Giovedì della I settimana di Avvento






Parole


Le parole sono indifese, se ne possono servire gli assassini per uccidere e i santi per amare e annunciare il Vangelo. Per molti le parole sono l'unico certificato di esistenza in vita: quando si parla di un progetto è quasi come se lo lo si fosse già reaIizzato; si usano le parole come scalpelli perché scolpiscano la nostra figura nella vita e nella memoria degli altri, per essere considerati e amati. Ma di fronte alla storia, ogni parola è costretta a denudarsi perché la Croce rivela senza sconti la loro "saggezza" o la loro "stoltezza". Se in esse è viva la Parola fatta carne, si entra ogni giorno nella storia, con i dolori e le difficoltà. E si rimane lì, crocifissi, compiendo la "volontà di Dio". Oppure si tratta di parole vane, e un po' di "vento", la corrente d'aria d'un rimprovero o di un disprezzo, o il "torrente in piena" di una malattia, o la "pioggia" di un fallimento e tutta l'impalcatura della nostra vita cade ed è una "rovina grande". Per entrare nel Regno dei Cieli non basta "dire Signore, Signore", perché la comunione e l'intimità con Cristo e con ogni persona sgorgano dall'obbedienza; essa, infatti, ci strappa dai sogni e dalle illusioni, e ci fa percorrere il sentiero della storia con autenticità, il luogo dove il Regno di Dio si fa "vicino" a noi. "L'obbedienza alla  verità dovrebbe "castificare" la nostra anima, e così guidare alla retta parola e alla retta azione. In altri termini, parlare per trovare applausi, parlare orientandosi a quanto gli uomini vogliono sentire, parlare in obbedienza alla dittatura delle opinione comuni, è come una specie di prostituzione della parola e dell'anima. La "castità" a cui allude l’apostolo Pietro è non sottomettersi a questi standard, non cercare gli applausi, ma realmente purificati e resi casti dall'obbedienza alla verità, la verità parli in noi" (Benedetto XVI, Omelia del 6 ottobre 2006). Esiste dunque la possibilità di vivere e parlare con un cuore di prostituta; cercare di venderci a Lui e agli altri attraverso parole e gesti ipocriti. Non a caso le parole di Gesù giungono al termine del Discorso della Montagna: tutto quanto vi è in esso annunciato può divenire un terribile moralismo, impossibile da compiersi se non in un'ipocrita apparenza. Ma proprio in esse si può vedere in filigrana la vita di Gesù: fondato sulla Roccia, pur investito dalla tempesta della morte, non è crollato, ma è risorto dalla tomba. Gesù è stato casto nell'anima e nella parola, non ha bluffato davanti al Padre, "ha fatto la sua volontà" e per questo è "entrato nel Regno dei Cieli". La parola “volontà” - in greco  Thelema - è la traduzione di due termini ebraici: hapetz e ratzah. Sorprendentemente scopriamo che le due radici non rimandano a verbi quali “comandare, imporre, ordinare”, ma significano invece “compiacersi - provare gioia - desiderare ardentemente”. "Compiere la volontà di Dio" non significa chissà quale sacrificio della propria indipendenza e dei propri desideri; al contrario, in essa vi è l'incontro tra la gioia, il compiacimento e il desiderio ardente di Dio e dell'uomo. Castificare l'anima significa dunque immergersi nella gioia di Cristo scaturita dall'obbedienza del Getsemani. Non dobbiamo gonfiare i polmoni e gridare "Signore, Signore!", ma riconoscere e accettare la nostra piccolezza indigente schiava della propria volontà e consegnarla alla castità perfetta di Cristo. E' sufficiente sostituire la preghiera alle parole per entrare con Lui nel Getsemani di ogni giorno, casa, scuola, lavoro, e lasciarci "trascinare" nelle sue caste e obbedienti parole rivolte al Padre. Quanto abbiamo bisogno di castità autentica nei dialoghi a colazione e a cena, in ufficio e a scuola. Castità che rispetta l'intimità dell'altro, che non insiste con le parole, che sa fermarsi senza sporcare e usare dell'altro per soddisfare se stessi. Digiunare dalle parole vane per consegnare il fratello all'amore e alla misericordia di Dio. L'Avvento ci chiama a deporre ogni istante della nostra vita nell'obbedienza di Cristo che ne fa una sua parola purificata e offerta al Padre: "Se non riesci a “osservare i comandamenti” non considerarti mai perso, non ti inacidire in modo moralistico o volontaristico. Più a fondo, più in basso della tua vergogna o della tua caduta c’è Cristo. Volgiti a lui, lascia che ti ami, che ti comunichi la sua forza. E’ inutile che ti accanisci in superficie: è il cuore che deve capovolgersi. Non devi cercare nemmeno innanzitutto di amare Dio, ti basta capire che Dio ti ama. Oggi." (Olivier Clèment).




