29 settembre. Santi Arcangeli Gabriele, Michele e Raffaele





αποφθεγμα Apoftegma


Giacobbe, quando il Signore risplendeva su di lui in alto 
ed egli in basso unse la pietra,
 vide angeli che salivano e scendevano: 
a significare, cioè, che i veri predicatori 
non solo anelano verso l’alto con la contemplazione, 
al Capo santo della Chiesa, cioè al Signore, 
ma nella loro misericordia scendono pure in basso, alle sue membra. 

San Gregorio Magno










L'ANNUNCIO
Dal Vangelo secondo Giovanni 1,47-51

In quel tempo, Gesù, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c'è falsità». Natanaèle gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico».
Gli replicò Natanaèle: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele!» . Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto il fico, credi? Vedrai cose maggiori di queste!».
Poi gli disse: «In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell'uomo»








COME ANGELI CHIAMATI A VEDERE IL CIELO APERTO DEL NOSTRO DESTINO DALLE FERITE DELLA NOSTRA CARNE



Vedere il cielo aperto è il desiderio più intimo di ogni uomo. Anche a noi oggi, così simili a Giacobbe in quella notte di angoscia, impaurito, solo, ramingo e in fuga dalla storia, appare una scala. È la Croce di Cristo, ben piantata nella nostra vita e che ci schiude il Cielo, garanzia di un fondamento sicuro e di un orizzonte certo. La storia non scorre senza senso, ma "guarda" in alto; ogni avvenimento è "contemporaneo" del Cielo, mentre lo viviamo qui sulla terra è "trascritto" lassù come una primizia della vita beata. Per questo Gesù ci dice che vedremo cose "più grandi": non dobbiamo cercarle chissà dove, esse sono le nostre cose di ogni giorno, impregnate dell'amore di Dio che le strappa alla corruzione e le incastona come gemme nel Cielo. Non manca nulla alla nostra vita. Potremmo morire ora, sazi di giorni e di beni, esattamente come siamo e con quello che abbiamo vissuto, perché Lui, come con Natanaele, ci ha "conosciuto" da sempre, e solo lui ci ha "visto" senza malizia anche se peccatori, in uno sguardo di eterna misericordia che tutto riveste di santità. Ogni cosa che ci appartiene infatti è un frammento di Cielo, una primizia di quella che sarà la vita beata nella sua intimità. E, con la fede che Dio ci dona nella Chiesa, possiamo vedere ora, in questo istante, che tutto è già compiuto: non manca nulla a nessun secondo della nostra vita. Potremmo morire ora, in questo istante, sazi di giorni e di beni, esattamente come siamo e con quello che abbiamo vissuto. Anche se ci sembra di non aver concluso nulla, di essere ancora dispersi nella precarietà degli affetti, del lavoro, della salute: in Lui ogni lembo di terra che calpestiamo è uno spicchio di Cielo, ogni fallimento diviene un successo, ogni debolezza una forza da trasportare le montagne, ogni morte è trasformata in vita. La fede ci apre gli occhi sulla grandezza della nostra vita, perché in essa è stata deposta la scala che svela il destino autentico, la comunione e l'intimità con Colui che è disceso dal Cielo per raggiungere il nostro presente e, attraverso la Parola e i sacramenti, farlo contemporaneo del Cielo, per prenderci ora, e sederci accanto a Lui alla destra del Padre. 

