Martedì della III settimana di Avvento




"Due figli"



Tempo di Grazia, l'Avvento parla a coloro "presso" i quali Dio è "venuto". Nel brano odierno, infatti, leggiamo che l'uomo si era "avvicinato" ai due figli. Nella traduzione leggiamo "rivoltosi", ma non rende il senso originale: "Un uomo aveva due figli, ed essendo venuto presso di loro, disse al primo...". Questo è fondamentale, altrimenti non si riesce a capire il senso profondo delle parole di Gesù, che non hanno nulla di moralistico e volontaristico. L'iniziativa è dell'"uomo che aveva due figli", immagine del Padre che si è fatto prossimo alle sue creature. Tutto inizia da qui. Per questo l'Avvento non è un azzeramento, uno stop and go. No, anche quest'anno ci coglie in una storia di salvezza che Dio ha iniziato molto prima di oggi, da quando, creando l'uomo libero, ha disposto per lui peccatore la possibilità del pentimento e del ritorno. L'Avvento, quindi, è innanzitutto un tempo che ridesta la memoria dell'opera di Dio. Siamo noi i figli dell'uomo della parabola. Non siamo frutto di un caso, ma dell'amore infinito di Dio. Se non sei felice perché hai smarrito l'amore nella tua vita, allora il Vangelo di oggi è per te, figlio disperso di Dio. O credi che Gesù si adiri con i "principi dei sacerdoti e gli anziani del popolo" come facciamo noi, orgogliosi e superbi che giudichiamo gli altri senza pietà? Gesù parla nella Verità per amore, ardendo di zelo per la sua casa, per la sua Chiesa; se è corrotta e ipocrita, se ha dimenticato il suo primo amore, non può compiere la sua missione. Dio, infatti, amando noi ama ogni uomo! Per questo nella parabola Gesù parla di un "uomo". Parla di se stesso, Dio fatto "uomo", Figlio di Dio "venuto" presso ogni "uomo" per riportarlo a casa, nel "Regno di Dio", riscattato e figlio nel Figlio. Così Gesù "viene" anche oggi "presso di noi" per illuminarci. Dicendoci "vai a lavorare nella vigna" ci sta inviando nella nostra vita per "operare" in vista del Regno di Dio, e non per un “salario” mondano. Ma tu, come hai ascoltato la Parola del Signore? Se l'hai ascoltata con un cuore doppio, allora di certo starai scappando da tutto ciò che odora a sacrificio e sofferenza, perché non credi che la volontà di Dio sia per te fonte di pace. Non hai sperimentato che il "Regno di Dio" è già in mezzo a noi, nella tua storia, che Dio conduce per farti felice nell'incontro quotidiano con Lui. O forse il demonio ti ha scippato i memoriali, l'esperienza che "andare a lavorarci" significa libertà da se stessi in un amore che ha il sapore della vita eterna. Vivi ancora nel mondo, pur essendo nella Chiesa. Come il figlio che sembra obbedire ma non va; prega, va a messa, è onesto, paga le tasse, ma non ama nessuno, perché sfugge alla Croce che suppone donarsi a chi ha accanto. Infatti, rispondendo al padre, non dice "amen", sia fatta la tua volontà, come la Vergine Maria. E' ancora schiavo del demonio e della sua menzogna e per questo dice "ego", io, e basta. Vive in sé, illudendosi di bastare a se stesso. E' così, vero? E' così per molti di noi. Per questo l'Avvento viene a destarci dal sonno nel quale ci siamo rifugiati per scappare dal "lavoro" che Dio ci ha affidato. Coraggio, non siamo diversi da "pubblicani e prostitute": siamo corrotti, avidi e avari, e ci vendiamo a chi ci offre più affetto e considerazione. Ma se non ce la facciamo più a vivere come loro, e la contraddizione ci dilania il cuore, in questo Avvento il nostro "no" può diventare un "sì": "pentiamoci", lasciando che la Parola ci giudichi e ci disarmi. Buttiamo via la mentalità con la quale abbiamo guardato la storia per discernere come agire, ci ha fatto solo soffrire. Consegniamoci alla misericordia di Dio che ci "viene" di nuovo vicino attraverso la Chiesa: confessiamoci, inginocchiamoci e chiediamo perdono a Dio prima e ai fratelli poi, al marito, alla moglie, ai figli, ai parenti e colleghi. Sono loro la "vigna" nella quale non siamo andati ad "operare" il bene che Dio aveva previsto. In loro appare la storia che, ancora una volta, il Signore ci pone dinanzi. Possiamo "passare avanti" all'uomo vecchio centrato su stesso, che si sforza e si illude di farcela mentre non può compiere nemmeno uno iota della Legge, per entrare già oggi nel Regno dei Cieli obbedendo alla chiamata di Dio. No, il mondo non ci ha reso felici perché gli abbiamo chiesto quello che solo Dio può darci. Ma, con il cuore colmo di Spirito Santo che vi riversa l'amore di Cristo, possiamo andare a far felice chi nel mondo giace senza speranza. E' il "lavoro" di questo Avvento, un passo in più verso l'appuntamento con Cristo, lo Sposo che "viene" nella "vigna" a unirsi alla Sposa, a scendere nella nostra storia per farla santa, e gioiosa, un anticipo del Cielo. Non ci è chiesto che andare e restare nella vigna, nella volontà di Dio per noi. In essa Gesù scenderà, si unirà a noi per dare frutto. E poi, l'uva che nascerà, colma di vita e di amore, sarà distribuita fuori della vigna, vino squisito a rallegrare di speranza chi ci è accanto.
    

