cristiano è un angelo chiamato a vivere nell'intimità con Dio per annunciarla ad ogni uomo. Come Santo Stefano, il cui volto appariva ai suoi assassini trasfigurato come quello di un angelo, anche il nostro volto è modellato perché in esso sia impresso lo stesso volto di Cristo, rivolto decisamente verso Gerusalemme. Ciascuno di noi è un messaggero inviato dinanzi al Signore a fare i preparativi per lui. La nostra vita è un po' come quella di chi appartiene allo staff di un Presidente. Inviati prima di una sua visita ufficiale, i membri dello staff hanno il compito di "bonificare" l'area - setacciare ogni angolo alla ricerca di eventuali pericoli -; organizzare la visita preoccupandosi della logistica, degli orari, di ogni particolare. Per realizzare il compito è necessaria una profonda conoscenza del Presidente, delle sue abitudini, del suo modo di fare, dei suoi obiettivi. Così anche la vita dei messaggeri del Signore presuppone una sua profonda conoscenza, unita ad una totale condivisione della sua missione. Occorre immergersi nella realtà alla quale si è inviati, bonificando l'area annunciando la Verità senza ipocrisie e compromessi; soprattutto, non si possono nascondere identità e missione del Signore. Lui va a Gerusalemme.

La missione di Gesù consiste essenzialmente nell'essere rifiutato e nel prendere su di sé il rigetto. Per salvare ciò che è perduto deve perdere se stesso. E' esattamente ciò che appare nel Vangelo di oggi. Chi è diretto a Gerusalemme, al Tempio ma anche alla Croce, è rifiutato. Questo il destino di Cristo e di chi ne prepara la Pasqua, come è stato per Giovanni Battista. La Croce è lo scandalo e l'idiozia indigeribile al mondo e alla nostra povera carne. Spesso ci ribelliamo come i discepoli, e mostriamo di non aver compreso a cosa siamo stati chiamati. Vorremmo bruciare ogni ostacolo, ogni eretico, ogni male; mistifichiamo, come gli apostoli, la profezia di Elia che distrusse l'idolatria per mostrarne la menzogna, mentre noi vorremmo solo la scomparsa del male e dei malfattori, dimenticando le ferite originali che porta ogni uomo. "Quante volte noi desidereremmo che Dio si mostrasse più forte. Che Egli colpisse duramente, sconfiggesse il male e creasse un mondo migliore. Tutte le ideologie del potere si giustificano così, giustificano la distruzione di ciò che si opporrebbe al progresso e alla liberazione dell’umanità. Noi soffriamo per la pazienza di Dio. E nondimeno abbiamo tutti bisogno della sua pazienza... Il mondo è redento dalla pazienza di Dio e distrutto dall’impazienza degli uomini" (Benedetto XVI). 





E Gesù si volta anche oggi, ci fissa, e, con amore, orienta nuovamente il nostro cammino sulle sue stesse orme luminose di libertà. Essere angeli del Signore è infatti annunziare con libertà la libertà. Messaggeri della Buona Notizia presente nella loro vita. Angeli che incarnano Dio stesso, come quelli apparsi a Mambre annunciando ad Abramo la vittoria della vita sulla morte. Siamo gli angeli che cercano ogni hametz, ogni lievito vecchio nascosto nella vita degli uomini, perché si compia la Pasqua del risanamento di ogni contraddizione. Angeliche, con libertà, passano attraverso gli episodi di rifiuto di ogni giorno, bonificando, sanando e salvando ogni luogo e ogni uomo, nell'attesa che Cristo compia l'opera donando a tutti la sua stessa Vita. 



APPROFONDIMENTI


Benedetto XVI. Pazienza di Dio e impazienza degli uomini

"Quante volte noi desidereremmo che Dio si mostrasse più forte. Che Egli colpisse duramente, sconfiggesse il male e creasse un mondo migliore. Tutte le ideologie del potere si giustificano così, giustificano la distruzione di ciò che si opporrebbe al progresso e alla liberazione dell’umanità. Noi soffriamo per la pazienza di Dio. E nondimeno abbiamo tutti bisogno della sua pazienza... Il mondo è redento dalla pazienza di Dio e distrutto dall’impazienza degli uomini" (Benedetto XVI, Omelia di inizio pontificato). 