L'ANNUNCIO
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli.
Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia.
Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande”.
  (Dal Vangelo secondo Matteo 7,21.24-27)





E' vero. Ci piace, normalmente, parlarci addosso. E annegare chi ci sta intorno con fiumi di parole. Ci sembra che i nostri discorsi scolpiscano la nostra figura nella vita degli altri, ogni parola un colpo di scalpello nella memoria del prossimo, per essere considerati e amati. Nelle parole trasferiamo i sentimenti, le nostre idee, e ne facciamo gli ambasciatori del nostro io. Più spesso, riconosciamolo, le parole sono armi puntate alla tempia di chi ci si mette contro, o si risolvono in semplici contenitori di bugie, frottole gonfiate per difenderci o affermarci.

I Padri mettevano in guardia circa la possibilità molto concreta che gli annunciatori della Parola possano divenire megafoni di se stessi e delle proprie fobie. Cembali che tintinnano. E' vero, la parola è uno strumento indifeso, è facilmente strumentalizzabile, gli usi possibili sono infiniti. Ma di fronte alla storia, alla cruda realtà della vita, ogni parola è costretta a rivelarsi per quello che è: menzogna o verità. Non basta dire, occorre che il detto abbia un contenuto, e che sia vero. 



Non basta gridare e affermare, occorre che le parole abbiano un fondamento nella vita vissuta, che siano "ragionevoli", "sagge", che si possano comprendere perché dimostrabili. Che siano un annuncio o una testimonianza che sgorgano da un'esperienza. A tale proposito, parlando ai teologi, Benedetto XVI cita "una bellissima parola della Prima Lettera di San Pietro. In latino suona così: «Castificantes animas nostras in oboedentia veritatis». L'obbedienza alla verità dovrebbe "castificare" la nostra anima, e così guidare alla retta parola e alla retta azione. In altri termini, parlare per trovare applausi, parlare orientandosi a quanto gli uomini vogliono sentire, parlare in obbedienza alla dittatura delle opinione comuni, è considerato come una specie di prostituzione della parola e dell'animaLa "castità" a cui allude l’apostolo Pietro è non sottomettersi a questi standard, non cercare gli applausi, ma cercare l'obbedienza alla verità. E penso che questa sia la virtù fondamentale del teologo, questa disciplina anche dura dell'obbedienza alla verità che ci fa collaboratori della verità, bocca della verità, perché non parliamo noi in questo fiume di parole di oggi, ma realmente purificati e resi casti dall'obbedienza alla verità, la verità parli in noi. E possiamo così essere veramente portatori della verità"  (Benedetto XVI, Omelia del 6 ottobre 2006).

Di fronte alla storia, alla cruda realtà della vita, ogni parola è costretta a rivelarsi per quello che è: menzogna o verità. Non basta dire, occorre che il detto abbia un contenuto, e che sia vero. Non basta gridare e affermare, occorre che le parole abbiano un fondamento nella vita vissuta, che siano "ragionevoli", "sagge", che si possano comprendere perché dimostrabili. Che siano un annuncio o una testimonianza che sgorgano da un'esperienza. Quanto Benedetto XVI ha detto ai teologi, viene oggi annunciato a ciascuno di noi. Castificare l'anima per non cadere in una prostituzione della parola, per non venderci attraverso le parole. E, nel contesto del Vangelo di oggi, la questione si fa ancora più seria: si tratta di purificare il nostro essere per non cadere in un rapporto falso con il Signore. 



All'orizzonte si staglia il Giudizio, cui tutti siamo sottoposti giorno dopo giorno, momento dopo momento, sino a quello che ci attende l'ultimo giorno. Esiste la possibilità di vivere e parlare a Dio con un cuore di prostituta: venderci a Lui attraverso sforzi e moralismi esibiti come diritti acquisiti sul campo, senza un briciolo d'amore. Pregare, compiere riti, spendere la vita nella missione, fare tutto nell'illusione di esserci consegnati a Lui, mentre ogni pensiero, ogni moto del cuore, ogni azione è un continuo difendersi per affermare se stessi. 