QUI IL COMMENTO COMPLETO E GLI APPROFONDIMENTI 






L'ANNUNCIO
In quel tempo, Gesù disse ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: “Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli; rivoltosi al primo disse: Figlio, va’ oggi a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Sì, signore; ma non andò.
Rivoltosi al secondo, gli disse lo stesso. Ed egli rispose: Non ne ho voglia; ma poi, pentitosi, ci andò.
Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?”. Dicono: “L’ultimo”.
E Gesù disse loro: “In verità vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. È venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli”. 
 (Dal Vangelo secondo Matteo 21,28-32)







E' splendido il Vangelo di oggi, che rivela un aspetto vero e fondamentale della vita cristiana. Da un lato le false certezze di chi presume di "farcela", d'essere pronto a compiere la volontà di Dio, il pelagiano moralista che crede di poter risolvere le questioni con le sue sole forze. Dall'altro lato la fotografia di un comunissimo e realissimo "carnal mormoratore". L'allora Card. Ratzinger affermava in una Conferenza: "La Chiesa può sorgere solo là dove l'uomo accetta la sua verità, e questa verità consiste precisamente nel fatto che egli ha bisogno della grazia. Dove l'orgoglio gli preclude questa conoscenza, egli non trova la strada che porta a Gesù".

Su tutto invece, risplende la Grazia che coinvolge la natura. Essa, come diceva San Tommaso d'Aquino, non la cancella ma la trasforma: “Gratia non tollit naturam, sed perficit”, "la grazia di Dio non distrugge la natura umana, ma la porta alla perfezione". Spesso il primo impulso di fronte ad una Volontà Divina che non ci piace è un moto di fastidio; "ignorare che l'uomo ha una natura ferita, incline al male, è causa di gravi errori nel campo dell'educazione, della politica, dell'azione sociale e dei costumi" insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 407). E' un'esperienza comune rifiutare di primo acchitto le situzioni sgradevoli. Le ferite del peccato originale non sono solo un'idea.


Per questo la pagina del Vangelo di oggi è la sintesi forse più profonda di quel che davvero accade nel cuore d'un uomo bagnato dalla Grazia. Di uomini, donne, reali e carnali, non semplici angeli passati per caso sulla terra. Per questo Gesù parla delle prostitute e dei pubblicani che hanno accolto la Buona Notizia di Giovanni, la possibilità di salvezza che si schiude dalla conversione, il cui frutto più evidente è il pentimento. Insegna ancora il Catechismo che "il mistero dell'iniquità (2 Ts 2,7) si illumina soltanto alla luce del mistero della pietà. La rivelazione dell'amore divino in Cristo ha manifestato ad un tempo l'estensione del male e la sovrabbondanza della grazia" (N. 385)


