27 dicembre. San Giovanni Apostolo





Correre nella fede


Come Maria di Màgdala, Pietro e Giovanni, anche noi siamo sbigottiti di fronte all’assenza del Signore: il problema di tutti è, infatti, che non troviamo mai Gesù dove siamo persuasi che debba essere. Cerchiamo sempre nei luoghi conosciuti, negli schemi e nelle idee, nelle esperienze e nelle abitudini, e niente, Lui non c'è. Abbiamo addomesticato il miracolo di Gesù, e non ci stupiamo più per la sua presenza e il suo potere. I matrimoni ad esempio, si frantumano sull'indifferenza che scaturisce dall'assuefazione alla Grazia. No, non c'entra quello che dicono gli psicologi e gli esperti di coppia. Com'è che lo chiamano? "Il calo del desiderio" perché l'altro è diventato un soprammobile, lo spolveri ogni tanto, ma non ti ci fissi più con interesse ed entusiasmo, non ti coinvolge e attrae come all'inizio... Allora provi a truccarti e fai mille cose, ma non serve a nulla, perché il problema non è il "soprammobile"; non è l'altro e tanto meno tu. Il problema è che il demonio è riuscito a cancellare a poco a poco la memoria dell'amore di Dio su cui si fonda ogni matrimonio. Esso, infatti, è un miracolo che si rinnova ogni istante di ogni giorno. E' Cristo che apre il sepolcro e vince la morte facendo dei due una sola carne nella sua risurrezione, e lascia il "segno" della sua vittoria proprio dove tutto sembra sepolto. Soffriamo nel matrimonio, come in qualunque altra relazione, perché abbiamo chiuso gli occhi sui "segni": non vediamo più la resurrezione di Cristo nelle bende della vecchiaia, del carattere, della stanchezza dell'altro. E non ci gettiamo più nella novità dell'amore che fa uscire trasfigurato dal sudario e dalla tomba ciò che sembra ormai senza vita. Ma anche oggi, come nella notte di Natale, Dio ci vuol donare occhi nuovi per guardare i segni e “cominciare a credere”. Essi sono simili a quelli offerti nella grotta di Betlemme: qui un Bambino avvolto in fasce per accendere gioia e speranza, nella grotta del sepolcro “teli un sudario non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte”. “Corriamo” allora senza indugio, come i pastori raggiunti dall’annuncio dell’angelo, e come Pietro e Giovanni investiti dallo stupore di Maria; corriamo obbedendo all’annuncio della Chiesa e non temiamo di “entrare” nel "luogo" che la predicazione ci ha indicatoPer "vedere e credere" che è vero l'annuncio ascoltato, rinnovando l'esperienza dei pastori davanti alla mangiatoia, è necessario andare e camminare insieme a loro che sono immagine della comunità. E, come Giovanni che festeggiamo oggi, giunti sulla soglia dobbiamo aspettare che Pietro, ovvero i sacerdoti e i catechisti, ci confermi nella fede per non cadere nel sentimentalismo fai-da-te. Coraggio, anche noi come Giovanni siamo amati dal Signore al punto che ci affida alle cure materne di sua Madre donandoci a Lei come suoi figli! Seduti a mensa con Lui nella Chiesa, mentre lo ascoltiamo e ci nutriamo dei suoi sacramenti, ci possiamo reclinare come Giovanni sul petto di Gesù per imparare a “inchinarci” sin dentro il sepolcro nel quale ha distrutto la morte. Uniti a Pietro e Giovanni, ovvero l'istituzione e il carisma con cui Dio conduce la Chiesa, possiamo scendere i gradini dell'umiltà per entrare nel sepolcro che è anche immagine del fonte battesimale. E' il cammino degli apostoli e di ogni cristiano, per giungere a deporre il vestito dell'uomo vecchio e rivestire quello splendente di vita dell'uomo nuovo. I "teli e il sudario" che ci hanno avvolto esanimi,  i fatti della storia macchiati dal peccato, ci parlano testimoniando che proprio oggi è il “primo giorno” della vita nuova nel quale il Signore ci attira. Essa però non sconvolge la precedente, ma la compie nel perdono secondo un ordine nuovo che non conosciamo. E’ su quei "teli" che dobbiamo puntare lo sguardo: nessuno avrebbe potuto trafugare il corpo di Gesù e lasciarli in quel modo, come nessuno salverebbe la nostra vita senza distruggere con disprezzo quello che non va bene. Nella Chiesa invece accade proprio così, ed è proprio questo l’indizio che Dio lascia a tutti noi: il matrimonio, il lavoro, gli amici, le nostre cose e i nostri affetti sono ancora tutti con noi, ma, dinanzi agli occhi della fede, appaiono in una luce nuova. Il corpo risorto del Signore, infatti, scivola tra le bende con dolcezza, trasfigurandole con la sua impronta gloriosa, per condurci a seguire le sue orme nell'amore, che non è mai abitudine ma un donarsi in modo sempre diverso. 



