Martedì della VIII settimana del Tempo Ordinario





Pietro, nel Vangelo di oggi, ancora una volta dà voce alla Chiesa in una professione di fede che è un atto d'amore. Ma è un balbettio, non è ancora fede adulta. Centrale è infatti l'enfasi su quel "noi abbiamo...." che, nei passi paralleli degli altri vangeli, si fa anche domanda di ricompensa. Vi è ancora la carne che cerca un premio. Altre volte gli apostoli chiederanno a Gesù i posti migliori, riconoscimenti ufficiali. Nelle parole di Pietro possiamo ravvisare la tensione che sempre anima la Chiesa. E' vero che i suoi figli sono quelli che hanno lasciato tutto per seguire il Signore, ma è ancor più vero che l'abbandono di ogni sicurezza mondana è proprio l'impossibile fatto possibile da Dio, il miracolo che fa presente il Cielo, quello di cui ha parlato Gesù nel passo immediatamente precedente. Seguire Gesù è innanzitutto una liberazione. E' il segno di un incontro con la misericordia che strappa dalla schiavitù del peccato e della carne. La Chiesa che segue Gesù sul cammino della precarietà è così un segno per il mondo, una profezia del Cielo per tutti gli uomini. La risposta di Gesù indica un nuovo modo di vivere sulla terra, quello di coloro che non sono del mondo pur essendo nel mondo. Le parole di Gesù mostrano come nella Chiesa vi sia un rapporto nuovo tra le persone, un anticipo della vita beata che si incarna nella comunione dei santi. Ovunque i cristiani sono a casa propria. Non vi sono barriere legate alla razza, alla lingua, alla condizione sociale. Ovunque vi sono "fratelli, sorelle, madri, figli". Ovunque la vita è feconda, e piena, e realizzata. Per questo anche Pietro, e la Chiesa, nella continua tensione tra il Cielo e la terra, sono chiamati ad uscire da se stessi, dai vincoli della carne; la Chiesa è ogni giorno chiamata a conversione, a lottare con la tentazione di costruire qui la propria patria, di farsi agenzia sociale, di restringere i propri orizzonti e mettere se stessa al servizio di ideali pur nobili ma carnali, di farsi promotrice di assicurazioni per la terra e non per il Cielo, di mettere radici, di cercare riconoscimenti mondani, di essere accettata per sfuggire, in qualche modo, alle persecuzioni. "Come c’è uno zelo amaro che allontana da Dio e conduce all’inferno, così c’è uno zelo buono che allontana dai vizi e conduce a Dio e alla vita eterna. È a questo zelo che i monaci devono esercitarsi con ardentissimo amore: si prevengano l’un l’altro nel rendersi onore, sopportino con somma pazienza a vicenda le loro infermità fisiche e morali… Si vogliano bene l’un l’altro con affetto fraterno… Temano Dio nell’amore… Nulla assolutamente antepongano a Cristo il quale ci potrà condurre tutti alla vita eterna” (S. Benedetto, Regola Pastorale, capitolo 72).

Non a caso infatti le parole di Gesù che annunciano per la Sua Sposa il centuplo già in questo mondo profetizzano, contemporaneamente, per essa le persecuzioni. La missione della Chiesa e di ogni suo membro consiste nell'essere un segno di contraddizione, una denuncia piena d'amore che, mostrando una vita diversa da quella mondana, ne attira, conseguentemente, le reazioni, anche le più violente. Il rifiuto di chi non accetta che vi sia la possibilità di una vita migliore, più autentica di quella che il mondo propone e che si possiede, e per la quale ci si sforza e si lotta. Il rigetto di chi si è fatto da solo, e i propri criteri ne sono il tesoro più geloso. Basta ricordare come, in una parabola, tra gli invitati al banchetto, vi siano anche quelli che non solo non accettano l'invito, ma uccidono gli inviati del Signore, segno di un'ira incontrollata che non può accettare un annuncio che sveli, in qualche modo, la propria pochezza, la propria incompiutezza. La Chiesa in fondo non "dialoga" mai, secondo l'idea di dialogo che circola di questi tempi, irrimediabilmente coniugata in relativismo. La Chiesa annuncia. E se annuncia una buona notizia, un banchetto, è perchè ha qualcosa da annunciare e offrire, qualcosa che gli altri non hanno. E questo, nella maggior parte dei casi, è inaccettabile. La Chiesa, per sua stessa essenza, è missionaria, è un segno, un sacramento di salvezza: Noi esistiamo per mostrare Dio agli uomini. E solo laddove si vede Dio, comincia veramente la vita. Solo quando incontriamo in Cristo il Dio vivente, noi conosciamo che cosa è la vita… Non vi è niente di più bello che essere raggiunti, sorpresi dal Vangelo, da Cristo. Non vi è niente di più bello che conoscere Lui e comunicare agli altri l’amicizia con lui” (Benedetto XVI, Omelia all’inizio del ministero petrino, 24 aprile 2005)”. La Chiesa è il corpo di Cristo vittorioso sulla morte, il suo solo esistere sulla terra, il suo solo essere quello che è costituisce un annuncio: "Se sarete quello che dovete essere, voi incendierete il mondo" (S. Caterina da Siena). La Chiesa, come Cristo, ascolta il gemito, il dolore, e accoglie con misericordia; ma non può mettere in discussione se stessa, che è una cosa sola con quanto annuncia. La Chiesa non va nei salotti televisivi, non si fa irretire nella fiera delle opinioni. Basta leggere il Vangelo e osservare il Signore: ogni dialogo nascondeva insidie, quel suo "ma io vi dico" e quel "Amen, amen (autenticamente, con certezza) io vi dico" rivelavano un'autorità indiscutibile. Lui era, è la Verità. E la Chiesa non può annunciare qualcosa di diverso dalla Verità, l'unica.