Hametz. L'eliminazione di ogni lievito

Poco tempo dopo Pessach, l'ebreo si deve già dare da fare per mettere da parte, dopo la mietitura, la farina più pura e custodirla fino al Pessach successivo da ogni contatto con qualsiasi elemento che possa farla fermentare e lievitare. Tutto l'anno egli deve essere attento che nessun chametz (cibo lievitato) penetri in armadi, libri, corrispondenza, eccetera. Molte settimane prima di Pasqua tutta la famiglia comincia a pulire ogni angolo e fessura della casa da qualsiasi residuo di lievito; lo conserva in uno spazio sempre più ristretto, il giorno prima di Pessach in una piccola stanza. Poi, durante la notte che precede Pessach, tutta la famiglia percorre, a lume di candela, ogni angolo della casa, per eliminare ogni minima traccia di chametz. Questo viene poi bruciato al mattino, mentre tutta la famiglia danza attorno al fuoco.
Ma che cosa significa tutta questa preparazione e precauzione?
Alcuni rabbini hanno osservato che la differenza tra la parola chametz (= lievito) e matzah (= il pane azzimo) sta nella differenza tra la lettera He e la lettera Cheth. Le altre lettere contenute nelle due parole sono uguali. E perché He e Cheth siano uguali manca solo un puntino. Quando Israele uscì dall'Egitto era così degenerato per la dura schiavitù che solo un puntino lo separava dalla morte eterna, dallo stato in cui Dio, secondo i saggi, non può più salvare l'uomo, perché ha varcato il limite della degradazione e ha perso ogni sensibilità spirituale.
Se Dio non fosse intervenuto in tutta fretta a liberarlo, Israele sarebbe rimasto in Egitto.
Infatti, la minima quantità di lievito rende chametz tutta la massa 12.
Il lievito è simbolo e segno dell'istinto malvagio che abita nell'uomo. Il desiderio di annientare ogni traccia di lievito e di cibo lievitato prepara l'ebreo per la festa di Pessach, nella quale deve essere annientato ogni istinto malvagio in noi.
Il rabbi chassidico Baruch di Medzibosh diceva, mentre pronunciava la benedizione sull'annullamento dello chametz: " Ogni lievito ", cioè tutti gli istinti d'egoismo, " che è ancora in mia proprietà, certamente ne esistono dentro la mia anima, quello che ho visto e quello che non ho visto, penso di averli visti, ma purtroppo non li ho visti, che ho distrutto e che non ho distrutto, penso di averli distrutti, ma purtroppo non li ho distrutti, siano considerati nulla. Sii tu, Signore, a nullificarli e a distruggerli ".
Rabbi Shmuel di Sochatchov dice: " La ricerca e il bruciare dello chametz alludono al comando di distruggere Amaleq "13.
Lo chametz significa l'istinto malvagio, l'arroganza, la superbia, la grossolanità, la volgarità, la decadenza, la noia, la durezza del cuore e del volto e la menzogna.
La matzah invece significa l'istinto buono, la semplicità, il non avere pretese, la rapidità nell'operare il bene, la prudenza, l'umiltà e la verità.
Lo chametz è più gustoso e gradevole della matzah, più bello e più appariscente, come l'istinto malvagio, il quale tenta l'uomo con i piaceri di questo mondo, gli suggerisce e gli mette davanti agli occhi cose piacevoli...
È un precetto distruggere completamente questo chametz e perciò lo si deve cercare negli angoli e nelle fessure e in ogni luogo dove si sarebbe potuto nascondere. £ebreo deve scoprire i nascondigli dell'istinto malvagio, le sue proprietà corrosive e le sue opere cattive, per poterli distruggere e annientare.
Desiderando liberarsi dal dominio dell'istinto malvagio potrà accedere alla libertà spirituale e considererà se stesso come un redento che esce dalle impurità dell'Egitto.
Dice il Talmud: " Nella notte del quattordici Nissan si cerchi con diligenza ogni sostanza con lievito alla luce di una candela ".
Così, a partire dalla prima notte del suo quattordicesimo anno, giorno in cui il giovane ebreo ha celebrato la sua Bar-Mitzvah, egli è tenuto a cercare il lievito in sé e a combattere l'istinto malvagio " con la candela del comandamento e con la luce della Torah " 14.
Che cosa viene considerato chametz = lievitato?
Qualsiasi seme o farina dei cinque tipi di cereali nominati nella Bibbia.
Quando uno di questi entra in contatto con l'acqua per il tempo necessario a lievitare - cioè otto o dieci minuti -, a meno che venga impastato e subito infornato, è considerato chametz. È assolutamente vietato mangiare, utilizzare o conservare questo chametz nella propria casa durante i sette giorni della festa di Pasqua. Qualsiasi prodotto che contenga la minima componente dei cinque tipi di cereali è chametz15.
Si capisce così il vero senso di tutta questa preparazione: prima di sedersi alla mensa del Seder per lasciarsi penetrare dallo spirito di Pessach, bisogna rimuovere ogni briciola di chametz dalla propria casa come segno che si desidera rimuovere dalla propria vita e da sé quello che significa lo chametz.
Il Talmud fa derivare l'obbligo di cercare lo chametz di notte alla luce di una candela da questo versetto del libro dei Proverbi: " L'anima dell'uomo è come una luce del Signore, che scruta tutte le stanze del cuore "16.
E' ovvio che c'è un significato molto profondo che viene espresso attraverso la ricerca dello chametz: è la ricerca nel proprio io.
Rabbi Pinchas di Koretz così spiegava l'affermazione del secondo libro dei Re: " Difatti una Pasqua simile non era mai stata celebrata dal tempo dei Giudici per tutto il periodo dei re di Israele e dei re di Giuda" 17: questo allude alla distruzione degli altari pagani e di ogni luogo di idolatria, operata da Giosia dopo questa Pasqua. Egli eliminò veramente tutto il lievito.
" Portare alla luce il nostro chametz, cioè ogni idolatria che abita in noi, perché il Signore in questa santa notte passi, ci trascini con sé e così ci dia la forza di rinunciarvi: questo è il significato profondo della preparazione pasquale ".



Benedetto XVI. Invidia e missione

Il Vangelo di questa domenica presenta uno di quegli episodi della vita di Cristo che, pur essendo colti, per così dire, en passant, contengono un profondo significato (cfr Mc 9,38-41). Si tratta del fatto che un tale, che non era dei seguaci di Gesù, aveva scacciato dei demoni nel suo nome. L’apostolo Giovanni, giovane e zelante come era, vorrebbe impedirglielo, ma Gesù non lo permette, anzi, prende spunto da quella occasione per insegnare ai suoi discepoli che Dio può operare cose buone e persino prodigiose anche al di fuori della loro cerchia, e che si può collaborare alla causa del Regno di Dio in diversi modi, anche offrendo un semplice bicchiere d’acqua ad un missionario (v. 41). Sant’Agostino scrive a proposito: «Come nella Cattolica – cioè nella Chiesa – si può trovare ciò che non è cattolico, così fuori della Cattolica può esservi qualcosa di cattolico» (Agostino, Sul battesimo contro i donatisti: PL 43, VII, 39, 77). Perciò, i membri della Chiesa non devono provare gelosia, ma rallegrarsi se qualcuno esterno alla comunità opera il bene nel nome di Cristo, purché lo faccia con intenzione retta e con rispetto. Anche all’interno della Chiesa stessa, può capitare, a volte, che si faccia fatica a valorizzare e ad apprezzare, in uno spirito di profonda comunione, le cose buone compiute dalle varie realtà ecclesiali. Invece dobbiamo essere tutti e sempre capaci di apprezzarci e stimarci a vicenda, lodando il Signore per l’infinita ‘fantasia’ con cui opera nella Chiesa e nel mondo. (Castel Gandolfo, Domenica, 30 settembre 2012)