QUI IL COMMENTO COMPLETO E GLI APPROFONDIMENTI




    






L'ANNUNCIO
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala corse e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette.

 (Dal Vangelo secondo Giovanni 20, 2-8)






La fede sorge come il sole dalla notte del “primo giorno della settimana” eterna inaugurata dalla risurrezione del Signore. Si fa strada nel buio, si veste di chiarore nell’alba, cammina nel mattino custodendo i segni su cui si appoggia per maturare, cresce al sole di mezzogiorno, si irrobustisce al fresco del pomeriggio, diviene adulta nel compimento del giorno, quando Gesù appare e lo Spirito Santo sigilla la certezza della sua vittoria sul peccato e la morte. 

Come Maria di Màgdala, Pietro e Giovanni, anche noi siamo sbigottiti di fronte all’assenza del Signore: il problema di tutti è, infatti, che non troviamo mai Gesù dove siamo persuasi che debba essere. Cerchiamo sempre nei luoghi conosciuti, negli schemi e nelle idee, nelle esperienze e nelle abitudini, e niente, Lui non c'è mai.

Ho litigato con mia moglie, ma lo so, basta lasciar passare un paio d'ore, e poi riavvicinarsi con quel cioccolatino a cui non sa resistere, e chiederle perdono, semplicemente e umilmente. Ma stavolta no, il cioccolatino non l'ha neanche degnato di uno sguardo, e a me, due occhi piantati nei miei con una parola dentro come una pugnalata: ipocrita!

Ero sicuro che Gesù stesse per risuscitare da quel sepolcro in cui la litigata ci aveva sepolto, ho fatto le cose di sempre, e invece... solo "i teli e il sudario". Che significa? Posso credere, come vedere e iniziare a credere? Accogliendo quell' "ipocrita" ad esempio, che anche se incartato nell'ira e nel giudizio, non è altro che la verità. Avevi fatto della riconciliazione una tua liturgia, come quelle contro le quali si scagliavano i profeti. Avevi addomesticato il miracolo di Gesù, e il perdono tra voi era diventato qualcosa di scontato e meccanico, un effetto dovuto a quel rito che ripetevi con astuzia.

Come mille altre cose che facciamo in automatico, e la presenza di Cristo, il potere della sua risurrezione che si rinnova per pura Grazia, diviene qualcosa di normale e dovuto. Lo stupore delle prime volte evapora nell'abitudine. 

I matrimoni si frantumano sull'indifferenza che scaturisce dall'assuefazione al miracolo. No, non c'entra l'altro, se non in misura marginale. Questo lasciatelo dire agli psicologi e agli esperti di coppia. Com'è che lo chiamano? "Il calo del desiderio", dovuto, dicono allo spegnersi della passione e dell'emozione, all'abitudine e alla routine. L'altro diventa un soprammobile, lo spolveri ogni tanto, ma non ti ci fissi più con interesse ed entusiasmo, non ti coinvolge e attrae come all'inizio... 