Non a caso le parole di Gesù giungono al termine del Discorso della Montagna: tutto quanto vi è in esso annunciato può divenire un terribile moralismo, impossibile da compiersi se non in un'ipocrita apparenza. Ogni parola pronunciata dal Signore esprime invece il contenuto da Lui compiuto: Gesù parla perché ha obbedito, e realizzato quanto afferma. Lui può dire "Abbà, Padre" perché ha vissuto ogni istante nella sua intimità, obbedendo di cuore alla sua volontà.Gesù è Figlio perché ama. Non ha ingannato, non si è venduto, è stato piuttosto venduto... Ha vissuto sempre la Verità di una vita consegnata, totalmente, a suo Padre. Per questo, nel Discorso della Montagna, si può vedere in filigrana la vita e l'essere stesso di Gesù: fondato sulla Roccia, pur investito dalla tempesta della morte, non è crollato, ma è risorto dalla tomba. Gesù è stato casto nell'anima e nella parola, non ha bluffato davanti al Padre, e dinanzi a ciascuno di noi. Non si è sottomesso agli standard del mondo, all'ipocrisia del dire e non fare per ottenere successo. "Ha fatto" e per questo "ha detto"


Il liquido di contrasto d'ogni parola è infatti la volontà di Dio. Compiuta o non compiuta. Le menzogne hanno le gambe corte, non reggono il passo della storia. Una casa o è costruita sulla Roccia, sull'ascolto della Parola fatta carne che ha il potere di realizzarsi, o è costruita sulla sabbia, sui "vorrei ma ho tanto da fare, i buoi, il lavoro, lo studio, l'attività pastorale, la famiglia....". La sofferenza, le difficoltà, la Croce, rivelano il valore delle nostre parole. E appare la nostra stoltezza. Nella storia si spogliano i nostri discorsi e si svelano le nudità. Carne o fumo. Se è Parola fatta carne, si entra nella storia, magari sbuffando, ma si entra. 

E si rimane lì, crocifissi, perché è lì che c'è la vita e perché è sulla croce che sta Cristo, vivo, e noi con Lui. Oppure è fumo, e un po' di vento, la corrente d'aria d'un rimprovero, qualcosa che non va per il verso giusto, o un torrente in piena, una malattia, un fallimento e tutta l'impalcatura della nostra vita così soavemente pubblicizzata dalle nostre parole svanisce senza lasciar traccia, se non quelle della disperazione. Una rovina grande e le false certezze, le vuote speranze crollano senza rimedio.




La saggezza è fare la volontà di Dio. La parola “volontà” - in greco  Thelema - è la traduzione di due termini ebraici: hapetz e ratzah. Sorprendentemente scopriamo che le due radici non rimandano a verbi quali “comandare imporre ordinare”, ma significano invece “compiacersi  - provare gioia  - desiderare ardentemente”. Compiere la volontà di Dio è allora l'incontro tra la gioia, il compiacersi e il desiderare ardentemente di Dio e dell'uomo. La volontà di Dio è il luogo dove si uniscono fecondamente la gioia del Padre e quella del Figlio. Si comprendono allora tante parole della Scrittura che assimilano la Torah  e il suo compiersi alla gioia del pio israelita. E le parole di Gesù nelle quali esprime il suo ardente desiderio di mangiare la Pasqua con i discepoli, e la gioia esultante di fronte alla rivelazione dei misteri del Regno ai suoi piccoli discepoli. 

E' la volontà del Padre che plana e si fa carne, e produce gioia, compiacimento, quello del Padre alla vita del Figlio che emerge dalle acque del battesimo, profezia del suo mistero pasquale culmine del compimento della sua volontà. Il Signore ha progetti di pace, non di sventura. Il Padre desidera ardentemente la gioia dei suoi figli! Castificare l'anima significa dunque immergersi nella gioia di Cristo, nella nostra piccolezza che ne è la ragione più pura. Non si tratta di gonfiare i polmoni e gridare "Signore, Signore!"; si tratta piuttosto di riconoscere la nostra impotenza, la debolezza e l'orgoglio che ci ferisce. Accettare la piccolezza indigente che ci consegna alla castità perfetta di Cristo. 





Entrare con Lui nel Getsemani di ogni giorno, casa, scuola, lavoro, e lasciarci "trascinare" nelle sue caste e obbedienti parole rivolte al Padre. Vivere ogni istante come dentro l'obbedienza di Cristo: ogni aspetto della nostra storia e del nostro essere è una parola di Gesù purificata e  consegnata al Padre. Per questo Egli dice: "“Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di Colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma lo risusciti nell’ultimo giorno” (Gv 6,38-39). Ogni istante ci è dato come un frammento attraverso il quale Gesù ci possa custodire e deporre nell'eternità, senza tralasciare nulla. Tutto è santo, e contribuisce al bene, alla gioia, al compimento della nostra vita.   


Ma è difficile. Impossibile agli uomini. I libri sapienziali abbondano di sentenze sulle vuote parole non accompagnate dai fatti. Ma è così naturale per noi, parlare è quasi già un agire; ci sembra che per aver detto qualcosa sia già come avere cominciato a realizzarlo. Ma non è vero. Ci illudiamo e basta. Per questo oggi appare un angelo nella nostra vita, lo stesso che visitò Maria nella casa di Nazaret: "Non temere, nulla è impossibile a Dio!". 



E' sufficiente sostituire la preghiera alle parole. Inginocchiarsi, come Maria, e rimettere la propria incapacità, la propria debolezza nelle mani del Padre. Come Gesù nell'orto degli ulivi. Siamo deboli, non possiamo, abbiamo altre volontà e altri desideri. Abbiamo paura. Ma Gesù ha pregato per tutti noi, perché anche noi possiamo approfittare della Sua preghiera, delle Sue Parole. "Amici miei, non abbiate paura di puntare su Cristo! Abbiate nostalgia di Cristo, come fondamento della vita! Accendete in voi il desiderio di costruire la vostra vita con Lui e per Lui! Perché non può perdere colui che punta tutto sull'amore crocifisso del Verbo incarnato" (Benedetto XVI). 

Recita un salmo: "Ma quando sono scosse le fondamenta, il giusto che cosa può fare?". Quando non si hanno più certezze, quando la vita ti spinge in mare aperto, di notte, in mezzo alla nebbia; quando né la famiglia, né il lavoro, né la salute, neanche te stesso riescono a dare un briciolo di stabilità; quando il diluvio si abbatte sulla casa, quando sei trascinato in esilio e nulla ti è più familiare, il giusto che cosa può fare? Colui che vive nell'unica giustizia che salva, quella della Croce, che cosa può fare? Fermarsi e sedersi, solitario e silenzioso, con la bocca nella polvere, e rimettere tutto a Dio. E attendere, entrare nell'Avvento, nella storia concreta che si è divorata le fondamenta, perché il giusto che ha puntato tutto sull'amore crocifisso vedrà la Luce, il Cielo aprirsi, la verità svelata. Perché è proprio quando tutto trema che si può fare l'esperienza incontrovertibile dell'esistenza di Dio. 

La parola di Gesù si compie oggi in noi. In Lui, che è stato solo sì al Padre, possiamo dire "amen", e fondare la vita sulla Roccia del suo amore che ci attira e consegna a Dio come in un'offerta di soave odore: "Se non riesci a “osservare i comandamenti” non considerarti mai perso, non ti  inacidire in modo moralistico o volontaristico. Più a fondo, più in basso della tua vergogna o della tua caduta c’è Cristo. Volgiti a lui, lascia che ti ami, che ti comunichi la sua forza. E’ inutile che ti accanisci in superficie: è il cuore che deve capovolgersi. Non devi cercare nemmeno innanzitutto di amare Dio, ti basta capire che Dio ti ama (O. Clèment). 





Oggi. Con Gesù e sua Madre oggi possiamo prostrarci e implorare che si compia in noi secondo le Parole che Dio ha detto per noi. Che si realizzi la Sua volontà in noi. Si tratta solo di abbandonarsi al Signore attraverso Maria, nella Chiesa, in un cammino di pace, quella di chi fa la volontà di Dio. Gratuitamente, come un dono del Padre. Ai piedi di Gesù, castificati nella sua castità, obbedienti nella sua obbedienza, proseguiamo il nostro Avvento. Guardare al Padre con gli occhi di Cristo nella nostra anima e ripetere, senza timore, Sia fatta la tua volontà: "una preghiera di tal genere potrà liberarla dal profondo del cuore colui che crede aver Dio disposto tutte le cose di questo mondo per il nostro bene: gioie e dolori. Chi prega così deve credere che la Provvidenza divina ha più sollecitudini per la salvezza e il bene di coloro che ad essa si affidano, di quel che non siamo solleciti noi per noi stessi (Agostino, Confessioni, 9.20).

APPROFONDIMENTI









αποφθεγμα Apoftegma






Le parole di Gesù sono nate nel suo silenzio sul Monte, 
come dice la Scrittura, nel suo essere col Padre. 
Da questo silenzio della comunione col Padre, 
dell'essere immerso nel Padre, 
nascono le parole e solo arrivando a questo punto, 
e partendo da questo punto, 
arriviamo alla vera profondità della Parola 
e possiamo essere noi autentici interpreti della Parola. 
Il Signore ci invita, parlando, di salire con Lui sul Monte, 
nel suo silenzio
imparare così, di nuovo, il vero senso delle parole.

Benedetto XVI



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