Benedetto XVI. La contraddizione dell'uomo

Esiste una contraddizione nel nostro essere. Da una parte ogni uomo sa che deve fare il bene e intimamente lo vuole anche fare. Ma, nello stesso tempo, sente anche l'altro impulso di fare il contrario, di seguire la strada dell'egoismo, della violenza, di fare solo quanto gli piace anche sapendo di agire così contro il bene, contro Dio e contro il prossimo: "C'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio" (Rom. 7, 18-19). Questa contraddizione interiore del nostro essere non è una teoria. Ognuno di noi la prova ogni giorno. E soprattutto vediamo sempre intorno a noi la prevalenza di questa seconda volontà. Basta pensare alle notizie quotidiane su ingiustizie, violenza, menzogna, lussuria. Ogni giorno lo vediamo: è un fatto. Come conseguenza di questo potere del male nelle nostre anime, si è sviluppato nella storia un fiume sporco, che avvelena la geografia della storia umana. Il grande pensatore francese Blaise Pascal ha parlato di una "seconda natura" che si sovrappone alla nostra natura originaria, buona. Questa seconda natura fa apparire il male come normale per l'uomo. Così anche l'espressione solita: "questo è umano" ha un duplice significato. "Questo è umano" può voler dire: quest'uomo è buono, realmente agisce come dovrebbe agire un uomo. Ma "questo è umano" può anche voler dire la falsità: il male è normale, è umano. Questa contraddizione dell'essere umano, della nostra storia deve provocare, e provoca anche oggi, il desiderio di redenzione. E, in realtà, il desiderio che il mondo sia cambiato e la promessa che sarà creato un mondo di giustizia, di pace, di bene, è presente dappertutto: in politica, ad esempio, tutti parlano di questa necessità di cambiare il mondo, di creare un mondo più giusto. E proprio questo è espressione del desiderio che ci sia una liberazione dalla contraddizione che sperimentiamo in noi stessi.  La questione è: come si spiega questo male? La fede ci dice: esistono due misteri di luce e un mistero di notte, che è però avvolto dai misteri di luce. Il primo mistero di luce è questo: la fede ci dice che non ci sono due principi, uno buono e uno cattivo, ma c'è un solo principio, il Dio creatore, e questo principio è buono, solo buono, senza ombra di male. E perciò anche l'essere non è un misto di bene e male; l'essere come tale è buono e perciò è bene essere, è bene vivere. Questo è il lieto annuncio della fede: c'è solo una fonte buona, il Creatore. E perciò vivere è un bene, è buona cosa essere un uomo, una donna, è buona la vita. Poi segue un mistero di buio, di notte. Il male non viene dalla fonte dell'essere stesso, non è ugualmente originario. Il male viene da una libertà creata, da una libertà abusata. Il male non è logico. Solo Dio e il bene sono logici, sono luce. Il male rimane misterioso... neppure possiamo raccontarlo come un fatto accanto all'altro, perché è una realtà più profonda. Rimane un mistero di buio, di notte. Ma si aggiunge subito un mistero di luce. Il male viene da una fonte subordinata. Dio con la sua luce è più forte. E perciò il male può essere superato. Perciò la creatura, l'uomo, è sanabile. Se il male viene solo da una fonte subordinata, rimane vero che l'uomo è sanabile. E il libro della Sapienza dice: “Hai creato sanabili le nazioni” (1, 14 nella Vulgata). E finalmente, ultimo punto, l’uomo non è solo sanabile, è sanato di fatto. Dio ha introdotto la guarigione. È entrato in persona nella storia. Alla permanente fonte del male ha opposto una fonte di puro bene. Cristo crocifisso e risorto, nuovo Adamo, oppone al fiume sporco del male un fiume di luce. E questo fiume è presente nelle storia: vediamo i santi, i grandi santi ma anche gli umili santi, i semplici fedeli. Vediamo che il fiume di luce che viene da Cristo è presente, è forte" (Catechesi del 3 dicembre 2008). 



