Venerdì della IV settimana del Tempo Ordinario










Sì, si può perdere la testa per Gesù. Perché Lui è carne e sangue offerti alla Verità, è Vita che la rivela e Cammino che ad essa conduce. E ci sono sempre tagliatori di teste in cerca di poveri profeti disarmati che annunciano la Verità. Come quelli dell’Isis, il famigerato stato islamico, assetati di sangue nel quale affogare i cristiani. Le scene che i media ci presentano in ogni momento sono la tragica immagine di ciò che accadde a Giovanni Battista. Sgozzando i cristiani, infatti, credono di poter cancellare la Verità; per questo non risparmiano neanche i bambini, parte della comunità cristiana che testimonia con la sua sola presenza la Verità. E la verità, normalmente è scomoda; contesta la menzogna dei falsi profeti, degli intellettuali e dei filosofi, soprattutto quella che si traveste da verità per pervertire l'amore. Ne sappiamo qualcosa anche noi, quando qualcuno osa rimproverarci, evidenziarci un errore, un peccato. Per la Bibbia correggere un saggio è renderlo ancora più saggio. Correggere uno stolto invece, significa attirarne le ire. Facciamo due conti e vediamo da che parte stiamo. Probabilmente da quella dei tagliatori di teste, degli stolti, come Nabal, letteralmente, «colui al quale non si può dire nulla». Uno stolto, uno che per tacitare la verità e potersi rimirare tranquillo allo specchio non esita a ghigliottinare lo sprovveduto profeta. Eppure la verità ci fa liberi, smaschera il serpente antico e le sue menzogne che ci tengono schiavi, e apre la strada al liberatore, il Signore Gesù, la Verità incarnata per la nostra salvezza. "Non ti è lecito" gridava Giovanni Battista, e non per un rigido legalismo, ma perché sei creato per essere libero, felice, e non ti è lecito andare contro natura, il peccato non si addice all'uomo, genera la morte, sempre. Le parole di Giovanni illuminano Erode, sono dirette al fondo del suo cuore, laddove è deposto il seme della verità, del bene, della giustizia. Sono parole capaci di riportare alla luce quel frammento di umanità che, seppure sepolto da una montagna di menzogne, alberga nel cuore di ogni uomo. Erode si era infilato in una strada senza ritorno, condannandosi ad una vita sterile, chiusa nell'egoismo. Una vita infelice. "Se uno prende la moglie del fratello è una impurità, egli ha scoperto la nudità del fratello; non avranno figli" (cfr. Lv. 18,16 e 20,21). La maledizione più grande, non avere figli, scendere nella tomba senza una discendenza, segno di una vita senza frutto, scivolata via senza amore, senza consistenza, una vita in fumo. Quante volte ci ritroviamo, come Erode, preda di passioni ed entusiasmi che spengono lo sguardo in una fobia illusoria e annichiliscono ogni discernimento. Come Davide che, alla vista della bellezza di Betsabea, chiude in prigione ragione e fede, si lascia trascinare dai vortici della passione, e macchina piani e menzogne per dar corpo agli sconvolgimenti dell'istinto ormai senza freno. Morirà Uria, ucciso dalla malizia di Davide. E morirà il bambino nato dalla passione, perchè ogni pensiero e ogni azione che non siano ispirate da Dio attraverso la ragione illuminata dalla fede sono senza frutto. Erode «ascoltava perplesso», vigilava, temeva. Ma non era sufficiente. Aveva ormai consegnato il cuore a Erodiade. Al contrario di Davide, peccatore, fragile, ma uomo secondo il cuore di Dio. Il punto è tutto qui. Un cuore radicato in Dio, anche se cade, è capace di contrizione e di umiltà. Anche se la mareggiata della passione ne ha sconvolto gli equilibri, può tornare ad aggrapparsi all'àncora che non ha smesso di legarlo a se misteriosamente. Erode invece ha scelto il peccato, lo ha scelto nel fondo del suo intimo, laddove l'uomo è assolutamente libero e si giocano le sue sorti; Erode ha reciso la fune che lo legava all'àncora e la tempesta ha rotto, inesorabilmente, gli ormeggi. Lo si comprende al «momento propizio», che può essere quello in cui il Signore scuote la coscienza intorpidita, ma anche quello in cui il demonio sferra l’attacco decisivo.





Per Davide il «kairos» è giunto con il profeta Natan, le cui parole dissolvono la menzogna e lo conducono al pentimento: «ho peccato» risponde, senza accampare scuse e così, nel riconoscersi peccatore, Davide accetterà, umilmente, le sofferenze che ne conseguono. Erode non può. Il rancore di Erodiade, alla quale aveva consegnato l'anima, lo trascina nell'abisso, perché l'accendersi di una passione spalanca sempre il passo a peccati più gravi. Erode ha soffocato la ragione nella carne, e quando la sua carne si adagia in un «banchetto» che ne sazia le voglie, seduto sulla propria anima, si ritrova sordo e cieco, perde la memoria delle parole del profeta, e promette e consegna la sua vita ad un'immagine effimera, il corpo seducente di una ragazza, che appare ai suoi occhi come il frutto dell'albero agli occhi di Eva, «buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza». Ed è morte, della Verità prima, della sua anima poi. Il Vangelo di oggi ci chiama a conversione, a guardare senza sconti la nostra vita, a lasciarci illuminare sui compromessi, sulle situazioni pericolose nelle quali ci troviamo, proprio dove non abbiamo forza e volontà per tagliare, voltare pagina e abbandonarci alla fedeltà di Dio. Quell'amicizia che ci insinua calunnie sugli altri, quell'affetto troppo corposo, che ha già messo il laccio al cuore e ci ha deposto sul piano inclinato che conduce al tradimento; quel rancore che arde, sordo, sotto la cenere del tempo che vorremmo capace di essiccare il peccato; quell'adulazione che risuona nelle nostre orecchie e ci pianta al centro di un universo che ci appare ogni giorno più ostile a tutto quanto facciamo e pensiamo. Per questo l'episodio di Erode ci invita a chiedere a Dio la grazia del cuore di Davide, pronto al pentimento, a rientrare in se stesso come il figliol prodigo, ad ascoltare la voce dei profeti che, con amore e fermezza, ci chiamano a conversione: 
ispirati da Dio, i pastori, i catechisti, i fratelli, i genitori, il coniuge, illuminano quanto, nella nostra vita, «non è lecito» ed è destinato a restare senza figli, svelando la parte di noi che, infeconda, appartiene alla terra ed è incapace di ereditare il Cielo. La correzione, certo, quando arriva fa male, perché graffia l’orgoglio che ci vorrebbe impenitenti, ma poi reca il bene immenso della libertà. Lasciamo allora che l'annuncio del Vangelo ci raggiunga e sconvolga le nostre precarie certezze, accogliamo la correzione e la Verità, permettiamo al Signore di amarci come solo Lui sa, sino ad innamorarci perdutamente di Lui; solo radicati in Lui e partecipando della sua obbedienza alla Parola del Padre di fronte alle seduzioni del demonio, che presentano sempre il potere e il possesso come la fonte della felicità, potremo divenire i testimoni della Verità di cui il mondo ha bisogno. Liberi come Giovanni, senza paura e lontani dai compromessi, dalle ipocrisie e dai ricatti, sino a perdere la testa, per amore di chi ci è accanto, per Lui che ha perduto tutto per noi.


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