21 settembre. San Matteo Apostolo




αποφθεγμα Apoftegma
Gesù, se è necessario che la tavola insozzata da essi
sia purificata da un’anima la quale vi ama,
voglio ben mangiare sola il pane della prova 
fino a quando vi piaccia introdurmi nel vostro Regno luminoso. 

Santa Teresa di Lisieux, Storia di un’anima
  









L'ANNUNCIO
Dal Vangelo secondo Matteo 9,9-13.

In quel tempo, Gesù passando, vide un uomo, seduto al banco delle imposte, chiamato Matteo, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì. Mentre Gesù sedeva a mensa in casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e si misero a tavola con lui e con i discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Perché il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Gesù li udì e disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori».


AMATI PER SEGUIRLO IMPARANDO LA MISERICORDIA NEL SENO DELLA CHIESA




Diceva Chesterton: "Tutto sarà negato. Tutto diventerà un credo. È una posizione ragionevole negare le pietre della strada; diventerà un dogma religioso riaffermarle. È una tesi razionale quella che ci vuole tutti immersi in un sogno; sarà una forma assennata di misticismo asserire che siamo tutti svegli. Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate". E non faceva altro che ridire le parole con le quali Gesù aveva risposto ai farisei che interrogavano i discepoli sull'atteggiamento scandaloso del loro Maestro che mangiava insieme ai pubblicani e ai peccatori: "non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati". Qualcosa di più ovvio e reale? No, eppure era diventato un dogma religioso affermare proprio il contrario, che cioè il medico era per i sani e non per i malati. Il Messia doveva venire per i buoni, i puri, gli impeccabili. Come accade spesso nelle nostre comunità e nelle nostre famiglie, ma anche nella società civile e progredita, dove, per nascere, i figli non hanno bisogno di mamma e papà. Invece le foglie sono verdi in estate, e due più due fa quattro, proprio come un malato ha bisogno di un medico. Allora, perché bisogna di nuovo attizzare il fuoco purificatore della Verità per testimoniare la realtà di ogni uomo e sguainare la spada della Parola di Dio per dimostrare l'evidenza? Perché il demonio ci ha ingannati negando tutta la verità e facendoci credere tutta la menzogna; ci ha immersi in un sogno che nega la nostra malattia per farci asserire che, invece, siamo svegli e sani. Per questo non riusciamo a comprendere cosa significhi la misericordia. Quando, per esempio, Papa Francesco ne parla, o la consideriamo una sorta di smacchiatore tascabile oppure ci indigniamo perché ai nostri cuori moralistici, ci appare troppo a buon mercato. La "misericordina", ricordate? Suvvia... Il cristianesimo è una cosa seria. Ma, in fondo, nel segreto, ce la prendiamo per toglierci quel senso di acidità, ma sbagliamo posologia, impedendo alla misericordia di curare alla radice il morbo maligno che ci sta uccidendo. Per questo oggi il Signore ci invia proprio nella nostra vita, dicendoci di "andare" al lavoro, a scuola, in famiglia, nella comunità cristiana, per "imparare", alla luce di questa Parola, "cosa significhi misericordia voglio e non sacrifici". La nostra vocazione fondamentale, infatti, è quella di seguire Gesù per imparare la misericordia. Non stupitevi, bisogna re-imparare la Verità, perché il demonio ha cambiato le carte in tavola, e ora la drammatica necessità della morte e risurrezione di Cristo non ci dice più nulla. Non c'entra con la mia vita, con il mio lavoro, con il mio fidanzamento. Forse a parole sì, ma nella vita quotidiana e reale no. Andiamo allora alla nostra vita di sempre, identica a quella di Matteo, perché è quella la scuola dove Gesù ha piantato la Croce, la cattedra dalla quale ci insegna la misericordia. Si è infatti avvicinato al tavolo dove Matteo si faceva ogni giorno più impuro e lontano da Dio; laddove stava distruggendo la liturgia di santità alla quale era chiamato, facendo della sua vita un culto offerto al demonio. A quel tavolo strozzava la vita ai poveri, agli orfani, alle vedove, ai suoi fratelli, al suo stesso sangue tradito. E Gesù è venuto a cercarlo proprio lì, in quel lazzaretto fetido dove Matteo si era abituato a vivere come un appestato odiato e tenuto a distanza da tutti. Tutti meno Gesù, il Medico che aveva saputo cogliere in lui il malato bisognoso delle sue cure. Per questo Gesù si era seduto alla sua tavola, ne aveva condiviso la solitudine, il disprezzo, la morte; aveva fatto ciò che secondo la Legge era proibito per salvare chi stava vivendo una vita fuorilegge, schiava del proibito. E lì, lo ha fissato con tenerezza e compassione, e lo ha amato. Giunto accanto a lui lo ha accolto nella misericordia. Ditemi, trovate nel brano di oggi sulla bocca di Gesù parole tipo "devi", "sforzati", "comportati così e così"? No vero? Solo un semplicissimo "seguimi" rivolto a chi, in Israele, ne era più indegno. Lui, che non era un fariseo, un dottore della legge, ma neanche un semplice popolano; lui, il più reietto, detestabile, un ladro e traditore. "Seguimi", ti ho guardato e ho visto me in te, e ho scelto te, così come sei; non ti preoccupare, non guardare te stesso, non restare con quel dito chiedendoti "ma proprio io??"; si proprio tu, perché ti ho amato e scelto da sempre; non importa quello che hai fatto, ora cambia tutto, ora, nel mio amore. Segui me e la tua vita sarà qualcosa che neanche hai immaginato. Seguimi e sarai felice. Perché in quel "seguimi" c'era Dio, il suo potere infinito che si manifesta nella misericordia. In quel "seguimi" c'era l'amore infinito dello Sposo che scopre le sue carte per far capitolare l'amata perché lasci la casa di suo padre e lo segua in una vita nuova. Quel "seguimi" polverizzava il valore e l'importanza che per Matteo aveva avuto la sua vita sino ad allora, il denaro e il potere. Quel "seguimi" sbriciolava i suoi peccati in un perdono che, rivelando l'infinita bellezza, bontà e grandezza di Dio, ne svelava l'inconsistenza e il nulla verso cui stavano spingendo Matteo. 