San Bonaventura (1221-1274), francescano, dottore della Chiesa 
Itinerario della mente a Dio, cap. 7,1.2.4.6; Opera omnia, 5,312-313 (trad. dal breviario)

«Si diresse decisamente verso Gerusalemme»

        Cristo è la via e la porta (Gv 14,6; 10,7). Cristo è la scala e il veicolo..., «il mistero nascosto da secoli» (Mt 13,35)). Chi si rivolge a questo propiziatorio con dedizione assoluta, e fissa lo sguardo sul crocifisso Signore mediante la fede, la speranza, la carità, la devozione, l'ammirazione, l'esultanza, la stima, la lode e il giubilo del cuore, fa con lui la Pasqua (cfr Mc 14,14), cioè il passaggio; attraversa con la verga della croce (cfr. Es 14,16) il Mare Rosso... Ma perché questo passaggio sia perfetto, è necessario che, sospesa l'attività intellettuale, ogni affetto del cuore sia integralmente trasformato e trasferito in Dio. È questo un fatto mistico e straordinario che nessuno conosce se non chi lo riceve (Ap 2, 17). Lo riceve solo chi lo desidera, non lo desidera se non colui che viene infiammato dal fuoco dello Spirito Santo, che Cristo ha portato in terra. Ecco perché l'Apostolo afferma che questa mistica sapienza è rivelata dallo Spirito Santo (1Cor 2,10). Se poi vuoi sapere come avvenga tutto ciò, interroga la grazia, non la scienza..., la caligine non la chiarezza, non la luce ma il fuoco che infiamma tutto l'essere e lo inabissa in Dio con la sua soavissima unzione e con gli affetti più ardenti. Ora questo fuoco è Dio e questa fornace si trova nella santa Gerusalemme (Is 31,9); ed è Cristo che li accende col calore della sua ardentissima passione... Chi ama tale morte, può vedere Dio, perché rimane pur vero che: «Nessun uomo può vedermi e restar vivo» (Es 33,20). Moriamo dunque ed entriamo in questa caligine; facciamo tacere le sollecitudini, le concupiscenze e le fantasie. Passiamo con Cristo crocifisso, «da questo mondo al Padre» (Gv 13,1), perché, dopo averlo visto, possiamo dire con Filippo «questo ci basta» (Gv 14,8); ascoltiamo con Paolo: «Ti basta la mia grazia» (2Cor 12,9); rallegriamoci con Davide, dicendo: «Vengono meno la mia carne e il mio cuore; ma la roccia del mio cuore è Dio, è Dio la mia sorte per sempre» (Sal 72,26).




αποφθεγμα Apoftegma







Cari amici, siate veramente "angeli custodi"! 
Aiutate il Popolo di Dio, 
che dovete precedere nel suo pellegrinaggio, 
a trovare la gioia nella fede 
e ad imparare il discernimento degli spiriti: 
ad accogliere il bene e rifiutare il male, 
a rimanere e diventare sempre di più, 
in virtù della speranza della fede, 
persone che amano in comunione col Dio-Amore.
Anche oggi Egli ha bisogno di persone che, 
per così dire, gli mettono a disposizione la propria carne, 
che gli donano la materia del mondo e della loro vita, 
servendo così all’unificazione tra Dio e il mondo, 
alla riconciliazione dell’universo. 
Cari amici, è vostro compito bussare in nome di Cristo ai cuori degli uomini. 
Entrando voi stessi in unione con Cristo, 
portare la chiamata di Cristo agli uomini.

Benedetto XVI

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