E' stata questa l'esperienza dei peccatori in fila silenziosa per ricevere il battesimo di Giovanni. Un cuore contrito e umiliato che Dio non disprezza. L'unico atteggiamento possibile, un cuore frantumato dalle Parole di Grazia dell'Annuncio Evangelico. La Parola ascoltata, accolta e sigillata per mezzo dello Spirito Santo: "La preparazione dell'uomo ad accogliere la grazia è già un'opera della grazia. Questa è necessaria per suscitare e sostenere la nostra collaborazione alla giustificazione mediante la fede, e alla santificazione mediante la carità. Dio porta a compimento in noi quello che ha cominciato: « Egli infatti incomincia facendo in modo, con il suo intervento, che noi vogliamo; egli porta a compimento, cooperando con i moti della nostra volontà già convertita» (Sant'Agostino, De gratia et libero arbitrio, 17, 33: PL 44, 901)" come puntualizza ancora il Catechismo (N. 2001).


Ne restano fuori coloro che, chiusi in un malinteso atteggiamento "religioso", presumono d'aver capito, d'essere a posto. I tanti "giustizieri" che, immaginandosi perfetti o quasi, s'arrogano il diritto di dispensare scudisciate a destra e a manca contro le tante ingiustizie che insanguinano il mondo. Non che non si debbano denunciare le ingiustizie e i peccati, ma è la superbia che fa suonare anche le più sacrosante verità d'una musica falsa ed ipocrita. Gli strepiti dei Catari e Manichei d'ogni tempo che giudicano, dimenticando d'esserne responsabili esattamente come tutti gli altri. L'allora Card. Ratzinger definiva questo vizio come il pelagianesimo dei pii. "Essi non vogliono avere nessun perdono e, in genere, nessun dono da Dio. Essi vogliono essere in ordine, non perdono ma giusta ricompensa. Vorrebbero sicurezza, non speranza... un diritto alla beatitudine. Manca loro l'umiltà essenziale ad ogni atto d'amore, l'umiltà di ricevere doni al di là del nostro agire o meritare... Così questo pelagianesimo è un'apostasia dall'amore e dalla speranza, ma, in profondità, anche dalla fede. Il cuore dell'uomo allora diventa duro verso gli altri, verso se stesso e verso Dio... Mette se stesso nel diritto e un Dio che non collabora diventa suo nemico." (J. Ratzinger, Guardare Cristo. Esercizi di fede, speranza e carità). 


Non a caso il Signore, ancora una volta, ci presenta una parabola con due figli, per ricordarci che l'apparenza inganna. Quanti genitori, educatori e pastori si lasciano abbacinare dalla parvenza di giustizia sfoderata dai pelagiani pii. Quanto rancore, quanta menzogna si nasconde dietro agli atteggiamenti pseudo - remissivi dei nostri figli, dei giovani, e non solo. Spesso è proprio sotto la scorza più dura, come ad esempio fu quella di San Francesco Saverio, che invece si cela un cuore docile, contrito, balbettante il desiderio di obbedire. Ignazio di Loyola confidava al segretario della Compagnia Polanco: "Tra i primi compagni, l’impasto più grezzo che mi capitò di maneggiare fu il giovane Francesco Saverio". 

A volte occorre guardare ai nostri figli come a dei pubblicani e a delle prostitute, e non si tratta di un'iperbole. Metterli controluce, al chiarore del Vangelo di oggi, e lasciare che si svelino le forme autentiche del loro intimo, le loro debolezze, i loro peccati. Per aiutarli, per amarli laddove si trovano. Guardarli senza sconti, per illuminare l'ipocrisia che cela la paura, e la paura travestita da arroganza. Per accompagnare, l'uno e l'altro, sul cammino della volontà di Dio, ciascuno secondo la propria natura. Disinnescare il pelagianesimo incipiente nel figlio perfettino, e sciogliere l'acido polemico che scorre nel figlio ribelle. Educare entrambi nella certezza che la Grazia supplisce e completa sempre la natura, qualunque essa sia, senza distruggerla, come al contrario vorremmo fare noi, per toglierci d'impaccio e respirare un po' di pace. Basta invece non prendere abbagli e confondere le diverse nature: per questo è necessario restare aggrappati alla Parola di Dio, e, alla sua luce, discernere momento per momento. 