Per questo in Gesù e nelle sue parole non vi è traccia di moralismo: è la misericordia che estirpa dal cuore il veleno del peccato per fare posto al soffio dello Spirito Santo, della vita divina. E' l'amore che ridicolizza il peccato! L'amore che ama chi, nel mondo, non è degno neanche di uno sguardo. Matteo aveva compreso che per ottenerlo non sarebbe stato sufficiente dare tutti i beni della terra; anzi, come recita il Cantici dei Cantici, pensare di dare in cambio qualcosa, sarebbe addirittura disprezzarlo. Perché quell'amore è celeste, una fiamma del Signore; non può che essere gratuito, perché nessuno sforzo sarebbe adeguato per ottenerlo, come se un impiegato statale si illudesse di comprare una reggia con i soldi della liquidazione. O hai un re tra i tuoi parenti che te la lascia in eredità, oppure scordatela. Ecco, Gesù è passato da Matteo perché doveva consegnargli l'eredità che gli spettava. Ma ne era indegno, per questo l'unico degno si è lasciato uccidere dalla sua indegnità per potergliela lasciare in eredità. Questo cortocircuito ha letteralmente scaricato nel cuore di Matteo la sovrabbondanza della Grazia di una vita nuova che ha preso il posto dell'abbondanza di peccato che avvelenava la sua vecchia vita. Una Grazia incontenibile, che diventa immediatamente segno e testimonianza di speranza. Gesù si era seduto alla tavola di Matteo, ora Matteo accompagna i suoi amici, i peccatori come lui, a sedersi alla mensa di Gesù. Matteo rinato ha immediatamente e naturalmente moltiplicato la sua esperienza, ne ha fatto cibo per i suoi amici, peccatori come Lui. La sua chiamata si è trasformata immediatamente in cento, mille chiamate. La Grazia sperimentata è diventata Grazia per molti altri. L'esperienza del perdono ha coinvolto il Signore in un'opera ancor più grande. Matteo, il peccatore, è divenuto così la porta ad un fiume di Grazie. Matteo fonte di misericordia, amato da Gesù ne diviene l'amico, il fratello e lo conduce sui passi della sua vita, della sua storia, a diffondere la stessa misericordia da lui sperimentata. Così, attraverso l'amore di Cristo sceso ad abbracciarlo nei suoi peccati, Matteo che non aveva forza per fare alcun sacrificio - che tra l'altro gli erano proibiti per Legge - ha imparato cosa significhi la misericordia. Malato ha incontrato il Medico che lo ha curato, punto. A noi forse costa un po' più di tempo e fatica, perché, come quei farisei, dobbiamo svegliarci e scendere dal mondo dei sogni. Ma Dio è fedele e lo sta facendo anche oggi: "Seguimi", ti ho guardato e ho visto me me in te, e ho scelto te, così come sei; non ti preoccupare, non guardare te stesso, non restare con quel dito chiedendoti "ma proprio io??"; si proprio tu, perché ti ho amato e scelto da sempre, non importa quello che hai fatto, ora cambia tutto, ora, nel mio amore... Segui me e la tua vita sarà qualcosa che neanche hai immaginato. Seguimi e sarai felice. Fratelli, In Matteo appare la nostra stessa chiamata. Perdonati per accompagnare Cristo sulle strade dei nostri giorni. Spendere la vita donata e riscattata alla mensa dei peccatori, lasciando che scenda, con Cristo, nelle macchie della storia, le grandi e le piccole, purificate dalle nostre anime amate infinitamente dal Signore. Seduti, sino all’ultimo giorno, accanto a chi non Lo conosce o lo sta rifiutando. Forse alla tavola dove ceniamo ogni sera con la nostra famiglia, accanto a nostro figlio; o forse alla mensa aziendale, o a quella scolastica, o al bar... E lì, donare, con gioia, la misericordia che salva, come ripete incessantemente Papa Francesco: "La Chiesa a volte si è fatta rinchiudere in piccole cose, in piccoli precetti. La cosa più importante è invece il primo annuncio: "Gesù Cristo ti ha salvato!". E i ministri della Chiesa devono innanzitutto essere ministri di misericordia". Ma ministri della Chiesa sono anche i genitori, i fratelli, lo siamo tutti per chi si è perduto. Con tutti e per tutti sporcarsi, guardarli con gli occhi di Cristo, amarli nel suo amore, e sedersi con loro, alla loro tavola, giorno dopo giorno. L'amore a dieci metri di distanza non è amore, perché non potrà mai essere fecondo. Due sposi non generano figli con un semplice sguardo.... Così anche noi siamo chiamati a spogliarci, innanzitutto degli schemi, e poi delle certezze acquisite che, quasi sempre, non sono le verità immutabili del Vangelo, ma la loro caricatura da noi disegnata per difenderci e non correre il rischio di perdere la vita per amare davvero. Foglie che non sono verdi in estate... Essere cioè disposti ad accendere il fuoco dell'amore e sguainare la spada del Vangelo e rivedere tutto dieci volte al giorno, e sbriciolarsi per amore di una sola persona; per donarci a lei davvero, facendoci tutto a tutti, carne della carne di chi ci è accanto, anche se all'opposto della nostra vita e dei nostri valori; che il Signore ci conceda di non cedere all'ottusità, ma, con Cristo, di aprirci in uno sguardo capace di abbracciare l'infinito, il passato, il presente e il futuro in un solo abisso di misericordia che tutto trascende e purifica. 