Non c'è bisogno di sforzarsi e inventarsi cose speciali; non si tratta di esperienze da mozzare il fiato. La "cosa più grande", infatti, è restare nella volontà di Dio. Giacobbe dormiva quando ha contemplato il Cielo aperto, Natanaele era seduto sotto il fico quando è stato visto da Gesù. L'incontro tra questi due sguardi che uniscono il Cielo alla terra si dà quindi nella semplicità della gratuità. Quando si entra nei fatti concreti e forse insignificanti della propria storia. Perché il miracolo più grande è vivere in pienezza, come un pezzo di Cielo le cose che ci umiliano, i momenti in cui ci sembra di sprecare la vita, senza sussulti. E' più grande stare nel Getsemani con Gesù e offrirsi con Lui al Padre mentre vorremmo altro, che qualsiasi altra cosa. E' più grande restare crocifissi in una situazione, o un tempo di aridità, di grigiore e impotenza che qualunque altro servizio si potrebbe fare. E' la cosa più grande perché solo chi ha scoperto che Gesù, nonostante i propri peccati, lo ha visto senza malizia, può adagiarsi in pace nella storia crocifissa che la carne rifiuta.E' questa la notizia che gli Arcangeli annunciano salendo e scendendo la scala del Cielo. La loro missione definisce quella della Chiesa, e anticamente i vescovi erano chiamati angeli. Come Michele, per combattere il drago e distruggere le sue menzogne; come Gabriele, per annunciare la notizia che Dio si è fatto carne per salvare ogni carne; come Raffaele, per sanare ogni rapporto nella comunione strappata alla concupiscenza. Anche noi siamo chiamati ad essere angeli che mettono a disposizione la propria carne perché Cristo giunga sulla soglia di ogni uomo; come quella di Santo Stefano, consegnata alla tempesta di pietre dei nemici, mentre il suo volto diveniva proprio come quello di un angelo, sul quale risplendeva la bellezza dell'amore di Cristo. Come sul nostro, mentre consegniamo la vita e perdoniamo, nel martirio quotidiano che offre a tutti la scala che conduce al paradiso. Nell'iconografia Gesù è raffigurato anche mentre sale su una scala per lasciarsi crocifiggere; la Chiesa suo corpo vive allo stesso modo: contemplando la scala che giunge sino al Cielo, vi sale ogni giorno per distendere le braccia dei suoi figli sulla Croce. Nel marito che sale questa scala per la moglie, nella madre che vi ascende per accogliere suo figlio, in ogni cristiano che vive amando così Dio si fa prossimo ad ogni sofferenza, prende carne umana per far santa ogni vita. 










Vedere il cielo aperto, è il desiderio più intimo di ogni uomo. Vederlo ora, in questa storia concreta che stiamo vivendo. Come fare? Abbiamo bisogno di una scala, quella che ha visto in sogno Giacobbe, e alla quale fanno riferimento le parole di Gesù. Essa è innanzitutto un'immagine della fede: vedere in ogni evento una scala ben piantata sulla terra ma che sale sino al Cielo. E, nel Cielo aperto, contemplare il Figlio dell'Uomo, il Signore Gesù Cristo risorto dalla morte. Senza questa scala non possiamo vivere in pienezza, perché tutto scorre via senza senso, anche se vissuto intensamente. Senza questa scala la vita diviene come quella dei "molti che, credendosi degli dei, pensano di non aver bisogno di radiciné di fondamenti che non siano essi stessi. Desidererebbero decidere solo da sé ciò che è verità o no, ciò che è bene o male, giusto e ingiusto; decidere chi è degno di vivere o può essere sacrificato sull’altare di altre prospettive; fare in ogni istante un passo a caso, senza una rotta prefissata, facendosi guidare dall’impulso del momento. Queste tentazioni sono sempre in agguato. È importante non soccombere ad esse, perché, in realtà, conducono a qualcosa di evanescente, come un’esistenza senza orizzonti, una libertà senza Dio" (Benedetto XVI). La scala che ha visto Giacobbe è la garanzia di un fondamento sicuro e di un orizzonte certo; è la Croce del Signore, piantata nella storia nostra di ogni giorno e la "cui cima tocca il Cielo", come recita un inno della Chiesa primitiva. 

La scala di Giacobbe ci svela il mistero racchiuso negli eventi della nostra vita: essi non sono qualcosa di evanescente, ma "guardano" al Cielo. Di più, ogni avvenimento che ci coinvolge è "contemporaneo" del Cielo, mentre lo viviamo qui sulla terra esso è "trascritto" lassù. Ogni istante ha un valore eterno, è parte di una storia che trascende il tempo e lo spazio, è unico, irripetibile e santo in Dio. Per questo Gesù ci dice che vedremo cose più grandi, cose meravigliose: esse sono tutte le cose che ci riguardano e che, in Lui, nella sua vittoria sulla morte, oltrepassano l'attimo fuggente, sconfiggono l'ineluttabile scorrere ed evaporare del tempo. Le cose più grandi sono le nostre vite, le cose nostre di tutti i giorni, quelle della routine e quelle degli eventi che ci sorprendono, le gioie e i dolori. Le vedremo tutte grandi della sua grandezza, tutte belle della sua bellezza, tutte affascinanti del suo fascino. Le vedremo "più grandi" perché in tutte vi è inscritto il mistero più grande, la scala che conduce al Cielo, la sua Croce che ci attira a sé, alla sua dimora, alla pace e al compimento del Cielo. 



Come Giacobbe impaurito, solo, ramingo e in fuga dalla storia, nella notte di un deserto di angoscia, anche a noi, così spesso chiusi nelle alienazioni che, stordendoci, speriamo ci aiutino a non pensare e soffrire, appare una scala, la Croce di Cristo, e ci schiude il senso unico e autentico della nostra esistenza. Chi vive ai piedi della Croce è conosciuto, cioè amato intimamente dal Signore. Come Natanaele che era stato visto da Gesù mentre era sotto il fico. E' un simbolo di colui che scruta le Scritture. Ciò significa che il Signore ci invita ad ascoltare e innamorarci della sua Parola, a dimorare in essa, perché essa ci faccia dimorare sotto la "scala" che porta al Cielo. Così ogni luogo sarà la "casa di Dio": il tuo matrimonio, il lavoro, la scuola, l'ospedale, la passeggiata con il fidanzato, anche i momenti difficili, tutto sarà la dimora di Dio, perché Lui abita in un cuore umile, che resta, come Giacobbe, come Natanaele, come Maria, ai piedi della Croce.

Ogni cosa che ci appartiene infatti è un frammento di Cielo, una primizia di quella che sarà la vita beata nella sua intimità. Vedremo in ogni cosa, relazione, attività, l'abbozzo di quel compimento a cui aneliamo. Ora, in questo istante, è già tutto compiuto: non manca nulla a nessun secondo della nostra vita. Potremmo morire ora, in questo istante, sazi di giorni e di beni, esattamente come siamo e con quello che abbiamo vissuto. Anche se ci sembra di non aver concluso nulla, di essere ancora dispersi nella precarietà degli affetti, del lavoro, della salute: in Lui ogni lembo di terra che calpestiamo è uno spicchio di Cielo, ogni fallimento diviene un successo, ogni debolezza una forza da trasportare le montagne, ogni morte è trasformata in vita. La fede ci apre gli occhi sulla grandezza della nostra vita, perché in essa è stata deposta la scala che svela il destino autentico, la comunione e l'intimità con Colui che è disceso dal Cielo per raggiungere il nostro presente e farlo contemporaneo del Cielo, per prenderci, ora e sederci accanto a Lui alla destra del Padre. 