Di conseguenza, come il suo Signore, per il solo fatto di essere qui ed ora nella storia, suscita contrasti, spesso violenti. Essi sono il segno dell'autenticità e del successo della sua missione. Perchè per la Chiesa il successo si misura con il rifiuto. Perchè se davvero l'annuncio del Vangelo è rifiutato, significa che ha colto nel segno, non ha lasciato indifferenti, come un amo si è conficcato nel cuore di chi lo ha udito, e la sua vita rimarrà per sempre legata a quel filo che lo conduce al pescatore, a Pietro, alla Chiesa, al cuore stesso di Cristo, pur restando libero di muoversi, scappare, allontanarsi e avventurarsi nel mare aperto dove cercare cibo e realizzazione. Quando il Signore vorrà darà il colpo decisivo - attraverso un problema, una sofferenza, la Croce che si fa evidente - e quell'uomo sarà tratto dall'acqua della morte per essere issato a bordo della barca che lo condurrà al porto della Vita. Sempre libero di divincolarsi sino in fondo, e, alla fine, spezzare quel filo. Alla Chiesa la missione di annunciare e prendere su di sè il rifiuto, il disprezzo, la stessa morte, per lasciare aperta la porta della Vita. Così Cristo ha salvato il mondo, così, attraverso il suo Corpo visibile, continua a farlo nel fluire della storia: "Come l’apostolo Paolo dimostrava l’autenticità del suo apostolato con le persecuzioni, le ferite e i tormenti subiti (cfr 2 Cor 6-7), così la persecuzione è prova anche dell’autenticità della nostra missione apostolica" (Benedetto XVI, Discorso all'Assemblea Generale delle Pontificie Opere Missionarie, 21 maggio 2010). L'orgoglio e la gelosia demoniache emergono con violenza all'apparire della Chiesa. Per questo le parole di Gesù sono anche per tutti noi una luce importantissima. Ci chiamano a conversione. Innanzi tutto ci scrutano perchè possiamo renderci conto, oggi, su che cosa stiamo fondando la nostra vita. Se, in noi, vi siano compromessi tra Gesù e il mondo. Le parole di Gesù illuminano il nostro modo di seguirlo. E poi, penetrando più a fondo, ci rivelano i nostri sentimenti più nascosti. Stiamo forse camminando nella Chiesa con qualche pretesa? Abbiamo sì lasciato tutto, come preti, suore, catechisti, famiglie missionarie, oppure aprendoci alla vita con il quarto, quinto, nono figlio, ma il cuore che cosa cerca davvero? Abbiamo fatto l'esperienza che essere cristiani, essere con Gesù, seguirlo nella Chiesa è stata ed è per noi una liberazione, una Grazia, un'elezione gratuita e meravigliosa, oppure, celata dietro ad un'apparenza di dedizione, vi è la mormorazione, l'attesa di una ricompensa, un'esigenza? Il cuore nostro è oggi colmo di gratitudine o no? Gesù è oggi la nostra ricompensa, quella che sazia di beni e di felicità la nostra vita oppure stiamo cercando qualcosa d'altroComunque stiano le cose accogliamo oggi le parole di Gesù come una Buona Notizia, come una parola capace di compiersi nella nostra vita, spezzando le catene che ancora ci fanno schiavi: la reputazione, l'onore, il denaro, la concupiscenza, i nostri progetti, i nostri criteri, i nostri ideali, e ciò che Papa Francesco chiama "il fascino del provvisorio": "Noi, ha osservato, siamo “innamorati del provvisorio”. Le “proposte definitive” che ci fa Gesù, “non ci piacciono”. Il provvisorio invece ci piace, perché “abbiamo paura del tempo di Dio” che è definitivo: Lui è il Signore del tempo, noi siamo i signori del momentoPerché? Perché nel momento siamo padroni: fino qui io seguo il Signore, poi vedrò…Ho sentito di uno che voleva diventare prete, ma per dieci anni, non di più… Quante coppie, quante coppie si sposano, senza dirlo, ma nel cuore: ‘fin che dura l’amore e poi vediamo…’ Il fascino del provvisorio: questa è una ricchezza. Mentre io penso a tanti, tanti uomini e donne che hanno lasciato la propria terra per andare come missionari per tutta la vita: quello è il definitivo!” (Papa Francesco, Omelia a Santa Marta, lunedì 27 maggio 2013). Siamo dunque chiamati a vivere l'unico "definitivo", l'amore incorruttibile di Dio rivelato in Cristo Gesù e paradossalmente incastonato come un diadema nella precarietà, nella debolezza, nell'autentica povertà di chi ha consegnato la propria volontà e tutti i suoi beni nelle mani di Colui che ne può fare una benedizione per il mondo intero. Abbandoniamoci all'amore di Dio, l'unico definitivo che, anche oggi, può colmare la nostra vita donandoci una famiglia meravigliosa, quella dei santi figli di Dio.



APPROFONDIMENTI

Cardinal John Henry Newman (1801-1890), sacerdote, fondatore di una comunità religiosa, teologo
PPS, vol. 8, n° 2 « Divine Calls »

« Noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito »

Non veniamo chiamati una sola volta, ma tante volte ; per tutta la nostra vita, Cristo ci chiama. Ci ha chiamati dapprima nel battesimo, ma anche dopo ; sia che ubbidiamo alla sua voce oppure no, ci chiama ancora nella sua misericordia. Se veniamo meno alle promesse battesimali, ci chiama al pentimento. Se ci sforziamo di rispondere alla nostra vocazione, ci chiama sempre più avanti, di grazia in grazia, di santità in santità finché ci sarà lasciata la vita per questo.
Abramo è stato chiamato a lasciare la sua casa e il suo paese (Gen 12,1), Pietro le sue reti (Mt 4,18), Matteo il suo lavoro (Mt 9,9), Eliseo la sua fattoria (1 Re 19,19), Natanaèle il suo luogo in disparte (Gv 1,47). Senza sosta tutti siamo chiamati, da una cosa ad un’alta, sempre più avanti, senza avere nessun luogo per riposarci, ma salendo verso il nostro riposo eterno, e ubbidendo ad una chiamata interiore nell’unico scopo di essere pronti a sentirne un’altra.
Cristo ci chiama senza sosta, per giustificarci senza sosta ; senza sosta e sempre di più, egli vuole santificarci e glorificarci. Occorre che lo capiamo, ma siamo lenti ad accorgerci di questa grande verità, che cioè Cristo cammina, in un certo senso, in mezzo a noi, e con la mano, gli occhi, la voce, ci fa cenno di seguirlo. Non comprendiamo che la sua chiamata ha luogo proprio in questo momento. Pensiamo che ha avuto luogo al tempo degli apostoli ; ma non ci crediamo, non l’aspettiamo veramente per noi stessi.



San Bernardo (1091-1153), monaco cistercense e dottore della Chiesa
Discorsi 37 sul Cantio dei Cantici



« Già al presente cento volte tanto »

«Seminate nella giustizia, dice il Signore, e raccoglierete la speranza della vita». Non vi rimanda nell'ultimo giorno, quando tutto vi sarà dato realmente e non più nella speranza; egli parla del presente. Certo, grande sarà la nostra gioia, infinita la nostra esultanza, quando comincerà la vita vera. Ma già la speranza di una tale gioia non può essere senza gioia. «Siate lieti nella speranza», dice l'apostolo Paolo (Rm 12,12). E Davide non dice che sarà nella gioia, bensì che vi è stato il giorno in cui ha sperato di entrare nella casa del Signore (Sal 121,1). Non possedeva ancora la vita, eppure aveva già mietuto la speranza della vita. E faceva l'esperienza della verità della Scrittura che dice che non soltanto la ricompensa ma anche «l'attesa dei giusti finirà in gioia» (Prv 10,28).Questa gioia è prodotta, nell'animo di chi ha seminato per la giustizia, dalla convinzione che i suoi peccati sono perdonati...
Chiunque tra voi, dopo gli inizi amari della conversione, ha la fortuna di vedersi alleggerito dalla speranza dei beni che attende... ha mietuto fin d'ora il frutto delle sue lacrime. Ha visto Dio e lo ha sentito dire: «Dategli del frutto delle sue mani» (Prv 31,31). Come colui che ha «gustato e visto quanto è soave il Signore» (Sal 33,9) non avrebbe veduto Dio? Il Signore Gesù sembra molto soave a chi riceve da lui non soltanto la remissione delle sue colpe, ma anche il dono della santità e, meglio ancora, la promessa della vita eterna. Beato chi ha già raccolto una così bella messe... Il profeta dice il vero: «Chi semina nelle lacrime mieterà con giubilo» (Sal 125,2)... Nessun profitto né onore terreno ci sembrerà superare la nostra speranza e questa gioia di sperare, ormai profondamente radicata nei nostri cuori: «La speranza non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5).



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