Scriveva Santa Teresa di Lisieux nella sua Storia di un’anima. “... Il Re della Patria luminosa è venuto a vivere trentatrè anni nel paese delle tenebre. Ahimè! Le tenebre non hanno capito che quel Re divino era la luce del mondo. Ma, Signore, la vostra figlia ha capito la vostra luce divina, vi chiede perdono per i suoi fratelli, accetta di nutrirsi per quanto tempo voi vorrete del pane di dolore e non vuole alzarsi da questa tavola colma di amarezza dove mangiano i poveri peccatori prima del giorno che voi avete segnato. Ma anche lei osa dire, a nome proprio e dei suoi fratelli: Abbiate pietà di noi Signore perchè siamo poveri peccatori. Oh Signore, rimandateci giustificati.... che tutti coloro che non sono illuminati dalla fiaccola limpida della fede, la vedano finalmente... Gesù, se è necessario che la tavola insozzata da essi sia purificata da un’anima la quale vi ama, voglio ben mangiare sola il pane della prova fino a quando vi piaccia introdurmi nel vostro Regno luminoso. La sola grazia che vi chiedo è di non offendervi mai” (Manoscritti autobiografici, n. 277). Teresina aveva imparato che cosa significhi la misericordia. Le viscere appassionate di Dio. Il sacrificio nella misericordia.


Teresa, chiamata, scelta, eletta, come noi, come Matteo. Amati esattamente dove eravamo, come eravamo. La certezza di non essere migliori di nessuno, la santa umiltà. Con Teresa impariamo anche noi a ripetere al Signore, a nome nostro e dei nostri fratelli, di avere pietà di tutti noi poveri peccatori. E’ questo il cuore autentico di una madre, di un padre, di un figlio, di un amico, di un collega di lavoro. Insieme a chi vive con noi, a chi ci fa del male, a chi sta gettando la vita nella tomba dei peccati. In ogni prova che ci attende sul cammino, in ogni sofferenza brilla la luce della fede, occhi limpidi che vi intuiscono l’occasione propizia di tendere una mano di salvezza. Le nostre angosce, le sofferenze di oggi, e di domani, sono la mano di Gesù che cerca peccatori da salvare. Le Sue ferite nelle nostre ferite: "Io vedo con chiarezza che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia" (Papa Francesco, intervista a Civiltà Cattolica). La nostra vita insanguinata offerta per chi ci è caro, perché tutti ci sono cari, anche i nemici, schiavi come lo eravamo noi. Il loro male - il male di un figlio che disperde i suoi giorni, di un marito prostrato nel dolore di una malattia, il dolore nella prova qualunque essa sia - diviene, nell'offerta a Cristo, un balsamo di salvezza. 


E' questo il modo di amare, vero, gratuito, divino. Crocifisso. Con Teresa, nell’ora della prova, la luce della fede ci fa sapere d’essere, proprio in quel momento, seduti alla mensa dei peccatori. Con Teresa, con Gesù. Ogni spada che ci trapassa il cuore è una sorgente di salvezza per infinite persone. La nostra com-passione per chi non ha fede, per chi soffre la vera atrocità, che è non conoscere l’amore di Cristo. Ogni momento di sofferenza è dunque un momento di Grazia, un tesoro che ci accumuliamo in cielo, per noi, e per molti altri.


E' l'esperienza di Matteo il pubblicano, così come appare nel Vangelo. Il Signore si è avvicinato al tavolo dove strozzava la vita ai poveri, agli orfani, alle vedove, ai suoi fratelli, al suo stesso sangue tradito. Gesù è sceso sino al suo inferno, al peccato più grande, e lo ha guardato, fissato, amato. Senza l'ombra di un giudizio ha lasciato che il suo sguardo di misericordia incontrasse lo sguardo sperduto e impaurito di Matteo. Ed è sorto lo stupore, un'esperienza travolgente, insperata, inattesa. Matteo ha conosciuto il perdono nel bel mezzo del peccato. Il pubblicano, il reietto aveva incontrato il Santo, il Puro, l'Amore. Gesù si era seduto alla sua tavola, ne aveva condiviso la solitudine, il disprezzo, la morte. Nella Chiamata di Matteo risuona il grido crocifisso, "Dio mio, perché mi hai abbandonato?". Il Figlio fatto peccato, giusto tra i peccatori, ha sperimentato l'estrema solitudine, la più atroce, l'inferno, l'assenza di Dio. Gesù è sceso al fondo dell'abisso perché nessuno di quelli che vi giacciono rimanga escluso dalla misericordia. La chiamata di Matteo è il riscatto, il perdono, l'invito al banchetto delle nozze. E' la chiamata a lasciare la solitudine per entrare nella comunione, nell'intimità con Dio, perduta a causa del peccato.


Così Gesù si è seduto alla nostra mensa, quando eravamo malvagi e con il cuore lontano da Lui. Il Cristianesimo non è una serie di sacrifici per scalare il cielo, e tanto meno semplice filantropia. E’ misericordia, persone che hanno sperimentato la misericordia e in essa incontrano e amano tutti gli altri uomini. Matteo rinato ha immediatamente e naturalmente moltiplicato la sua esperienza, ne ha fatto cibo per i suoi amici, peccatori come Lui. La sua chiamata si è trasformata immediatamente in cento, mille chiamate. La Grazia sperimentata è diventata Grazia per molti altri. L'esperienza del perdono ha coinvolto il Signore in un'opera ancor più grande. Matteo, il peccatore, è divenuto così la porta ad un fiume di Grazie. Gesù si era seduto alla sua tavola. Ora accompagna Gesù a sedersi con lui alla mensa dei suoi amici, poveri e disgraziati compagni di solitudine e peccato. Matteo fonte di misericordia, amato da Gesù ne diviene l'amico, il fratello e lo conduce sui passi della sua vita, della sua storia, a diffondere la stessa misericordia da lui sperimentata. Matteo, immagine e profezia di ogni apostolo: "I ministri del Vangelo devono essere persone capaci di riscaldare il cuore delle persone, di camminare nella notte con loro, di saper dialogare e anche di scendere nella loro notte, nel loro buio senza perdersi" (Papa Francesco, Ibid).


In Matteo appare la nostra stessa chiamata. Perdonati per accompagnare Cristo sulle strade dei nostri giorni. Spendere la vita donata e riscattata alla mensa dei peccatori, lasciando che scenda, con Cristo, nelle macchie della storia, le grandi e le piccole, purificate dalle nostre anime amate infinitamente dal Signore. Seduti, sino all’ultimo giorno, accanto a chi non Lo conosce o lo sta rifiutando. Forse alla tavola dove ceniamo ogni sera con la nostra famiglia, accanto a nostro figlio; o forse alla mensa aziendale, o a quella scolastica, o al bar... E lì, donare, con gioia, la misericordia che salva, come ripete incessantemente Papa Francesco: "La Chiesa a volte si è fatta rinchiudere in piccole cose, in piccoli precetti. La cosa più importante è invece il primo annuncio: "Gesù Cristo ti ha salvato!". E i ministri della Chiesa devono innanzitutto essere ministri di misericordia" (Intervista a Civiltà Cattolica). Ma ministri della Chiesa sono anche i genitori, i fratelli, tutti lo siamo per chi si è perduto, come Matteo che lo è diventato per esperienza. Con tutti e per tutti sporcarsi, e guardarli con gli occhi di Cristo, e amarli, e sedersi con loro, alla loro tavola, giorno dopo giorno. L'amore a dieci metri di distanza non è amore, perché non potrà mai essere fecondo. Due sposi non generano figli con un semplice sguardo.... Così anche noi siamo chiamati a spogliarci, innanzitutto degli schemi, e poi delle certezze acquisite che, quasi sempre, non sono le verità immutabili del Vangelo, ma la loro caricatura da noi disegnata per difenderci e non correre il rischio di perdere la vita per amare davvero. Essere disposti a rivedere tutto dieci volte al giorno, per amore di una sola persona... E poi a unirci a lei davvero, e farci tutto a tutti, carne della carne di chi ci è accanto, anche se all'opposto della nostra vita e dei nostri valori; che il Signore ci conceda di non cedere all'ottusità, ma, con Cristo, di aprirci in uno sguardo capace di abbracciare l'infinito, il passato, il presente e il futuro in un solo abisso di misericordia che tutto trascende e purifica. 


Che ha fatto Gesù con Matteo? Lo conosceva da sempre, molto prima di incontrarlo intento a riscuotere gabelle. Lo conosceva dall'eternità, e dall'eternità lo aveva scelto per essere suo apostolo. Lo ha guardato, amato e chiamato: non un rimprovero, non un moralismo, non un consiglio. Nessuna condizione, una semplice parola: "seguimi". In essa tutto l'amore, così diverso da ogni altro amore. A lui Gesù diceva di seguirlo. Lui che non era un fariseo, un dottore della legge, ma neanche un semplice popolano; lui, il più reietto, detestabile, un ladro e traditore: "Vide Gesù un pubblicano e, siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: Seguimi" (San Beda il venerabile). "Seguimi", ti ho guardato e ho visto me me in te, e ho scelto te, così come sei; non ti preoccupare, non guardare te stesso, non restare con quel dito chiedendoti "ma proprio io??"; si proprio tu, perché ti ho amato e scelto da sempre, non importa quello che hai fatto, ora cambia tutto, ora, nel mio amore... Segui me e la tua vita sarà qualcosa che neanche hai immaginato. Seguimi e sarai felice. Ecco questo è stato quell'incontro che, secondo la sua confessione, ha toccato anche Papa Francesco facendogli scoprire la sua vocazione: "La sintesi migliore, quella che mi viene più da dentro e che sento più vera, è proprio questa: “sono un peccatore al quale il Signore ha guardato”... io sono uno che è guardato dal Signore. Il mio motto Miserando atque eligendo l’ho sentito sempre come molto vero per me... A Roma visitavo spesso la chiesa di San Luigi dei Francesi, e lì andavo a contemplare il quadro della vocazione di san Matteo di Caravaggio. Quel dito di Gesù così… verso Matteo. Così sono io. Così mi sento. Come Matteo». E qui il Papa si fa deciso, come se avesse colto l’immagine di sé che andava cercando: «È il gesto di Matteo che mi colpisce: afferra i suoi soldi, come a dire: “no, non me! No, questi soldi sono miei!”. Ecco, questo sono io: “un peccatore al quale il Signore ha rivolto i suoi occhi”. E questo è quel che ho detto quando mi hanno chiesto se accettavo la mia elezione a Pontefice... Peccator sum, sed super misericordia et infinita patientia Domini nostri Jesu Christi confisus et in spiritu penitentiae accepto".

La vocazione di Matteo dalla quale sorge anche quella di Papa Francesco, un profeta inviato da Dio per orientare i passi della Chiesa in questo tempo così difficile, è il paradigma della missione della Chiesa: vocazione e missione sono infatti aspetti diversi di un unica misericordia. Il mondo è pieno di Matteo, "Uomini" come lui, amati e scelti da sempre, ma presi nei lacci degli inganni del demonio. Ecco, occorre lo sguardo di Cristo su ogni uomo, che con misericordia spazza via la polvere, e anche i sedimenti più duri, per riconoscere in ciascuno le sembianze del Figlio nel quale tutti sono stati creati. Ogni uomo è opera delle mani di Dio: la missione della Chiesa è cercare quest'opera, annunciare il Vangelo perché essa risuoni nei cuori come la verità che dà sostanza e compimento alla vita; poi, con un cammino lento di conversione e di liberazione, accompagnare le persone come una madre. All'inizio nessun'altra parola che il "seguimi" con cui dare fiducia, speranza, animo. Solo un "seguimi" immerso nel potere di Gesù Cristo, che attira con l'amore dolce e senza condizioni. E' il kerygma che gli apostoli hanno sempre annunciato, incarnandolo nella realtà degli ascoltatori, illuminando i peccati perdonati da Gesù. Ma Matteo aveva tra le mani i suoi peccati, anzi, stava peccando... Il solo sentirsi chiamare in quel momento così poco propizio e adeguato secondo la sapienza umana, ha avuto il potere di risuscitarlo e fargli abbandonare tutto. "Seguimi" ora figlio mio, ecco cosa dire a casa quando scopriamo che un figlio l'ha combinata grossa. Questo "seguimi" è un terremoto che apre alla conversione nelle "periferie esistenziali" dove le persone hanno perso la vita. Poi verranno tutte le altre parole di insegnamento, la luce sulla vita morale patrimonio e frutto di chi è già risorto a una vita nuova. L'agire, infatti, segue sempre l'essere. Prima l'amore e la misericordia, che gestano nell'utero della Chiesa i piccoli embrioni. Poi la rinascita, e poi il latte, e poi le pappette, e poi, molto dopo, le bistecche. Non è forse un uomo un embrione? Certo, ma non può nulla...    


In Matteo dunque, si legano la vocazione di Papa Francesco e della Chiesa, di ciascuno di noi nelle situazioni e nella porzione di società nella quale siamo stati chiamati: "Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Questo non è possibile. Io non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto. Il parere della Chiesa, del resto, lo si conosce, e io sono figlio della Chiesa, ma non è necessario parlarne in continuazione». «Gli insegnamenti, tanto dogmatici quanto morali, non sono tutti equivalenti. Una pastorale missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza. L’annuncio di tipo missionario si concentra sull’essenziale, sul necessario, che è anche ciò che appassiona e attira di più, ciò che fa ardere il cuore, come ai discepoli di Emmaus. Dobbiamo quindi trovare un nuovo equilibrio, altrimenti anche l’edificio morale della Chiesa rischia di cadere come un castello di carte, di perdere la freschezza e il profumo del Vangelo. La proposta evangelica deve essere più semplice, profonda, irradiante. È da questa proposta che poi vengono le conseguenze morali" (Ibid). La "proposta" è il "seguimi", il "nuovo equilibrio" che si concentra sull'essenziale. Solo la Chiesa può arrivare da un assassino e dirgli "seguimi", e non per andare in carcere ma per essere perdonato e liberato. Solo la Chiesa può arrivare da un ladro, un traditore, un pedofilo, un violento, uno spacciatore, un medico che pratica aborti, così come a chiunque persona, e dire a tutti "seguimi", e portarseli tutti a casa sua, nelle sue assemblee, nelle sue comunità, dai suoi figli salvati qualche momento prima. "Seguimi", vieni con me e sarai, anzi già stai cominciando ad essere santo, una nuova e meravigliosa creazione. Solo la Chiesa perché è il corpo di Cristo risorto, che ha vinto, qui ed ora per ogni persona, la morte e il peccato, qualunque esso sia.


Per questo Matteo, senza dire una parola, si è alzato e ha portato Gesù a casa sua. Aveva cominciato ad "andare" e a "imparare" che cosa significhi "misericordia io voglio e non sacrifici". Lo aveva imparato perché di certo non aveva forza per fare alcun sacrificio... figuriamoci... Era semplicemente "andato" dietro a Gesù, e questo era imparare la misericordia.... L'essere diventato un pubblicano, un ladro, un peccatore, nello sguardo misericordioso di Gesù che ardeva a mille gradi polverizzando i peccati sino all'ultimo granello, diventava misteriosamente la preparazione e una sorta di formazione per essere apostolo. E' impensabile, ma non stiamo trattando di cose umane... Il cammino di perdizione giunto all'incontro con la misericordia, diviene il cammino di conversione. Il peccato è trasformato in giustizia. E la debolezza e le ferite sono trasfigurate sino a risplendere come i segni più autentici della credibilità del Vangelo. Per questo Matteo torna sui suoi passi, un pochino come il figlio prodigo, a casa sua, dove sono i suoi amici, quelli con cui ha peccato. Ma ora è diverso, vi torna con Cristo, e nulla è più come prima, quel luogo di dolore e di morte diviene un "ospedale da campo", un embrione di Chiesa, un luogo di speranza. E' quello che ha auspicato Papa Francesco per la missione della Chiesa, qualcosa che appare profeticamente in Matteo e nella sua vicenda: "Invece di essere solo una Chiesa che accoglie e che riceve tenendo le porte aperte, cerchiamo pure di essere una Chiesa che trova nuove strade, che è capace di uscire da se stessa e andare verso chi non la frequenta, chi se n'è andato o è indifferente. Chi se n'è andato, a volte lo ha fatto per ragioni che, se ben comprese e valutate, possono portare a un ritorno. Ma ci vuole audacia, coraggio" (Ibid). L'audacia e il coraggio di Gesù trasmessi a Matteo, e a te e a me, per salvare questa generazione.




APPROFONDIMENTI
Spiego ad un amico che nella Vocazione di Matteo di Caravaggio la figura di Pietro è un ripensamento, come evidenziano le radiografie. I raggi mostrano che inizialmente il Merisi aveva dipinto interamente la figura del Cristo, senza pensare quindi a Pietro che ha poi sovrapposto al Maestro. E aggiungo: mentre prima fra Gesù ed il gruppo degli esattori delle tasse c’era una distanza maggiore, Caravaggio forse volle riempire figurativamente quel vuoto. Spiego come tante volte quell’opera. Ed ecco un’intuizione si affaccia alla mia mente! Il problema del “vuoto” pittorico è, in realtà, il problema del “vuoto” che separa noi da Gesù. Senza Pietro, senza la Tradizione apostolica, senza il papa che oggi “ripresenta” Pietro nel nostro tempo, fra noi e Gesù ci sarebbe uno iato incolmabile... Quel Pietro è una nostra esigenza, è un bisogno della fede stessa, che ha bisogno di qualcuno che colmi la distanza tra noi e Cristo: quella distanza sarebbe altrimenti abissale!Questo nulla toglie all’equilibrio che Pietro conferisce alla tela di Caravaggio: senza di lui Gesù si staglierebbe isolato sulla destra dell’opera mentre i gabellieri situati a sinistra sbilancerebbero evidentemente l’opera - il Merisi dovette accorgersi di questa eccessiva lontananza pittorica fra la figura del Cristo e quella degli astanti. Ma appunto quella distanza ne evoca un’altra che pure deve essere colmata. (Andrea Lonardo)

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