Non c'è bisogno di sforzarsi e inventarsi cose speciali; non si tratta di esperienze da mozzare il fiato. La "cosa più grande", infatti, è restare nella volontà di Dio. Giacobbe dormiva quando ha contemplato il Cielo aperto, Natanaele era seduto sotto il fico quando è stato visto da Gesù. L'incontro tra questi due sguardi che uniscono il Cielo alla terra si dà quindi nella semplicità della gratuità. Quando si entra nei fatti concreti e forse insignificanti della propria storia. Perché il miracolo più grande è vivere in pienezza, come un pezzo di Cielo le cose che ci umiliano, i momenti in cui ci sembra di sprecare la vita, senza sussulti. E' più grande stare nel Getsemani con Gesù e offrirsi con Lui al Padre mentre vorremmo altro, che qualsiasi altra cosa. E' più grande restare crocifissi in una situazione, o un tempo di aridità, di grigiore e impotenza che qualunque altro servizio si potrebbe fare. E' la cosa più grande perché solo chi ha scoperto che Gesù, nonostante i propri peccati, lo ha visto senza malizia, può adagiarsi in pace nella storia crocifissa che la carne rifiuta.


E' questa la notizia che gli angeli, instancabilmente, recano a ciascuno di noi. Gli Arcangeli, che salgono e scendono la scala che unisce la terra al Cielo, che consegnano agli uomini il cuore di Dio, l'intimità con Lui da loro vissuta. Essi "portano Dio agli uomini, aprono il cielo e così aprono la terra. Proprio perché sono presso Dio, possono essere anche molto vicini all’uomo. Gli Angeli parlano all’uomo di ciò che costituisce il suo vero essere, di ciò che nella sua vita tanto spesso è coperto e sepolto. Essi lo chiamano a rientrare in se stesso, toccandolo da parte di Dio" (Benedetto XVI).

Per questo la missione degli angeli definisce quella della Chiesa. Non a caso, alle origini, i vescovi erano chiamati angeli. "In occasione del Giubileo del 2000, il Beato Giovanni Paolo II ha ribadito con forza la necessità di rinnovare l’impegno di portare a tutti l’annuncio del Vangelo «con lo stesso slancio dei cristiani della prima ora». È il servizio più prezioso che la Chiesa può rendere all’umanità e ad ogni singola persona alla ricerca delle ragioni profonde per vivere in pienezza la propria esistenza" (Benedetto XVI). Lo slancio degli angeli, le ali della Chiesa che sospingono gli apostoli sino agli estremi confini della terra: come Michele, per difendere e combattere il drago e distruggere le sue menzogne che accusano Dio e l'uomo; come Gabriele, per annunciare la notizia che Dio si è fatto carne per salvare ogni carne e condurla al Cielo; come Raffaele, per sanare ogni rapporto nella comunione strappata alla concupiscenza, e guarire gli occhi perchè possano contemplare, in tutto, l'amore di Dio. 


Attirati nella visione della fede, accompagnati dai messaggeri che ci conducono a salire e ridiscendere la scala della Croce, siamo chiamati anche noi a divenire angeli per chi ci è affidato: "vicini a ciascuno per la compassione ed elevati al di sopra di tutti nella contemplazione... Per questo Giacobbe, quando il Signore risplendeva su di lui in alto ed egli in basso unse la pietra, vide angeli che salivano e scendevano: a significare, cioè, che i veri predicatori non solo anelano verso l’alto con la contemplazione, al Capo santo della Chiesa, cioè al Signore, ma nella loro misericordia scendono pure in basso, alle sue membra" (S. Gregorio Magno). Ecco dunque la nostra missione, come una scala offerta al mondo: uno sguardo che contempla il Cielo per scorgervi la vita trasfigurata nel Signore vittorioso; e una compassione infinita che consegni, a ogni uomo qui sulla terra, Cristo vivo in noi, perché vi prenda dimora il suo amore e lo conduca al Cielo: "Anche oggi Egli ha bisogno di persone che, per così dire, gli mettono a disposizione la propria carne, che gli donano la materia del mondo e della loro vita, servendo così all’unificazione tra Dio e il mondo, alla riconciliazione dell’universo. Cari amici, è vostro compito bussare in nome di Cristo ai cuori degli uomini. Entrando voi stessi in unione con Cristo, potrete portare la chiamata di Cristo agli uomini" (Benedetto XVI).




Come angeli che mettono a disposizione la propria carne perché Cristo giunga sulla soglia di ogni uomo, la nostra vita è, come quella di Santo Stefano, consegnata alle pietre dei nemici. E' proprio quando il mondo si ribella contro Dio, quando perseguita e di nuovo crocifigge Cristo nei suoi discepoli che il Cielo si schiude e la salvezza scende dal Trono misericordioso di Dio. Sotto la tempesta di pietre che ne carpivano la vita, il volto di Stefano diveniva, proprio agli occhi dei suoi carnefici, come quello di un angelo; e, piegando le ginocchia mentre raccoglieva gli ultimi respiri, egli contemplava il Cielo aperto ed il Figlio dell'Uomo alla destra del Padre, la bestemmia più grande, la stessa che aveva crocifisso il Signore. L'annuncio che smentisce e frantuma la bestemmia autentica che inganna gli uomini affermando che il Cielo esiste. Il martirio dei cristiani, il tuo e il mio, annuncia il Cielo finalmente dischiuso sulle vicende di chi ci è accanto. 






Nell'iconografia Gesù è raffigurato anche mentre sale su una scala per lasciarsi crocifiggere; la Chiesa suo corpo vive allo stesso modo: contemplando la scala che giunge sino al Cielo, vi sale ogni giorno per distendere le braccia dei suoi figli sulla Croce. Nel marito che sale questa scala per la moglie, nella madre che vi ascende per accogliere suo figlio, in ogni cristiano che vive amando così Dio si fa prossimo ad ogni sofferenza, prende carne umana per far santa ogni vita. Pensateci bene, nessuno può sopportare la bellezza e la santità della propria vita, mentre la sua libertà pervertita gli fa gustare il frutto amaro di dolore, corruzione e morte. La realtà del peccato con le sue conseguenza contestano l'annuncio della Chiesa. Per questo il mondo ha bisogno di vedere uomini normalissimi, deboli e peccatori, che salgono quella scala per indicare loro il destino eterno. Nessuno può accettare il paradosso della misericordia di Dio capace di prendere su di sé ogni peccato e perdonarlo: è troppo per l'orgoglio dell'uomo, significa accettare la propria debolezza. E' necessario vederla autentica e credibile questa misericordia; è necessario che bussi alla porta del proprio sepolcro, sono necessari angeli come Stefano che la incarnino, e mostrino il Cielo nella morte. E' necessaria la nostra vita, dove Cristo viene a prendere dimora per replicare, ogni giorno, come in Stefano, il suo mistero d'amore. Così, proprio mentre il mondo ci rifiuta, disprezza e uccide nei tanti nemici che reclamano la nostra vita, esso riceve la vita. E' proprio mentre moriamo crocifissi e perdoniamo che il Signore appare vivo in noi; è nel martirio quotidiano che offriamo, ai nostri carnefici, la scala che li conduce al paradiso









Siamo chiamati ad essere angeli! Fantastico no? Angeli che annunciano la nascita di Gesù nelle stalle maleodoranti che sono tanti matrimoni. 













Angeli che annunciano ai pastori, ovvero agli ultimi, ai poveri, ai peccatori, agli impuri, la Buona Notizia che la Gloria di Dio, la sua presenza nell'alto dei Cieli è scesa sino a loro, per portare la Pace agli uomini che Dio ama.











Angeli che, accanto alla Croce di ogni uomo, testimonino che nelle sofferenze, nelle umiliazioni, nelle frustrazioni, nei fallimenti che stanno vivendo è crocifisso Cristo con loro, per rompere il muro che li separa dalla felicità. 


















Angeli sulla soglia della tomba, che annunciano il perdono e la vita, che non vi è nulla da temere, che Cristo è risorto dai morti e attende ogni uomo in Galilea, nella sua storia concreta, dove vederlo e incamminarsi con lui verso il Cielo. Perché la Chiesa è, nella storia, un angelo che annuncia in ogni evento "tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele!".
















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