Ma i due figli sono anche il paradigma di ogni relazione: quante liti potrebbero essere evitate se, invece di arrestarsi ai primi moti dell'animo altrui, alle resistenze e alle mormorazioni, sapessimo guardare oltre, con gli occhi di Dio. Egli non guarda l'aspetto, punta sempre diritto al cuore; anche quello del marito quando torna nervoso e accidioso da una giornata di lavoro e trascura sua moglie; o quello della moglie, presa nelle ragnatele dei suoi pensieri, o affogata tra pannolini, capricci e crisi adolescenziali dei figli, e vomita tutto sul marito appena rientrato; anche quando il primo impatto è con un cumulo di macerie, vite distrutte, franate sotto le scosse dei peccati. Gli occhi del Padre sanno intercettare sempre la vita che si nasconde sotto i calcinacci della storia dei propri figli. Come anche l'inganno celato dietro i villini a schiera di esistenze "a posto", senza crepe e storture. 

Come quelle, tutta apparenza, dei principi dei sacerdoti e degli anziani del popolo, ma non solo. E' infatti un atteggiamento diffuso e non lontano da noi, dalle nostre famiglie, dai nostri uffici, dalle file agli uffici postali, dalle nostre riunioni di condominio, dalle vie trafficate che ci conducono ai posti di lavoro o ai luoghi delle vacanze. E sembra impossibile che il nostro cuore possa cambiare, che la pietra divenga carne. Ma c'è la Grazia. Essa è come una goccia d'acqua che instancabilmente scivola su un pezzo di ferro sino a corroderlo e a frantumarlo. E' ferro il nostro cuore oppresso dalle concupiscenze, dalle passioni, dal peso d'un passato non riconciliato. Dai peccati accumulati in una vita. Ed è acqua pura e silenziosa la Grazia che nel tempo lo bagna attraverso la predicazione, la Parola di Dio, i sacramenti, le persone e i fatti che Dio manda alla nostra vita, come in un cammino di conversione che spezzetta l'uomo vecchio sino a lasciarlo cadavere nelle acque del battesimo. Siamo duri e cocciuti, ma di tutto è più forte la Grazia d'amore del Signore.

C'è una figura nella letteratura che illustra magistralmente l'opera silenziosa della Grazia nel cuore dell'uomo. E' Kristin, la protagonista del romanzo "Kristin figlia di Lavrans". «L'ultimo pensiero chiaro [è scritto nelle ultime pagine, quando Kristin sta per morire] che ebbe fu che sarebbe morta prima che quei segni [i segni fatti misteriosamente da Dio sulla sua mano] fossero scomparsi, e la cosa le fece un gran piacere. Era un miracolo, qualcosa di incomprensibile, ma una cosa certa: Dio, ella lo sapeva, aveva stretto un patto con lei, un patto d'amore col quale la legava a sé in eterno, indipendentemente dalla sua volontà [la volontà ferita, il primo impulso di fronte ai fatti, alle tentazioni, un impulso che spesso si risolve in una catena di impulsi e anche, drammaticamente, di peccati], dai suoi pensieri terreni, questo amore era esistito sempre in lei [vi è un grido dello Spirito Santo al fondo del cuore di ciascuno, per quanto corrotto sia, un grido che non si può sopprimere e che accompagna l'uomo sino all'ultimo istante dell'agonia, un grido che può spegnersi solo con lo spirare, e per questo ogni uomo è un mistero e la Chiesa non può assolutamente dire chi sia sceso all'inferno, pur decretandone dogmaticamente l'esistenza], questo amore aveva agito come il sole sulla terra che dà alla fine i suoi frutti. Questi frutti nessuno avrebbe potuto distruggerli, né il fuoco dei desideri carnali, né l'orgoglio, né l'ira folle. Era stata serva di Dio, anche se ribelle, restìa, infedele nel cuore, con una preghiera falsa sulle labbra; una serva maldestra, insofferente davanti alla fatica, indecisa, ma Dio aveva voluto mantenerla lo stesso al suo servizio».


