Martedì della XXVIII settimana del Tempo Ordinario




αποφθεγμα Apoftegma

Se io avessi capito, come oggi, 
quale grande Re abitava in quel piccolo palazzo della mia anima, 
non l'avrei lasciato da solo così spesso; 
sarei rimasta di tanto in tanto accanto a lui, 
e avrei fatto il necessario affinché il palazzo fosse meno sporco. 
Il punto capitale è fargliene un dono assoluto e vuotarsi completamente
affinché egli possa riempire o svuotare a suo piacimento, 
come in una dimora che gli appartiene. 
Se riempiamo il palazzo con gente volgare e ogni sorta di ninnoli, 
come il sovrano, con la sua corte, potrebbe trovarvi posto? 
È già molto che si degni di fermarsi 
qualche momento in mezzo a tanto ingombro.

Santa Teresa d'Avila




   



L'ANNUNCIO
Dal Vangelo secondo Luca 11,37-41. 

In quel tempo, mentre Gesù stava parlando, un fariseo lo invitò a pranzo. Egli andò e si mise a tavola. Il fariseo vide e si meravigliò che non avesse fatto le abluzioni prima del pranzo. Allora il Signore gli disse: «Voi farisei pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma il vostro interno è pieno di rapina e malvagità. Stolti! Colui che ha fatto l’esterno non ha forse fatto anche l’interno? Date piuttosto in elemosina quello che c’è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà puro».






L'AMORE AUTENTICO SI SPORCA IMMERGENDOSI NEL CUORE DELLA SPOSA PER PURIFICARLO E RENDERLO LIBERO DI DONARSI 



L’amore autentico è sporco, ma sporco da far schifo e ribrezzo. E’ una pattumiera piena di spazzatura, una tuta da lavoro macchiata all’inverosimile. Scandalizza come un barbone lercio e maleodorante capitato in un ricevimento di corte. Come Gesù, invitato a casa di un fariseo, un luogo separato dall’esterno e purificato in ogni angolo, dove si è “sdraiato” (secondo l’uso del tempo) a tavola senza prima “lavarsi”. Altro che Hiroshima, in quella casa Gesù aveva fatto scoppiare un terremoto devastante; probabilmente non abbiamo idea di cosa possa essere accaduto: immaginate un contadino appena uscito dalla stalla dove ha munto le sue mucche e pulito i loro escrementi, entrare in una camera sterile di un ospedale: ecco, Gesù deve aver prodotto più o meno lo stesso effetto. L’effetto dell’amore autentico fatto carne in Lui, sporca e impura, indegna della mensa di un fariseo. L’effetto deflagrante e sconvolgente dell’amore autentico a contatto con quello ipocrita che si nutre di purificazioni esteriori. Quanti fidanzamenti e matrimoni, quante amicizie e relazioni scivolano tra un maquillage e l’altro, illudendosi di fortificare l’unione lucidando la superficie (il sentimento, per capirci, le parole chattate, i pensieri postati) mentre invece la si accompagna alla tomba perché all’interno continua a covare e a crescere la concupiscenza che “rapina” la dignità dell’altro, facendolo “cattivo”, ovvero “schiavo” di se stesso. Creato a «immagine e somiglianza» di Dio, l'uomo era destinato a una vita pura, nella comunione e nell'intimità con Lui. Mangiando dell'albero però, ha fatto esperienza della morte, la madre di ogni impurità, che lo ha strappato al Paradiso. Il cuore, l' "interno", si è contaminato di una menzogna "malvagia" che lo ha orientato a "rapinare" quello che, invece, gli era stato gratuitamente. Non a caso all'origine del termine "malvagità" vi è anche l'idea di una "fatica dolorosa del male". Fateci caso, il male è sempre faticoso, e lascia nudi e sporchi, come i progenitori che hanno conosciuto la vergogna e la concupiscenza, e "tutto" è divenuto impuro: l’amore tra gli sposi, gli affetti, le amicizie, il lavoro. Tutto è ferito dalla "dolorosa fatica" del male. Ma coraggio, non aver timore di guardare oggi al tuo fidanzamento, al matrimonio, alla relazione con i tuoi figli o i tuoi genitori, con i tuoi fratelli di carne o quelli della comunità cristiana, con i parenti, i colleghi di lavoro o i compagni di scuola; invita anche tu Gesù a casa tua, e lasciati illuminare dalla presenza di Gesù che, per amore, si “sdraia” nel letamaio che si nasconde nel tuo cuore. No, Lui non si lava prima di mangiare, non avrebbe senso perché è giunto accanto a te, nella tua intimità, per “battezzarsi”  (Luca ha usato il termine “baptizein” tradotto con “lavare”), immergersi nei tuoi peccati. Il vero amore infatti, quello incorruttibile e celeste che la Chiesa ha annunciato al mondo con il nome di “agape”, si sporca per lavare, si “sdraia” per far risuscitare, si dona per fare della vita di ogni uomo il dono che il Padre ha pensato quando lo ha creato, maschio e femmina, a sua immagine e somiglianza. Gesù non ha bisogno di lavarsi le mani perché il suo amore è puro alla fonte. E anche oggi viene nella Chiesa per compiere nella nostra vita di alienati, il miracolo dell’amore autentico che disintegra l’amore ipocrita dell’uomo vecchio. In fondo la Chiesa è come la casa di quel fariseo, una comunità di poveri uomini che spesso cadono nel tranello antico del demonio e si illudono di invitare Gesù a mensa, dimenticando che, come accadde a casa di Marta e Maria e di quel fariseo, è Lui che ci invita ad accogliere il suo amore fatto Parola da ascoltare e Pane da mangiare, perché viene a visitarci proprio per purificare le nostre case.

Accettiamolo fratelli, anche noi spesso prendiamo il cristianesimo come prendiamo la vita, ingannati cioè dalla menzogna del demonio. Credere di poter diventare come Dio, infatti, significa anche illudersi di raggiungere il suo grado di purezza e “separazione” (fariseo significa “separato”) dal mondo del peccato, con le proprie forze impegnate a lucidare la carrozzeria della vita. E ciò significa concretamente essere diversi dai politici che rubano, come da tuo cugino che ha l’amante. Intendiamoci, un cristiano è “nel” mondo ma non è “del” mondo perché è “santo” nella “santità” di Dio (anche “santo” significa “separato”); ma c’è un particolare che distingue la “stoltezza” di quel fariseo che siamo tutti noi, dalla “sapienza” dei cristiani che hanno camminato nella fede sino ad immergersi con Cristo nel suo stesso battesimo: la Croce. Per caso ci si lavava prima di salire al patibolo più infamante? Tutto il contrario, ci si giungeva sfiancati e sfigurati, come Gesù, che su di essa si è “sdraiato” per te e per me, sporco al punto che il suo aspetto non era più neanche quello di un uomo. Aveva infatti lasciato che il flagello gli straziasse la carne perché con il suo sangue potesse lavare la nostra carne impigliata nell’ipocrisia. Avete presente la Sindone? Ecco, l'Uomo che è stato avvolto in esso e "sdraiato" nel sepolcro è il segno dell'amore autentico. Coraggio allora, perché nella comunità cristiana Gesù si “sdraia” nella tua storia di peccati, per strapparti all’alienazione che ti fa curare maniacalmente l’esterno del bicchiere, nello sforzo di rispettare e far rispettare leggi e codici che ti sei costruito per dare un aspetto presentabile e dignitoso al fidanzamento, al matrimonio e a tutta la tua vita. Basta fratello! “Dai in elemosina quanto è dentro” il tuo cuore, approfitta cioè del marcio che sino ad oggi hai accarezzato e viziato; dai a Cristo il tuo sporco e allora “tutto in te diventerà puro”, cioè autentico perché sarai finalmente immagine e somiglianza di Dio. Attenzione, non a caso il Signore ci dice di “dare in elemosina” quello che abbiamo dentro: il denaro, infatti, è il segno della superbia che ci vorrebbe come Dio, è il potere che ci fa “puri” agli occhi degli altri, cioè inattaccabili e in diritto di comprare ed esigere quello che un dio vuole. Per il denaro il cuore si muove a “rapinare”, perché di esso è “schiavo”, e quindi ogni pensiero, parola e gesto è “cattivo”. Allora, dai in elemosina il denaro che, al tuo interno, usurpa il posto di Dio; oggi, prendi quello che hai nel portafoglio, magari il tuo conto in banca, sì, proprio quello che ti sporca dentro rendendoti invidioso, geloso, pauroso e violento; il denaro di cui ti vesti per non apparire per quello che sei. Prendilo e dallo in elemosina al primo barbone che incontri, o nella cassetta dei poveri nella prima chiesa che ti trovi davanti. Gesù lo ha fatto per te, misero e senza dignità, dandoti in elemosina tutto se stesso. Accogli la sua ricchezza, l’amore e lo Spirito Santo, la misericordia e la vita eterna, e dagli l’ipocrisia fatta denaro che avvelena e sporca il tuo cuore. Allora saranno puri il tuo fidanzamento, il matrimonio, e ogni relazione, perché il tuo cuore e i tuoi occhi purificati sapranno vedere Dio nell’altro, l’amore nel quale donarsi e trascendersi. Solo amando in Cristo saremo davvero “puri”, privi cioè della malizia demoniaca che ci dilania interiormente separando dolorosamente fede e vita, cuore e opere; solo nell’amore che incarna lo Shemà, infatti, saremo immagine e somiglianza di “Colui che ha fatto l’interno e anche l’esterno”, vivendo nella “purezza” della creatura che compie la volontà del suo Creatore.   






"In principio" era la purezza. Creato a «immagine e somiglianza» di Dio, l'uomo era destinato a una vita pura, nella comunione e nell'intimità con Lui. Mangiando dell'albero però, ha fatto esperienza della morte, la madre di ogni impurità, che lo ha strappato al Paradiso. Il cuore, l' "interno", si è contaminato di una menzogna "malvagia" che lo ha orientato a "rapinare" quello che, invece, gli era stato gratuitamente. Credendo all'inganno del demonio, Adamo ed Eva hanno messo piede nel territorio della morte che non avevano conosciuto, dove regna il principe della menzogna. In comunione docile e obbediente al Creatore avrebbero partecipato del suo discernimento, restando però ben lontano dalla "fatica" di dover decidere lui che cosa sia bene e che cosa male. Non a caso all'origine del termine "malvagità" vi è anche l'idea di una "fatica dolorosa del male". Fateci caso, il male è sempre faticoso: avere un'amante per esempio, soddisfa i sensi ma che fatica! Mentire sempre, trovare i soldi per soddisfare i bisogni dell'altra, oltre a quelli della famiglia. E quella fatica dolorosa di stare con un piede in due staffe, attenti a non essere scoperti, sino a precipitare in una schizofrenia che deflagrando rade al suolo matrimonio e relazione adulterina. E lascia nudi, come i progenitori. Hanno conosciuto la vergogna e la concupiscenza, e "tutto" è divenuto impuro: l’amore tra gli sposi, gli affetti, le amicizie, il lavoro. Tutto è ferito dalla "dolorosa fatica" del male...  Ma Dio non ha abbandonato la sua creatura; l'ha cercata, ha rivestito la sua nudità di foglie che profetizzano la misericordia che si manifesterà in Cristo; le vesti battesimali con cui sarà ricoperta, per sempre, la vergogna del peccato. Per questo ha scelto un Popolo, facendolo sua proprietà, Israele, «diverso da tutte le Nazioni», come una primizia della purezza perduta e ritrovata. Con esso ha intessuto una lunga storia di purificazione. 

In principio l'uomo era separato dal male, e, paradossalmente, proprio il divieto di appropriarsi del frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male lo proteggeva da qualunque contaminazione. Mangiarne avrebbe significato morire, separarsi da Dio, entrare nell'impurità. Tutto ciò che è impuro infatti è di ostacolo al culto e impedisce la relazione con Dio. E' il culto di Caino, segnato dalla morte dell'invidia e della gelosia, sgradito a Dio e quindi incapace di salvarlo dal peccato: Caino infatti ucciderà Abele. Mangiando dell'albero, l'uomo ha varcato la siepe originaria che Dio aveva eretto a protezione della sua felicità, l'Albero piantato nel mezzo del giardino, sperimentando così la nudità della morte. Il cuore s'era irrimediabilmente ammalato, si era insinuato in esso uno Yetzer Harà, un impulso malvagio al quale nessuno può sfuggire. Unica salvezza quella offerta da Dio: "Io ho creato l'impulso malvagio, ma ho creato anche la Torah come suo rimedio". Dio ha fatto l'esterno e l'interno, la Torah per salvare e il cuore libero per accoglierla, e per rifiutarla.  

Per questo nel cuore del santuario vi era la Torah, le tavole dell'Alleanza consegnate a Mosè custodite nell'Arca che divenne, una volta costruito il tempio, il Santo dei Santi, il separato dei separati. Ma Israele tradì e di nuovo scomparì dalla Terra quel frammento di Paradiso: fu il tempo dell'Esilio. Ma proprio sulle rive dei fiumi di Babilonia Dio purificò il suo Popolo. Israele aveva sperimentato le conseguenze dell'idolatria e dell'adulterio: "Ora invece, Signore, noi siamo diventati più piccoli di qualunque altra nazione, ora siamo umiliati per tutta la terra a causa dei nostri peccati. Ora non abbiamo più né principe, né capo, né profeta, né olocausto, né sacrificio, né oblazione, né incenso, né luogo per presentarti le primizie e trovar misericordia. Potessimo esser accolti con il cuore contrito e con lo spirito umiliato, come olocausti di montoni e di tori, come migliaia di grassi agnelli. Tale sia oggi il nostro sacrificio davanti a te e ti sia gradito, perché non c'è confusione per coloro che confidano in te. Ora ti seguiamo con tutto il cuore, ti temiamo e cerchiamo il tuo volto" (Dan. 3,37-41).

Nell'esilio, privato di tutto, Israele aveva imparato a mettere in gioco cuore e spirito; nella fornace ardente della Babilonia pagana, Dio lo aveva condotto a fare del proprio intimo la primizia e il luogo dove presentarla per trovare misericordia. La vita stessa diveniva il santuario, il frammento di Paradiso che Israele doveva testimoniare al mondo. Di ritorno da Babilonia, sotto Esdra "lo scrivano", la riscoperta della Torah ormai dimenticata e quasi sconosciuta, aveva dato origine alla halakah orale, la "tradizione dei Padri", considerata la "siepe della Torah" (Misnah Abot, 1,1b...); essa era una spiegazione e una sorta di codice di prevenzione volto a impedire la trasgressione della Torah biblica. I farisei accolgono la Tradizione orale e ne fanno il cuore della loro religiosità per divenire quel Paradiso incontaminato eletto da Dio. Per essere ammessi tra i farisei bisognava accettare di osservare in modo speciale i precetti della purificazione, particolarmente quelli del rituale del lavaggio delle mani e ai pasti, e una dettagliatissima osservanza del Decalogo. Questi doveri costituivano la siepe e il loro adempimento rendeva e custodiva puri, santi, separati. La "siepe" era così divenuta l'essenza della separazione e  dello stesso essere farisei

Per questo, la purezza assillava i farisei. Essere puri significava appartenere a Dio: Siate santi perchè io sono santo! Santo significa separato, per cui, in senso strettamente letterale, si potrebbe dire: siate separati perchè io sono separato. I farisei, separati secondo il significato originale del termine ebraico perushim, volevano vivere in pienezza l'elezione di Israele. Siate farisei come io sono fariseo, e non tradurremmo male. Il totalmente Altro, Adonai, l'Impronunciabile, eleggendo Israele lo ha attratto nella sua santità, separandolo così dal resto del mondo. I farisei si preoccupavano di "formare sulla terra una provincia di Dio, sulla quale fosse dato aspettare l'ampio Regno finale di Dio stesso" (C. Thoma). Essi estendevano così quanto i saggi di Israele dicevano per spiegare il precetto di costruire un santuario: "Essi mi faranno un santuario affinchè io possa abitare fra di loro" (Es. 25,8). "Il mondo intero era intriso di male a causa del peccato di Adamo. Quando scelse Israele, Dio gli disse di costruire un santuario in cui questo male non sarebbe dovuto penetrare. Il santuario doveva essere come un giardino dell'Eden in miniatura, dedicato totalmente al servizio di Dio, e ne sarebbe stata esclusa qualsiasi cosa appartenuta allo stato decadente dell'uomo" (A. Kaplan, Le acque dell'Eden). 

Preoccupati di formare sulla terra una provincia incontaminata di Dio, ma dimentichi di «Colui che ha fatto l’esterno e l’interno», i farisei però vivevano assillati dalla purezza; per essa erano pronti a tutto, anche a «rapinarla» con l'ipocrisia violenta della loro maniacale osservanza«Stolti», come ciascuno di noi che ci illudiamo di poter rapinare il perdono e l'amore, esattamente come i progenitori hanno pensato di poter fare proprio il potere di decidere che cosa sia bene e cosa male. Per questo, come i farisei di ogni tempo, immagine anche dei falsi profeti che hanno ingannato le generazioni, puntiamo le pistole della nostra presunta diversità, degli sforzi, dei sacrifici. «Invitiamo a pranzo» il Signore - messe e preghiere - ma è solo ipocrisia; il cuore esige altro da Lui, sicurezze e miracoli che purifichino questa bettola di vita. Siamo in esilio, per quanto si lucidi l'esterno, il cuore resta infetto... Vi è un solo cammino per ritrovare la purezza, quello percorso dal Signore Gesù, che non ha ritenuto il suo essere Dio una dignità da rapinare con avidità, ma un dono da offrire sulla Croce svuotandosi completamente. 

Le parole di Gesù hanno l'ardire di toccare questa siepe. Esse fanno appello alla radice della storia stessa dei farisei. Sono parole d'amore che chiamano a conversione, a ritornare alla propria esperienza. Esterno ed interno, l'al di quà e l'al di là della siepe è opera di Dio! Il male è opera del demonio. Non sono le forze dell'uomo che difendono la purezza. Per Gesù la stoltezza consiste proprio nel dimenticare l'esperienza del peccato e la dura verità di un cuore ormai capace del male. "Chi confida nel proprio cuore è uno stolto" (Pr. 28,26). Per questo la purezza che stringe nell'intimità con Dio è un cuore contrito e uno spirito umiliato che supplica misericordia. La purezza della Vergine Maria, l'umiliazione che Dio ha guardato con benevolenza facendone il grembo dove dar carne al suo Figlio, il Tempio santo che accoglie il Santo dei Santi. L'esilio aveva insegnato essenzialmente questo, preparando il cuore ad accogliere, nello stupore, l'opera di Dio impossibile agli uomini. La primogenitura compiuta in Gesù è un dono gratuito che viene dal Cielo. "Colui che evita il male in virtù di un precetto del Signore non è libero. All'opposto, chi evita il male perché è male, costui è libero. E' qui che opera lo Spirito Santo che perfeziona interiormente il nostro spirito comunicandogli un nuovo dinamismo, e così è per amore che egli non commette il male, e dunque è libero, non nel senso che egli non sia sottomesso alla legge divina, ma in quanto il suo dinamismo interiore lo porta a fare ciò che la legge divina prescrive" (San Tommaso). 

Gesù oggi ci invita a riconoscerci peccatori, bisognosi del suo amore che rigenera e purifica quanto ferito e reso impuro dal demonio. Allora la siepe diverrà uno strumento di libertà, un aiuto a non cadere in tentazione; mostrando il cammino della vita ci spingerà a confidare in Lui, a seguirlo con tutto il cuore. Il Signore ci chiama ad essere autentici farisei, separati dal peccato, santi della sua santità, immersi completamente nel battesimo della sua misericordia. E' questa la vera purificazione che coinvolge tutta la nostra vita trasformandola in un'elemosina, misericordia pura offerta ogni giorno a Dio e ad ogni uomo, il dinamismo nuovo dell'amore. La siepe che Dio ha eretto è infatti in mezzo al Paradisoè nel cuore che Dio pianta l'albero di vita, la Croce che purifica e ci fa uno con Lui per dare frutti di vita eterna al mondo. Crocifissi con Lui che purifica interno ed esterno, cuore e membra, si compie in noi la primogenitura nella quale siamo stati chiamati: essere il Cielo, la sposa di Cristo, pura e senza macchia, che dona se stessa per amore, nella libertà e nella gratuità. 

E' proprio la Croce che ci purifica, il patibolo riservato agli impuri come noi e alle «cose interne» e immonde del nostro cuore. E' su di essa, quella che oggi ci accoglierà nella storia, che la "fatica dolorosa del male" si trasforma in crogiuolo che purifica, esattamente come annunciato da Dio ai progenitori. Proprio la fatica e il dolore avrebbero aperto un canale alla misericordia, perché potesse giungere a purificare l'interno, il profondo più recesso dei nostri cuori. La purificazione è sempre uno svelamento della menzogna; se essa non fuoriesce dal cuore come il pus da una ferita, non vi sarà posto per la Verità, che è l'origine della purezza. Uno sguardo puro è uno sguardo immerso nella Verità, su se stessi, sull'altro e su Dio. Lo sguardo perduto dinanzi all'albero della vita e ridonato dalle braccia di Cristo crocifisso che, come rami distesi verso di noi, sono pronte a consegnarci le vesti della Verità, il frutto puro del cuore di Dio. Rivestiti di essa saremo davvero simili a Lui, per "pura" Grazia. 

Per questo solo crocifissi nella storia potremo sperimentare la purezza che non abbiamo ancora conosciuto. Non una purezza immediatamente morale, perché essa deve essere il frutto di un rinnovamento del cuore, altrimenti resta un "esterno" lucidato, tipico dei farisei ipocriti. Si tratta invece della Croce che ci stringe in un rapporto difficile con il marito; o quella di un carattere così nevrotico da farci fare brutte figure ovunque e sempre. La Croce di ogni giorno che denuda le nostre ipocrisie e ci riveste della misericordia. Solo chi è crocifisso potrà aprire i suoi forzieri e "dare in elemosina" "tutto quello che ha", secondo il senso originale dell'espressione tradotta con "quello che c'è dentro". Dare tutto in elemosina significa, in effetti, entrare "dentro" noi stessi, dove la concupiscenza ha deposto la sua ancora, l'avarizia insaziabile radice di tutti i mali. E, con la forza della Croce che ci unisce a Cristo, svuotare portafogli e conti in banca. Anche se si tratta solo di venti euro con cui comprare qualcosa per mangiare. 

Stai guardando con occhio impuro la storia? O tua moglie, giudicandola senza misericordia? O stai pensando male di tuo figlio e proprio non riesci a perdonarlo, e così la relazione è tutta sporcata? Dai in elemosina quello che hai, senza paura. Prendi ora il portafoglio e dai tutto quello che hai all'extracomunitario che ti sta pulendo i vetri, o al povero che incontrerai all'angolo. Non servono chissà quali sacrifici, ancor meno le parole. Queste verranno dopo, perché sgorgheranno da un cuore finalmente purificato dall'amore a mammona, ovvero al demonio. E così "tutto sarà puro" ai nostri occhi, perché per chi è stato purificato "dentro" vede in tutto e in tutti l'amore di Dio. Avrà misericordia, non esigerà nulla, si donerà senza riserve, perché ha sperimentato che la vera "abluzione" è immergersi nelle acque del battesimo; nella misericordia che ci viene incontro sulla Croce gloriosa di Cristo, sulla quale restare con Lui istante dopo istante.


UN ALTRO COMMENTO


"Belli dentro". "Star bene dentro". Slogan pubblicitari ad innescare sogni irrealizzabili. Siamo tutti prigionieri di un ego abnorme, s'annida nel nostro cuore il perfido veleno dell'ipocrisia, apparire mascherati e truccati per nascondere le macerie del nostro cuore. A chi consegniamo l'intimo di noi stessi, a chi pieghiamo le ginocchia delle nostre ore, del nostro lavoro, dei pensieri, delle preoccupazioni? Quale totem oggi si erge maestoso al centro della nostra vita? Quante abluzioni per poter timbrare il biglietto e accedere alla tavola buona della società, degli amici, del mondo. E' la schiavitù dell'idolatria che ci opprime; anche quando non riusciamo a realizzare nulla bloccati dalla timidezza o dalle asperità del carattere, la questione non cambia. La tristezza che spesso riempie il nostro cuore è il segno di un intimo consegnato ad un idolo. E l'idolatria è sempre la madre dell'adulterio: nati per il Signore gli idoli ci spingono tra le braccia degli amanti. Come la Samaritana incontrata da Gesù, aveva avuto cinque mariti, e quello a cui era legata non lo era nemmeno.

L'idolatria si risolve nell'adulterio che è il padre dell'ipocrisia. L'adultero vive sempre mascherato, fingendo e mentendo. Fuori pulito, dentro un porcile. Quando il cuore è diviso, dissipato e lacerato dall'idolatria, si vive nell'angoscia di una doppia vita che conduce alla distruzione. Sogni, progetti, e poi affetti, ricordi, tutto può diventare oggetto di idolatria, e contaminare l'interno di ciascuno di noi dove appaiono rapina ed iniquità, relazioni violente come sotto la minaccia di una pistola, pensieri, parole e opere inique, prive dell'orizzonte soprannaturale della fede, una vita nascosta e senza la luce dell'amore di Dio.

La nostra vita inchinata dinnanzi agli idoli, stretta dall'avarizia insaziabile che, come scrive San Paolo, è idolatria. L'ipocrita è sempre avaro, di denaro, di sorrisi, di tempo; impaurito, difende quel poco che crede di avere. Ma non ha nulla, perché la vita che conduce è falsa, ipocrita. Lucida l'esterno per nascondere il vuoto dell'interno. Apparire per non morire, il logo di questa società, e della nostra esistenza. Chi si allontana dalla fonte della vita per cercare pienezza e felicità tra gli idoli muti diviene come coloro ai quali inchina la testa e consegna il cuore: feticci senza vita. Il destino dell'ipocrita infatti è la morte, l'evaporare d'ogni menzogna che scopre il deserto della propria anima.

Per questo arriva oggi il Signore geloso e innamorato che ci ha comprato e riscattato al prezzo carissimo del suo sangue, e ci invita all'elemosina. Arriva lo Sposo, e allora via tutto. L'elemosina di quel che abbiamo nel cuore è puro amore; gettare via l'idolatria che si è annidata negli angoli nascosti del nostro intimo usurpando il posto del nostro Sposo. Dare in elemosina quel che ci corrompe e ci inchioda all'ipocrisia. Non ne siamo capaci, abbiamo timore di perdere quel brandello di identità che abbiamo messo in piedi con tanta fatica. Sappiamo che è pura ipocrisia, ma è qualcosa, è il nostro stare al mondo, ci siamo abituati. La stessa sofferenza, la stessa insoddisfazione spesso ci è così familiare che abbiamo paura di perderla e ce la stringiamo come una cara, vecchia amica.

Eccolo dunqe il nostro Sposo, Colui per il quel siamo nati, ci siamo svegliati oggi. Le sue fruste, come quel giorno nel Tempio tra i banchi dei cambiavalute, vibrano anche oggi, e sono sibili d'amore a far pulizia. Quell'amicizia, quel lavoro, la salute, ogni idolo è scaraventato fuori. Il suo amore ci aiuta a dare in elemosina quel che asfissia il nostro cuore. Questa è la salvezza, il nostro cuore liberato dalle menzogne e abbandonato al Suo amore. Oggi il sangue di Cristo arriva di nuovo alla nostra vita per farci figli liberati nel Figlio libero. E il nostro sguardo finalmente purificato dalle idolatrie a scrutare in ogni evento della nostra vita le tracce del suo amore dolcissimo.


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