Allora provi a truccarti e a vestirti diversamente, cambi pettinatura e profumo; forse un viaggetto da soli farebbe bene... Ma nulla serve, perché il problema non è il "soprammobile"; non è l'altro e tanto meno tu. Il problema è che il demonio è riuscito a cancellare a poco a poco la memoria dell'amore di Dio su cui si fonda ogni matrimonio illudendoci di avere tutto sotto controllo.

Il matrimonio è un miracolo che si rinnova ogni istante di ogni giorno. E' Cristo che apre il sepolcro e vince la morte facendo nella sua risurrezione dei due una sola carne. Dei due così come sono. Anche invecchiati, stanchi, preoccupati, depressi e non più sensuali come all'inizio. 

Il matrimonio è correre ogni mattina alla tomba nella quale precipitiamo a causa dei nostri peccati, e lasciarsi stupire dall'imprevedibile che Dio vuole operare. L'altro è diventato un soprammobile? Non basta più dargli una lucidata, neanche il sidol di gesti consueti e religiosi è capace di farlo tornare splendente e accattivante. 

Occorre entrare nella realtà, senza sfuggirle con metodi e strumenti umani, perché Dio non cuce toppe, non versa vino nuovo in otri vecchi. Dio fa nuove, ogni giorno, tutte le cose. Risuscita suo Figlio e lascia il "segno" della sua vittoria proprio dove tutto sembra sepolto. 

Soffriamo nel matrimonio, come in qualunque altra relazione, perché abbiamo chiuso gli occhi sui "segni": non vediamo più la resurrezione di Cristo nelle bende della vecchiaia, del carattere, della stanchezza dell'altro. E non ci gettiamo più nella novità dell'amore che fa uscire trasfigurato dal sudario e dalla tomba ciò che sembra ormai senza vita.  

Abbiamo dimenticato che ogni mattina inizia per noi il “primo giorno della settimana”, perché l'amore di Dio rinnova in modo sorprendente la nostra vita, facendo indissolubile e giovane ogni matrimonio, ogni gesto e parola, tutta la nostra vita.

Coraggio, perché la “settimana” di peccati e dimenticanze, nella quale il demonio ci ha ingannati spingendoci a tradire Cristo, è scivolata via: il Signore, disceso nella tomba per noi, è risorto, e una luce nuova ci ha accolto. 

Come nella notte di Natale, Dio ci dona anche oggi dei segni per aprire gli occhi e “cominciare a credere”, simili a quelli offerti nella grotta di Betlemme: qui un Bambino avvolto in fasce per accendere gioia e speranza, nella grotta del sepolcro “teli posati là” e un “sudario non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte”, tutto offerto per “vedere e credere”. 

Al centro, il corpo di Gesù, il “luogo” dove credere, perché la fede è l’incontro con una Persona viva. E’ Lui il “segno” che ci annuncia l’impossibile divenuto possibile, il mistero da scoprire nella propria storia: un Bambino come tutti gli altri che celava la divinità onnipotente, i "teli e il sudario" che indicavano la resurrezione.

Per scoprire il mistero occorre però la fede capace di vedere il senso profondo celato nei segni. La fede che si apre all'opera di Dio celata nel segno che è la nostra vita concreta di ogni giorno. Ma per avere fede è necessario imbatterci nell’oscurità che suppone il cammino sempre nuovo che Dio prepara per noi; andare con i pastori che sono immagine della comunità verso il "luogo" che l'annuncio della predicazione ci ha indicato. E giunti sulla soglia aspettare Pietro, ovvero i pastori e i catechisti, che ci confermino nel cammino ed "entrino" con noi nella volontà di Dio.

Di essa è sono immagine la grotta dove Dio si è fatto uomo e il sepolcro dove è passato nella morte, per “vedere” la nostra carne, la storia concreta di ciascuno, sciolta dalle catene della paura, del peccato e della morte. 

“Corriamo” allora senza indugio, come i pastori raggiunti dall’annuncio dell’angelo, e come Pietro e Giovanni investiti dallo stupore di Maria; corriamo obbedendo all’annuncio della Chiesa e non temiamo di “entrare” nel dolore e nella delusione per scoprire che, proprio lì, Gesù ha deposto il “segno” che ci apre alla gioia e alla speranza. 




Come l'apostolo Giovanni che festeggiamo oggi, siamo amati dal Signore! Lui ci ha affidati alle cure materne di sua Madre! Seduti a mensa con Lui nella Chiesa, mentre lo ascoltiamo e ci nutriamo dei suoi sacramenti, possiamo reclinarci sul suo petto per imparare a “inchinarci” sin dentro il sepolcro dove ha vinto la morte.

Con Pietro e Giovanni, infatti, l'istituzione e il carisma con cui Dio conduce la Chiesa, scendiamo i gradini dell'umiltà per entrare nel sepolcro che è anche immagine del nostro battesimo. E' il cammino degli apostoli e di ogni cristiano, per deporre il vestito dell'uomo vecchio e rivestire quelli splendenti di vita del nuovo.

I teli e il sudario che hanno avvolto le nostre vite esanimi, ci parlano e testimoniano di questo “primo giorno” della vita nuova nel quale il Signore ci ha attirati. Come lo sposo del Cantico dei Cantici, per attirarci a correre dietro di Lui, ha lasciato per noi, dentro la nostra storia, le tracce della sua vittoria, il profumo del suo amore sulla pietra ribaltata del sepolcro, il principio di una vita nuova che non sconvolge la precedente ma vi dà compimento secondo un ordine nuovo che non conosciamo. 

E’ su quei "teli" che ci dicono la nostra carne sepolta con Cristo nella morte che dobbiamo puntare lo sguardo, come sulle ferite che Gesù mostrerà la sera di quel giorno: nessuno avrebbe potuto trafugare il corpo e lasciarli in quel modo, come nessuno salverebbe la nostra vita senza distruggere con disprezzo quello che non va bene. 













E’ proprio questo l’indizio che Dio lascia a tutti noi: il matrimonio, il lavoro, gli amici, le nostre cose e i nostri affetti sono ancora tutti con noi, ma disposti in un modo diverso, perché il corpo risorto del Signore scivola tra le bende con dolcezza, trasfigurandole con la sua impronta gloriosa, per condurci a seguire le sue orme nella vita nuova dell'amore che non è mai abitudine da poter gestire. 

La nostra vita è come la Sindone, tracce di una luce immensa che filtra tra le piaghe: questo è il segno che ci è offerto per aprirci alla fede. La notte ha ormai lasciato il passo al giorno, è tempo di “tornare a casa”, come i pastori e come gli apostoli, camminando nella fede perché essa maturi sino a farsi adulta, capace cioè di riconoscere il Signore risorto nella nostra vita proprio dalle sue piaghe gloriose impresse in essa. 

Il suo amore più forte della morte e del peccato che si rivela nello scandalo della Croce e del perdono che ci spinge a donarci a Lui senza riserve, in un’amicizia e una familiarità incorruttibili: “Non vi spaventate, ma per questo ci vuole tempo, e occorre semplicità, purezza, abbandono. È il cammino più perfetto; che ci sia donato, a voi e a me, dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo” (Giovanni Taulero).





αποφθεγμα Apoftegma






Il Signore desidera fare di ciascuno di noi un discepolo
che vive una personale amicizia con Lui.
Per realizzare questo non basta seguirlo e ascoltarlo esteriormente;
bisogna anche vivere con Lui e come Lui.
Ciò è possibile soltanto nel contesto di un rapporto di grande familiarità,
pervaso dal calore di una totale fiducia.

Benedetto XVI


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