Kristin era stata una donna ferita, ma non mortalmente. La sua carne non era la parola definitiva sulla sua esistenza. La Grazia, inspiegabilmente, misteriosamente, l'aveva condotta ed ora, al crepuscolo della vita, le stigmate incancellabili dell'Amore divino le si svelavano. Nell'infedeltà la Fedeltà. Nell'incoerenza, la Coerenza. Nella carne la Grazia. E lei v'era stata. Era lì. Forse non avrebbe voluto, forse le sue labbra avranno detto mille volte che no, non ci sarebbe andata in quella vigna. Ma si trovava, ora, al limite estremo dell'esistenza, proprio lì, in quella vigna tante volte negata. E vi aveva lavorato e faticato, il sudore d'ogni giorno; e non se n'era accorta. Il mistero della santità è tutto racchiuso in questo sguardo rivolto alla vita dalla soglia del Cielo: "Chi ha fatto tutto questo nella mia vita?".

Farisei e sapientoni, ritti dinanzi all'altare, s'illudono di poter ringraziare per aver operato povere opere di carne senza Grazia alcuna. I pubblicani e le prostitute nascosti nella penombra dell'umiltà non alzano neanche lo sguardo. Ogni loro istante carnale è pregno di Grazia, la chiave per il Cielo. «Dopo l'esilio della terra, spero di gioire furtivamente di te nella Patria; ma non voglio accumulare meriti per il cielo: voglio spendermi per il tuo solo amore [...]. Alla sera di questa vita comparirò davanti a te con le mani vuote; infatti non ti chiedo, o Signore, di tener conto delle mie opere. Tutte le nostre giustizie non sono senza macchie ai tuoi occhi. Voglio perciò rivestirmi della tua giustizia e ricevere dal tuo amore l'eterno possesso di te stesso... » (Santa Teresa di Gesù Bambino, Atto di offerta all'Amore Misericordioso). L'Avvento è anche questo, ogni giorno l'anticipo dell'ultima sera della nostra vita, le nozze eterne con l'eterno amore. Per Lui, anche oggi, ogni nostra miseria, per noi, anche oggi, ogni Sua Grazia. Perchè, dopo aver visto le meraviglie del suo amore, possiamo convertirci ed entrare nel Regno preparato per noi. Non siamo migliori di nessuno, anzi. I nostri occhi hanno visto quello che molti avrebbero voluto vedere, e siamo ancora così chiusi e superbi... Che il Signore addolcisca il nostro cuore sino a convertirlo davvero; che possiamo abbandonarci al suo amore, nella consapevolezza di essere stati perdonati in anticipo, come diceva Santa Teresina, ma non per questo meritevoli di nulla. Umili, dietro a quanti non hanno visto se non un piccolo barlume della Luce potente che ha rischiarato la nostra vita, e, accogliendo la verità palese che preclude ogni difesa, si sono convertiti. Umili, seguiamo le orme dei piccoli che ci precedono nel cammino verso il gaudio eterno, l'Avvento del Signore.


APPROFONDIMENTI

Questa parabola di Gesù deve far riflettere attentamente - e anche tremare di paura - noi cristiani. Per molti aspetti, noi siamo, infatti, nelle condizioni di spirito degli ebrei.  Noi siamo il figlio cui Dio si è rivolto per primo chiamandolo a lavorare nella sua Vigna, cioè nella Chiesa. Noi siamo coloro che hanno detto una volta di sì. Abbiamo detto di sì con il battesimo e quanti altri ‘sì’ impliciti proferiamo nella nostra vita cristiana! Ma spesso questo ‘sì’ copre solo il rifiuto reale e crea una mentalità ipocrita. Il rischio è che noi ci facciamo una psicologia di salvati per diritto, di privilegiati della salvezza… (Padre R. Cantalamessa)



αποφθεγμα Apoftegma


Dotto, nel giusto senso della parola, 
è, in verità, colui che fa la volontà di Dio, 
buttando in un canto la propria volontà.

Imitazione di Cristo


Nessun commento: